Napoleone, il mito resiste a oltre due secoli dalla sua morte
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Napoleone, il mito resiste a oltre due secoli dalla sua morte

Un viaggio nella mente straordinaria dell'Imperatore scomparso oltre duecento anni fa, con lo scrittore Ernesto Ferrero, studioso del geniale statista ma anche condottiero accentratore e sanguinario

Napoleone, il mito resiste a oltre due secoli dalla sua morte
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5 Maggio 2024 - 01.27


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Il 5 maggio 1821, giorno della morte di Napoleone: duecento e più anni in cui si è parlato dell’imperatore corso Bonaparte. Anzi da ancor di più, visto che il mito del condottiero nasce mentre le gesta si compiono. Con Ernesto Ferrero, che in N. (premio Strega 2000) ha raccontato l’età dell’Impero e oggi prova l’impossibile, riassumere in venti parole colui che sentiva in sé l’infinito, si parte dal momento zero del mito. Dalla sua presa di coscienza, da quella che Elias Canetti chiama la ‘scarica’, ciò che libera e ‘rende tutti uguali’ i componenti di una massa adorante un leader.

“Sin dalla prima campagna d’Italia, – ha osservato Ferrero – cioè da quando lui ha le percezione esatta delle proprie potenzialità, è Napoleone stesso a rimanere colpito da se stesso. Alla verifica dei fatti scopre che nulla gli è impossibile. Arriva a duecento chilometri da Vienna. Scopre che è diventato più forte del Direttorio, che si tratta solo di aspettare il momento buono e il potere è a portata di mano. E da quel momento, da quando arriva a Milano, costruisce scientificamente il proprio mito, tra l’altro pubblicando due giornali che ne esaltano le imprese. Fino a diventare un grandissimo manipolatore dell’opinione pubblica, un inventore del marketing di se stesso: migliaia di statuette, migliaia di immagini, oltre ai grandi ritratti del David. Tramite i suoi informatori anticipa addirittura i sondaggi, travestito va in giro per i mercati per catturare gli umori popolari”.

Ma la costruzione del consenso, dovremmo saperlo ormai, secoli dopo, da sola non basta. C’è bisogno della capacità di governo, dell’intuire ciò che il futuro vuole. C’è bisogno di una qualche forma del genio.

“Per questa sua fulminea e acutissima conoscenza dell’animo umano, che è anche difficile da spiegare in un 27enne, come se avesse letto tutti i possibili classici, capisce subito che gli adulti hanno bisogno di favole, capisce il ‘potere stupefacente delle parole sugli uomini’. Utilizza l’arte, con cui segnerà i momenti epici della sua vicenda. Insomma, crea il mito dell’eroe invincibile, che è esattamente quello di cui il ‘mercato’ aveva bisogno, senza saperlo, come sempre accade per i grandi innovatori, i grandi inventori. E lo costruisce, come lui stesso dice esplicitamente, ‘con il buon governo’. Teorico della meritocrazia, apre le carriere ai figli del popolo perché dice, il talento non è ereditario”.

A proposito di popolo, è scontato chiedersi se Napoleone sia stato anche prototipo dei leader ‘populisti’ che seguiranno. E “in un certo senso la risposta è sì – ha concordato Ferrero – basta pensare a quando si appella direttamente al popolo francese, al ricorso ai plebisciti”. Sentiva con sé, senza mediazioni parlamentari, “il popolo, i contadini, e l’esercito, ma fino agli ufficiali”, non i parigini “che considerava inaffidabili”, tuttavia sarebbe riduttivo inchiodarlo al cliché del demagogo, c’è da descrivere anzi il suo “buon governo”.

“Sin dal Consolato, il generale si rivela anche uno straordinario amministratore, un gestore della complessità: è l’uomo del Codice Civile, riforma l’amministrazione portando a far pagare le tasse chi prima non le pagava, ha l’ossessione del budget – ‘neanche un franco va sprecato’ – riforma la giustizia. Considerandosi un bravo matematico, un uomo che lavora sui numeri, sui fatti certi, crea l’istituto di statistica. Tutti i giorni fa una specie di fact checking molto preciso e i suoi ragionamenti e le sue decisioni sono sempre fondate sui documenti. È un grandissimo ministro della cultura, fa del Louvre il primo vero museo nazionale, e usa la cultura come arma politica come all’incontro di Erfurt, quando stupisce i sovrani d’Europa convenuti per ridisegnare gli assetti del continente, portando sette serate di grande teatro classico francese. Sbalordisce Goethe, che rimarrà impressionato da Napoleone anche dopo la sua caduta:

‘È come se fosse colpito da una continua illuminazione’, scriverà. Questa energia costruttiva stupisce i contemporanei ed è parte integrante della leggenda: questo non è solo un generale che vince, ma uno che fa le cose e che riesce a trasformare quel caos di macerie che era la Francia uscita dalla Rivoluzione in uno Stato moderno”.

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