Franco Fabbri e l'Orchestra: la storia del Prog Rock italiano in una doppia mostra a Milano
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Franco Fabbri e l'Orchestra: la storia del Prog Rock italiano in una doppia mostra a Milano

Alla Biblioteca Sormani di Milano dal 4 al 30 marzo una mostra della Cooperativa Orchestra. Ne parliamo con Franco Fabbri che insieme a Umberto Fiori è stato uno dei protagonisti di quella straordinaria stagione. Insieme saranno alla Sormani il 10 marzo

Franco Fabbri e l'Orchestra: la storia del Prog Rock italiano in una doppia mostra a Milano
Franco Fabbri
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23 Febbraio 2022 - 14.59


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di Giordano Casiraghi

Erano gli anni Settanta, quando un’esplosione di creatività ha generato capolavori musicali che ancora rappresentano il massimo grado dell’espressività nel campo pop rock. Lo hanno chiamato Progressive e la matrice era quella inglese, ma anche in Italia fiorirono gruppi che lasciarono un segno importante. Non a caso una major discografica come l’Universal sta mettendo in circolazione una buona serie di titoli in formato vinile con la linea Prog Rock Italia, dal Banco del Mutuo Soccorso a Balletto di Bronzo, Grosso Autunno e Le Orme. Ora anche la Sormani,  la biblioteca più importante di Milano, dedica una doppia mostra, dal 4 al 30 marzo, al fenomeno Progressive e al catalogo prodotto da L’Orchestra, una cooperativa che aveva come punta di forza il gruppo degli Stormy Six. E proprio il 10 marzo è previsto in Biblioteca Sormani un incontro con due storici personaggi, Umberto Fiori e Franco Fabbri, che presenteranno l’ultimo libro di quest’ultimo. Trattasi di «Il tempo di una canzone» (Jaca Book,  359 pagine, 22€).

Abbiamo raggiunto Franco Fabbri in quel di Barcellona per farci raccontare i contenuti di questo nuovo volume, il secondo per la Jaca Book dopo «Non è musica leggera» dello scorso anno.

Una mostra in una biblioteca, si torna a parlare di quella che è stata una delle più importanti esperienze di musica con la Cooperativa L’Orchestra di cui eri presidente, se ne parla anche nel libro?

Sì, c’è un lungo capitolo che ne racconta la storia durata dal 1974 al 1983. È stata un’esperienza importante per tanti di noi che ci siamo misurati anche come imprenditori oltre che come artisti. In origine la Cooperativa si era posta come punto di riferimento per promuovere concerti nei vari ambiti a noi collegati, poi ha assunto anche i connotati di una vera e propria etichetta discografica pubblicando numerosi dischi. Il primo è stato il nostro «Un biglietto del tram».

Credo sia la prima volta che in un libro viene trattato l’argomento L’Orchestra in maniera così ampia, ma avrei preferito che a occuparsene fosse qualcun’altro, magari per una tesi, nessuno però si è fatto avanti anche perché mi rendo ben conto che l’argomento è molto complesso e occorre lavorare sulle fonti originarie, guardare i documenti de L’Orchestra che possono essere messi a disposizione.

L’Orchestra che significa anche Stormy Six, per una storia molto raccontata nelle varie edizioni del tuo libro «Album bianco», ma cosa c’entrano gli Shadows in copertina del libro «Il tempo di una canzone»?

Gli Shadows li suonavo con il mio primo gruppo, prima di entrare negli Stormy Six, e nel libro c’è un capitolo che si chiama «Ascoltando gli Shadows, quarant’anni dopo e per la prima volta», scritto con Marta Garcia Quinones e presentato per la prima volta all’Università di Liverpool il 22 novembre 2008.

Quindi il libro raccoglie per la gran parte i testi che in origine erano stati scritti in inglese per convegni e pubblicazioni estere?

Sì, li ho tradotti e raccolti e messi insieme formano il libro, tra questi per esempio c’è un capitolo che collega un triangolo mediterraneo tra Napoli Smirne e Atene, ovvero abbiamo scoperto che alcune famose canzoni greche derivano da canzoni napoletana su cui è stato fatto un testo in greco. Una di queste canzoni è stata scoperta da da un collezionista tedesco, mentre altre due due canzoni con questi connotati di derivazione napoletana le ho scoperte io. Per i musicologi e critici musicali greci è stato uno schock, non ci volevano credere.

Uno dei capitoli riguarda il beat italiano. Che altro c’è da dire in proposito?

È un argomento quantomai interessante, riflette la musica in Italia nella seconda metà dei Sessanta, quando sono nati la maggior parte di quei gruppi che per la maggiore presentavano e incidevano cover inglesi e americane. Erano le case discografiche a costringere i gruppi a incidere cover, perché dietro c’erano interessi economici. La faccenda l’ho raccontata fin dal mio primo libro, ovvero in Italia chi adattava in italiano una canzone straniera di successo diventava automaticamente autore della stessa canzone e percepiva redditi anche sulla canzone originale ogniqualvolta venisse trasmessa, in radio o televisione e anche dal vivo. Bastava depositare la traduzione in Siae. Conosco autori che hanno percepito cifre di centinaia di milioni per un solo brano tradotto. Pensa a canzoni di Beatles e Bob Dylan, ma anche Procol Harum e Rolling Stones. Pensa che «Repent Walpurgis» dei Procol Harum è un brano strumentale e in Italia è stato fatto circolare con il titolo «Fortuna», non c’era testo, eppure è stato depositato come se fosse stato adattato in italiano. La legge che regola i diritti non è mai stata cambiata in Italia, ma a un certo punto, nella seconda parte dei Sessanta, gli editori anglo americani hanno capito che cosa stava succedendo in Italia. Così hanno chiesto che nei contratti di licenza venisse inserita una clausola che, a fronte dell’autorizzazione alla traduzione in italiano del pezzo, si garantiva che la canzone fosse però incisa da un artista importante. Questo perché fino ad allora c’era una corsa a tradurre i vari brani stranieri per depositarli in Siae, ma non c’era l’obbligo di inciderli per ricevere i compensi.

Prima della pandemia ti avevamo ascoltato e apprezzato con lo spettacolo Radio Sessantotto dove presentavi canzoni tutte pubblicate in quell’anno. Cose in divenire?

Quello spettacolo lo abbiamo presentato in vari luoghi, con debutto a Parigi, ma non ho abbandonato l’idea di imbracciare la chitarra e suonare, sto infatti pensando a un nuovo spettacolo, sempre in compagnia di Mirko Puglisi al pianoforte e tastiere.

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