Breve storia di Catilina, il rivoluzionario

Catilina il malvagio o Catilina che voleva fare una rivoluzione nella Roma repubblicana sottraendo il potere all'aristocrazia?

Breve storia di Catilina, il rivoluzionario
Cicerone e la congiura di Catilina
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20 Maggio 2023 - 17.17


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di Gianluca Mazzei

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Conosciamo Lucio Sergio Catilina attraverso i racconti dei suoi contemporanei. Tra questi spiccano l’oratore Marco Tullio Cicerone e lo storico Gaio Sallustio Crispo. 

Catilina viene ritratto come un uomo di indole malvagia, sfrenatamente ambizioso e scellerato sebbene sia Cicerone che Sallustio non possano fare a meno che ammirarne la sua grande vigoria fisica e la sua temerarietà.

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Sallustio scrive nel suo “De Catilinae Coniuratione” che egli era di grande forza di animo e corpo, ma malvagio ed amante delle discordie civili.

Analogamente Cicerone, nel suo “Pro Caelio”, un’orazione del 56 a.C , in difesa di un giovane patrizio, Marco Celio Rufo, accusato anche di aver simpatizzato per Catilina. ammira la grande capacità di dissimulare del suo nemico storico e il grande fascino che emanava sui giovani.

Catilina, nato a Roma nel 108 a.C, pur appartenendo all’aristocrazia romana era in grandi difficoltà economiche. Durante la guerra civile tra Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla, fu un sostenitore di quest’ultimo, fra gli ottimati. Sallustio nelle “Historiae”, evidenzia le atrocità compiute da Catilina durante la dittatura di Silla. La più truce fu quando, dopo aver decapitato con le sue mani il cognato Marco Mario Gratidiano, noto esponente del partito mariano, colpevole di aver ucciso Quinto Lutazio Catulo, si recò in Senato per gettarne la testa ai piedi di Silla.

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Ci viene tramandato inoltre che Catilina, dopo aver ucciso Gratidiano ed essersi separato dalla sorella di questi, Gratiana, sua prima moglie, uccise il figlio per poter sposare la sua seconda moglie, Aurelia Orestilla.

La sua spietatezza e malvagità furono sempre temute dai suoi nemici ed anche dai suoi alleati, fra questi Marco Licinio Crasso e Gaio Giulio Cesare.

Catilina, soprattutto grazie all’aiuto finanziario di Crasso, poté intraprendere il cursus honorum: fu questore nel 78 a.C, edile nel 70 e pretore nel 68. Fu successivamente propretore in Africa.

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Parallelamente al conseguimento delle cariche, subì due processi. Il primo suscitò un grande scandalo avendo egli avuto una relazione carnale con una Vergine Vestale, Fabia, cognata di Cicerone, perché sorella di sua moglie Terenzia. A causa di ciò subì un processo politico dal quale venne però assolto.

Fu di nuovo processato di ritorno dall’Africa, per concussione, e per tale motivo venne rifiutata la sua candidatura per l’elezione a console nell’anno 66. Dovette attendere due anni per poter avanzare la sua candidatura per il consolato del 63 a.C.

In quegli anni la Repubblica versava in un profondo dissesto finanziario ed in grave crisi istituzionale. 

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L’oligarchia, composta dagli optimates, gli aristocratici che detenevano il potere, temeva a quel tempo la forza di Gneo Pompeo Magno che teneva in pugno le legioni romane.

La plebe romana, fortemente indebitata, ed i legionari, proletari in armi dopo la riforma mariana, a cui non era stato riconosciuto il diritto al bottino di guerra, erano elementi molto facilmente disposti per una rivoluzione.

Catilina divenne esponente dei populares, finanziato sempre da Crasso, l’uomo più ricco di Roma, ed il suo cavallo di battaglia divenne la cancellazione generale dei debiti e la riforma del potere in senso popolare, sottraendolo alla piccola aristocrazia che lo accentrava nelle sue mani. 

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Nel 66 a.C partecipò, insieme ad Autronio e Publio Cornelio Silla, a una congiura contro gli ottimati. Questo primo tentativo di sovvertire lo Stato non è molto noto ed ha contorni ancora incerti così come non è sicura la partecipazione di Giulio Cesare alla congiura. Il principale obiettivo era quello di assassinare i più influenti ottimati, a partire dai consoli di quell’anno e di sostituirsi a loro per prendere il potere. Questa cospirazione fallì a causa di una mancata coordinazione tra i congiurati,

Catilina adesso suscitava i più grandi timori nei nobili, che per il consolato del 63 a.C gli opposero Cicerone. Catilina aveva un alleato in Gaio Antonio Ibrida, ma Cicerone lo allontanò da lui per avvicinarlo a sé stesso, con la promessa di affidargli la provincia della Macedonia dopo il consolato. Così furono eletti consoli Cicerone e Antonio Ibrida.

Catilina avanzò la sua terza richiesta di un consolato per il 62, ma fu di nuovo battuto da Decimo Giunio Silano e Lucio Licinio Murena. Fu così che maturò l’idea di una seconda congiura per sovvertire lo Stato con l’appoggio della parte più miserabile della plebe, dei politici e dei soldati sillani caduti precedentemente in disgrazia e dei giovani aristocratici ricchi di ideali e senza sesterzi.

