Nablus: l'Intifada dei Leoni e la mattanza israeliana

Nablus, l’”Intifada dei Leoni” e la mattanza israeliana. Cronache di una guerra dimenticata

Nablus: l'Intifada dei Leoni e la mattanza israeliana
Nablus, Palestina
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Giugno 2023 - 15.43


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Nablus, l’”Intifada dei Leoni” e la mattanza israeliana.

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Cronaca di guerra

Dalla Newsletter settimanale dell’Ambasciata di Palestina in Italia.

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“All’alba del 22 maggio, le forze di occupazione israeliane hanno sparato a tre giovani palestinesi, uccidendoli durante un assalto su vasta scala al campo profughi di Balata, nella città di Nablus, nel nord della Cisgiordania. Si tratta di Fathi Jihad Rizq, 30 anni, Mohammad Bilal Zeitoun, 32 anni, e Abdullah Yousef Abu Hamdan, 24 anni. Oltre ai morti vi sono stati i feriti. Mentre i cecchini sparavano dai tetti, altri soldati facevano irruzione in decine di case dei rifugiati, le perquisivano, le saccheggiavano, e se volevano le facevano saltare in aria, come è  accaduto a quella della famiglia Abu Shalal. “Siamo rimaste sorprese nel vedere l’esercito sparare davanti alla nostra abitazione. Io e le mie figlie ci siamo quindi allontanate dalle finestre per evitare di essere colpite e ci siamo nascoste in bagno”, ha raccontato la donna che viveva nella casa colpita da un ordigno. “C’è stata un’esplosione e la casa è crollata. I miei mobili non ci sono più, tutto quello che c’era dentro è stato distrutto”, ha aggiunto. Nei dintorni, un bambino e una ragazza sono stati colpiti dalle schegge e altre abitazioni sono state danneggiate. 

Il Segretario Generale dell’Olp, Hussein Al-Sheikh, ha subito detto in un tweet che “il governo di occupazione ha dichiarato una guerra aperta contro i palestinesi, uccidendoli, distruggendo le loro case, profanando i loro luoghi sacri e costruendo insediamenti illegali. Ciò richiede che tutti i palestinesi si uniscano e sviluppino politiche per affrontare questa arroganza e questa pericolosa escalation”. Il messaggio che ci arriva, ha aggiunto Al-Sheikh, è che “il prezzo della sopravvivenza di questo governo e della sua coalizione è proprio il sangue palestinese”. 

Per questo il Ministero degli Esteri e degli Espatriati ha invitato la Corte Penale Internazionale (Icc) a rompere il silenzio e perseguire gli israeliani responsabili di questi crimini.

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L’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (Oic) ha parlato di “crimine efferato”, sottolineando che aggressioni contro la popolazione palestinese letali come queste si verificano ogni giorno per mano dell’occupazione. A rendere ancora più odioso l’accaduto, “il mondo intero ha visto come le forze di occupazione israeliane abbiano ostacolato i paramedici e le ambulanze mentre cercavano di svolgere il loro dovere umanitario di trasportare i feriti e fornire loro cure”, ha dichiarato la Ministra della Salute Mai Alkaila. Non per niente il Consiglio dei Ministri Arabi della Salute ha invitato la comunità internazionale e le organizzazioni per i diritti umani a intervenire con urgenza per  fermare le violazioni israeliane contro operatori sanitari, paramedici, ambulatori e pazienti nei Territori Occupati, sottolineando che ogni paziente ha il diritto di ricevere cure mediche in qualsiasi momento ne abbia bisogno, come garantito dalle leggi internazionali umanitarie.
Dall’inizio del 2023, l’esercito israeliano ha causato la morte di 156 palestinesi, tra cui 26 minorenni. 

La genesi dell’”Intifada dei Leoni”

