Perché ho fatto diventare romanzo la battaglia partigiana di Fiesso e Vigorso
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Perché ho fatto diventare romanzo la battaglia partigiana di Fiesso e Vigorso

Presenterò in anteprima a Cà di Malanca (Brisighella, Ravenna), uno dei luoghi simbolo della Resistenza in Emilia-Romagna, il mio nuovo libro “L’ultima tragica cascina” (Edizioni del loggione).

Perché ho fatto diventare romanzo la battaglia partigiana di Fiesso e Vigorso
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Claudio Visani Modifica articolo

25 Aprile 2024 - 00.31


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Domani presenterò in anteprima a Cà di Malanca (Brisighella, Ravenna), uno dei luoghi simbolo della Resistenza in Emilia-Romagna, il mio nuovo libro “L’ultima tragica cascina” (Edizioni del loggione). Il romanzo è ispirato alla battaglia partigiana di Fiesso e Vigorso del 20 e 21 ottobre 1944, una delle più cruente azioni nazifasciste della bassa bolognese con ventinove caduti e lo sterminio di sette degli otto componenti della famiglia contadina proprietaria della cascina dove i “ribelli” avevano trovato riparo. Vicenda nota ma poco indagata. Una sorta di piccola Marzabotto di cui, inspiegabilmente, è stato scritto poco e niente, a cominciare dalle storie e dalle testimonianze dei protagonisti e dell’unica sopravvissuta civile all’eccidio, Chiara Poluzzi. 

Ho cominciato a lavorarci un anno e mezzo fa. Lo spunto me l’ha dato Monica, una cara amica che abita nei luoghi dove tutto accadde. A convincermi a scrivere questa storia è stato però il velo di reticenze che la circondava, come se esistessero verità indicibili da lasciare sepolte. All’Istituto Parri di Bologna ho trovato un ricco fondo documentale donato dal figlio di Luigi Broccoli, il partigiano “Carlo”, che visse quei giorni. E anche delle musicassette con le interviste mai sbobinate ai protagonisti di quei fatti, compresa una, inedita, a Chiara Poluzzi.  Scartabellando nei faldoni ho anche rintracciato i nomi di tre testimoni ancora in vita che vissero in prima persona gli avvenimenti di quei tragici giorni: il partigiano Mario Neri, la sorella di uno dei “ribelli” caduti, Imelde Tassoni, e Franco Vanti, scampato all’ultimo con la sua famiglia a una seconda strage di contadini. Sempre tra quelle carte è spuntata anche la figura di un “tedesco buono”, il maresciallo Muller, direttore del polverificio Baschieri e Pellagri che occupava ottocento lavoratori, un amico della Resistenza e della popolazione del luogo che ha salvato molte vite ma a cui nessuno ha mai reso pubblicamente merito. 

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A quel punto gli ingredienti c’erano tutti. Restava solo da trovare l’idea, il modo e la forma su come scrivere questa storia: saggio, libro storico, romanzo? Anche qui mi è venuta in soccorso Monica: “Perché non la fai raccontare a un giovane, ai ragazzi di oggi?”. L’idea mi ha intrigato. Ho pensato alle parole di Liliana Segre: “La memoria è un vaccino contro l’indifferenza e l’odio. Ricordare, conoscere e tramandare ci aiuta a rimanere liberi”. E mi sono detto che quella tela poteva essere tessuta facendo toccare, vedere e ascoltare le vite e le memorie dei nonni ai loro nipoti. Chi meglio di loro può tirare quel filo? Mi sono inventato come protagonisti narranti un insegnante di italiano e storia, Enrico Barbieri, che coinvolge in questo viaggio i suoi alunni di terza, e la ricercatrice Laura Bellini, entrambi quarantenni. Ho chiesto aiuto a mia figlia Ilaria, che insegna alle medie, per entrare nel mondo della scuola di oggi. 

Restava però il problema di connettere l’invenzione narrativa con i fatti realmente accaduti, con i documenti storici, le testimonianze scritte, le persone in carne e ossa, con nome e cognome, che quella vicenda l’avevano vissuta. Ne è nato un romanzo, o meglio un ibrido tra romanzo e saggio ambientato ai giorni nostri nel bolognese, che ricostruisce in diretta, attraverso una ricerca collettiva, quel che accadde ottant’anni fa. Un lavoro che apre nuovi squarci sugli aspetti dimenticati e più oscuri della vicenda, prova a chiarire qualche mistero, ad esempio sul perché i partigiani del Distaccamento “Elio Pasquali” della Quarta Brigata “Venturoli” fossero lì, in quell’ultima tragica cascina, la notte che scattò il rastrellamento tedesco che era stato ampiamente annunciato. E cerca di raccontare cosa andò storto, di capire se ci furono errori nella catena di comando, spiate, tradimenti. 

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Diranno i lettori se ci ho azzeccato e funziona. Il romanzo l’ho dedicato a mia madre Bruna e a mio padre Ivo, che da quindicenni vissero in prima persona la guerra dei contadini a sostegno della Resistenza. Ha la prefazione dello storico direttore dell’Istituto Parri, Luca Alessandrini, e questa deliziosa pillola del decano degli scrittori bolognesi, Loriano Macchiavelli, in quarta di copertina: “Incontrare Enrico Barbieri, il protagonista, mi ha fatto bene. Le storie vere che è andato a scovare per togliere loro la polvere del tempo, mi hanno ricordato da dove veniamo. Come me, molti lo hanno dimenticato. E viviamo tempi neri. È stato come se mi avesse sussurrato all’orecchio, assieme a Renata Viganò: “Ma io vorrei morire stasera, e che voi tutti moriste col viso nella paglia marcia, se dovessi un giorno pensare che tutto questo fu fatto per niente. E mi sono chiesto: “Fu fatto per niente?”

Da qualche giorno il romanzo è disponibile negli store online (anche nella versione e-book) e nelle librerie fisiche. Se lo leggerete e vorrete scrivere cosa ne pensate a me, su questo giornale o sui social, ve ne sarò grato.

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