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Anche questa seconda congiura però fallì. Infatti un congiurato, Quinto Curio, si vantò incautamente con l’amante Fulvia che presto sarebbero diventati benestanti, grazie proprio a Catilina. Fulvia si allarmò e si diresse alla casa di Cicerone, per confidargli quanto le era stato detto. Era la sera del 7 novembre, quando in una riunione Catilina ordinò al senatore Cetego e al cavaliere Vargunteio di assassinare Cicerone. I due si avviarono alla casa del console, ma questi, conoscendo in anticipo le loro intenzioni, si barricò nella sua domus e non gli permise di entrare.

Il giorno successivo Cicerone convocò il Senato nel tempio di Giove Statore. A questa seduta partecipò audacemente anche Catilina che, appena si sedette, creò un vuoto attorno a sé.

Cicerone pronunciò un’orazione vibrante che sarebbe poi stata pubblicata nel 60 con il titolo di Prima Catilinaria. L’incipit è celebre, formato da tre incalzanti domande retoriche:<<Quo usque tandem, Catilina, abutere patientia nostra? Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?>> (<<Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza? Quanto a lungo questo tuo furore si prenderà gioco di noi? Fino a che punto si spingerà la tua sfrenata audacia?>>). 

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L’obiettivo dell’orazione era quello di allontanare Catilina da Roma, e fu pienamente raggiunto. Il capo della congiura si rifugiò in Etruria dove un suo seguace, Aulo Manlio, stava formando un esercito di rivoltosi composto in maggior parte da uomini disperati.

A Roma rimase un piccolo gruppo di congiurati, capeggiati da Publio Cornelio Lentulo Sura, uomo inetto ed incauto, che avvicinò gli Allobrogi, una tribù gallica che reclamava gli stessi diritti dei cittadini Romani, proponendogli di unirsi al loro progetto rivoltoso.

Il risultato fu che i Galli si rivolsero al loro patrono, Fabio Sanga, che rivelò tutto a Cicerone. Il console, trionfante, suggerì ai Galli di far mettere per iscritto le proposte a Sura e compagni avanzando la scusa che le avrebbero portate a Catilina. Sul Ponte Milvio Sura, Cetego e compagni furono catturati nel mentre porgevano le lettere agli Allobrogi.

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Il giorno successivo, il 5 dicembre, i congiurati furono condotti in Senato e si dibatté sulla loro sorte. Si propendeva già per la condanna a morte, quando intervenne il giovane Giulio Cesare, Pontefice Massimo, che propose di risparmiare loro la vita.

Già tutti stavano accordandosi alla sua proposta, quando intervenne in modo veemente il tribuno della plebe Marco Porcio Catone, che convinse il Senato sulla condanna a morte dei catilinari, che avvenne nel Carcere Mamertino.

Quest’esecuzione si rivelò successivamente un boomerang per Cicerone perché, seppure era stato proclamato lo stato di assedio dal 21 ottobre, che dava al Senato pieni poteri, tale condanna non era tuttavia legale in quanto mancava la provocatio ad populum, cioè l’approvazione del popolo.

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Nel frattempo due eserciti comandati da Antonio Ibrida e Quinto Cecilio Metello Celere marciavano contro Catilina che dapprima tentò di rifugiarsi in Gallia, ma vedendo che l’accesso alle Alpi era ostacolato dall’armata di Metello Celere, decise di dare battaglia a Pistoia contro l’esercito di Antonio Ibrida. Quest’ultimo, per non affrontarlo personalmente, cedette il comando al generale Petreio che diede battaglia a Catilina. Il combattimento fu aspro, difficile e doloroso. Vinsero a fatica i soldati di Petreio, ma la gioia fu amara e colma di sgomento.

Così infatti scrive Sallustio, nella traduzione di Vittorio Alfieri:<< Finita la battaglia, visto avresti allora davvero, di quale e quant’animo fosse stato l’esercito di Catilina. Quasi ogni soldato, quel luogo stesso che avea vivo nella battaglia occupato, morto, il copriva. Que’ pochi disordinati da prima dalle coorti pretoriane, benchè non nei lor posti, non caddero perciò feriti da tergo. Ma Catilina, assai lungi da’ suoi, fu trovato nel mezzo dei nemici cadaveri ancor palpitante; e tuttavia nell’esangue volto ritenea la prisca ferocia. Tra tanta moltitudine, in somma, niun libero cittadino né combattendo nè fuggendo fu preso: sì fattamente tutti, per aver l’altrui vita avean data la loro. La sanguinosa vittoria all’esercito del popolo Romano riuscì poco lieta, essendovi i migliori tutti rimasti, o morti sul campo, o mortalmente feriti.

Quelli, che per curiosità o per amor di preda, a rivolger venivano i nemici cadaveri, chi l’amico, chi l’ospite, chi ‘l congiunto, e chi pur anche il proprio privato nemico vi ravvisavano. Perciò, tripudiare a vicenda ed affligersi, gioire vedevansi e lagrimare>>.

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Catilina fu il seme della rivoluzione che sovvertì la Repubblica, profondamente malata sin da tempi della guerra civile tra Mario e Silla. Il frutto del sacrificio di Catilina fu raccolto dapprima da Cesare, che oltrepassò il Rubicone nel 49, e instaurò una dittatura “democratica” e successivamente, dopo il suo assassinio da Ottaviano, che divenne Augusto, il primo Princeps di Roma nel 27 a.C

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