I “Leoni” di Nablus. I militanti di Areen al-Usud (La Tana dei Leoni in arabo).Sono i millennials palestinesi che hanno rotto con le fazioni storiche – Hamas, Jihad islamico, Fatah – e che guardano alla gerontocrazia, sempre più instabile e screditata, dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) con un misto di distacco e di disprezzo. Per rappresentarsi usano Tik Tok, le canzoni, i social media. Non sono ispirati da una strategia politico-terroristica né eterodiretti dai Pasdaran iraniani o dalle petromonarchie del Golfo Arabico. Non sono pervasi dal “tradizionale” fanatismo jihadista, immolati al culto del martirio. A muoverli è una sorta di disincanto armato, la risposta distruttiva ad una realtà che non concede spazio alla speranza ed a una totale assenza di futuro. Il loro emergere, soprattutto in Cisgiordania, ha spiazzato le leadership di Hamas e di Fatah che hanno provato a mettere “il cappello” sulle azioni terroristiche o di resistenza armata dei “Lions” ma senza riuscire a ricondurre a sé lo spontaneismo armato palestinese. E lo stesso si può dire per gli attori esterni –Turchia ,Egitto, Iran, Arabia Saudita, Qatar , EAU – che con strumenti diversi – dal sostegno economico a quello delle armi – fanno della “questione palestinese” un tassello del loro Risiko regionale. Questo schema è saltato. A Nablus, Jenin, nell’intera Cisgiordania. E non sarà un presidente ultraottantenne, sempre più isolato nella sua roccaforte di Ramallah,  a rinsaldarlo. “In poco tempo – annotano in un interessante reportage per Mondo Weiss Mariam Barghouti e Yumma Patel – da Nablus i giovani combattenti hanno guadagnato lo status di eroi in tutta la Palestina. Nelle strade della Città Vecchia di Nablus, tuttavia, i Leoni sono più che semplici eroi mitici. Sono i fratelli, i figli e gli amici della gente di qui. Sono i vicini di casa, vicini che li hanno visti crescere, quando da bambini compravano merendine dal negozio in fondo alla strada e facendo trambusto con gli altri bambini del quartiere”. I combattenti della porta accanto.

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  L’ identificazione ideologica del gruppo è tenue, ma spicca la sua comprensione delle regole del marketing dei social media. I membri del gruppo sono diventati eroi di TikTok nei territori e hanno acquisito un gran numero di follower su Instagram (circa 160.000 al suo apice). La “Tana dei Leoni”, le Brigate Jenin, i cui adepti hanno tra i 18 ed i 25 anni, rimarcano fonti palestinesi indipendenti a Ramallah, sono la risposta armata all’impasse e alla frustrazione dei palestinesi di fronte alle lotte intestine dei loro vertici politici, mentre le condizioni di vita nei Territori Occupati si degradano, nel solco di un fallimento del processo di pace. Crescono con il mito del “Leone di Nablus”. Cosi Era soprannominato Ibrahim Nabulsi, il leader delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa (l’ala militare di Fatah,) ucciso il 9 agosto 2022 in scontri con i soldati israeliani che hanno fatto irruzione nella sua casa di Nablus. Un mito veicolato nei video che spopolano in rete, nelle canzoni dei rapper palestinesi.  

Ad alimentare la loro capacità d’attrazione è la violenza crescente dei coloni più oltranzisti, che possono contare sulla copertura dei partiti di estrema destra al governo in Israele. Non è dunque un caso che il proselitismo della “Tana dei leoni” è cresciuto di molto dopo il pogrom a Huwwara a opera dei coloni ultranazionalisti che vivono attorno a Nablus. “In Israele cambiano i governi ma non le politiche nei confronti dei palestinesi – dice Nasser Abul Hadi, un giornalista cisgiordano al corrispondente del Manifesto a Gerusalemme, Michele Giorgio –  (Israele) usa solo la forza, non analizza i cambiamenti che avvengono nella società palestinese, sul terreno, e non bada alle conseguenze dell’occupazione militare che dura da 55 anni”. I proiettili che sparano i soldati, aggiunge, “stanno creando nuovi eroi per milioni di persone stanche dell’occupazione. I giovani palestinesi non accettano di vivere in queste condizioni e non pochi fra loro si uniscono alle organizzazioni armate, specie nei campi profughi di Jenin e Nablus”.

“I membri del gruppo –spiega Jack Khoury, firma storica di Haaretz, tra i giornalisti israeliani più addentro al campo palestinese –  sono attivi nell’area di Nablus, principalmente nella Città Vecchia e nel campo profughi di Balata, e il loro obiettivo dichiarato è quello di affrontare i soldati dell’Idf quando entrano in città o vengono a proteggere i fedeli alla Tomba di Giuseppe, alla periferia della città. La maggior parte di loro sono giovani laici di età compresa tra i 18 e i 24 anni che non frequentano le moschee e non sono influenzati da figure religiose.
Parlando con Haaretz, i membri del gruppo hanno riconosciuto che le loro operazioni sono incentrate sulla risposta alle operazioni dell’esercito israeliano o sono avviate a livello locale. “Non esiste una sala operativa in senso militare, né piani o obiettivi formali”, affermano. Aggiungono che sono lontani dall’essere una milizia organizzata e non svolgono operazioni come quelle che l’ala militare di Hamas o la Jihad islamica compiono nella Striscia di Gaza. “È più una risposta alle forze israeliane che entrano a Nablus o agli spari casuali contro le postazioni dell’esercito o contro gli obiettivi dei coloni”, dicono, anche se a volte ci sono tentativi di sfidare l’esercito. Fino a qualche mese fa, la maggior parte dei membri della Tana del Leone era identificata con la fazione palestinese Fatah che controlla l’Autorità Palestinese. Molti sono anche parenti di persone che fanno parte delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese e che in passato hanno fatto parte della forza Tanzim di Fatah o di gruppi armati che rispondevano all’Autorità Palestinese e alle sue forze di sicurezza.”
Sui millennials palestinesi le tradizionali leadership politiche non hanno presa. Non sono modelli da seguire. E a funzionare non è neanche più il “mito” ormai sbiadito dal tempo di Yasser Arafat, né la chiamata alle armi da parte di Hamas e del Jihad islamico Secondo Khalil Shikaki, direttore del   Palestinian Center for Policy and Survey Research (Pcpsr), i giovani palestinesi sposano valori più liberali di quelli dei loro anziani e sono più insoddisfatti della loro leadership politica, in particolare su questioni di governo, condizioni economiche e status quo con Israele. I giovani palestinesi sono anche più propensi a sostenere la resistenza armata all’occupazione e a favorire la soluzione di uno Stato unico, poiché per loro “la richiesta di indipendenza e sovranità è meno importante della richiesta di uguali diritti”, rimarca Shikaki. In un recente sondaggio del Pcpsr, i palestinesi che hanno indicato la disoccupazione e la corruzione come i problemi più seri che la società palestinese deve affrontare oggi sono più numerosi di quelli che hanno puntato il dito contro l’occupazione israeliana.

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Usati come strumenti di morte, ma quando c’è da decidere, messi da parte da nomenclature, laiche o islamiste, che non hanno alcuna intenzione di lasciare spazio  a forze nuove. I millennials palestinesi sono “invisibili” anche per i vecchi notabili di Ramallah o di Gaza. E quando rivendicano spazio e diritti, ecco intervenire la polizia di Hamas o dell’Autorità nazionale palestinese. 

Osserva Amos Harel, tra i più autorevoli analisti militari israeliani: “Nell’ultimo anno, Israele ha sequestrato centinaia di armi contrabbandate attraverso i confini giordani, libanesi ed egiziani, ma molti tentativi di contrabbando hanno presumibilmente successo. La Cisgiordania e le città arabe in Israele sono piene di armi. Questa è la principale differenza tra l’attuale ondata di terrore, iniziata nel marzo del 2022, e quella precedente del 2015-16. Quest’ultima prevedeva principalmente accoltellamenti e attentati alle auto, e talvolta armi improvvisate. Oggi anche un ragazzino di 13 anni può procurarsi una pistola. Il fatto che anche questa volta gli attacchi siano commessi principalmente dai cosiddetti lupi solitari – persone non affiliate ad alcuna organizzazione terroristica – rende più difficile identificarli in anticipo e aumenta la frustrazione degli israeliani.[…] La Cisgiordania sta tornando a essere il Far West. E questo aumenta le possibilità che il ciclo di vendetta israelo-palestinese continui a crescere”.

“Oggi abbiamo una nuova generazione che è consapevole della resistenza, e questa è una generazione che conosce la ferocia dell’occupazione”, ha detto all’agenzia Reuters un giovane combattente mascherato durante una manifestazione a Jenin il mese scorso. 
“Il numero dei combattenti è in continua crescita e il nemico deve sapere che la violenza contro la nostra gente e i nostri campi sta aumentando il loro numero, non lo sta riducendo”, ha aggiunto un uomo armato mascherato della Brigata Jenin.
“È come se sul campo ci fosse un movimento trasversale che supera l’inerzia dell’Anp”, rimarca Romana Rubeo, caporedattrice del The Palestine Chronicle, testata specializzata sui Territori palestinesi in lingua inglese. 

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Fino ad ora – rimarca Nello Del Gatto in un documentato report per  Affarinternazionali –  i membri del gruppo armato hanno operato in piccolissimi reparti di due-tre persone e hanno tenuto come quartier generale il centro della città vecchia di Nablus, ritenuto inespugnabile e che invece è stato attaccato e sopraffatto dalle forze israeliane anche con artiglieria pesante. Qui si erano creati laboratori per la creazione di ordigni e depositi di armi. I loro obiettivi sono azioni piccole e letali, spesso contro l’esercito, poliziotti o coloni. La mobilitazione, sia per la lotta armata che per il sostegno, avviene soprattutto sui social, in particolare Tik Tok. Questo ha permesso anche la nascita di leader popolari, non solo all’interno del gruppo, ma anche all’esterno: sfruttando la notorietà della lotta armata dei leoni o essendo parenti di membri del gruppo caduti in scontri con l’esercito israeliano, infervorano sempre più giovani nella lotta armata. Per molti osservatori, questo gruppo rappresenta una spina nel fianco per l’Autorità palestinese che già ha perso il controllo delle strade e delle università nei confronti di Hamas”.

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