di Alessia de Antoniis
Due corpi in scena, un ambiente spoglio, eppure tutto pieno: di parole, di gesti che si rincorrono, di quotidianità che si attorciglia. Come nei giorni migliori, testo di Diego Pleuteri già emerso nel circuito della nuova drammaturgia contemporanea e diretto da Leonardo Lidi, è un dialogo ininterrotto tra due uomini che si amano e si perdono, che si ascoltano e si ignorano, che si evocano e si respingono come onde senza riva.
Giochiamo? Però questa volta, se perdo, non mi lasciare. Una frase come questa potrebbe chiudere una scena o una storia d’amore. Invece apre a una domanda più grande: è ancora possibile essere una coppia? È il cuore di Come nei giorni migliori, interpretato da Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese, finalisti al Premio Ubu 2023 nella categoria miglior attore/performer under 35.
Come nei giorni migliori. Una scrittura, quella di Pleuteri, sorprendentemente matura. Dialoghi incalzanti, forti di un realismo lucido ma mai pedante, dove la quotidianità si eleva a forma scenica senza diventare mai naturalismo stanco. C’è una precisa gestione dei silenzi, delle interruzioni, dei non detti che brillano quanto le battute. Una scrittura serrata, nervosa, ironica, affilata. Ma non è flusso di coscienza: è flusso relazionale, affettivo, disfunzionale. Un ping pong verbale in cui ogni battuta, anche la più quotidiana, scava più che spiegare. Si ride, ma è una risata che punge. Un testo scritto per uno spettatore che si riconosce, ride, si difende. E poi, magari, si arrende.
La regia di Lidi si sente ma non sovrasta. Accompagna. Traccia un codice ritmico preciso e lascia che i due attori ci giochino dentro con libertà rigorosa. È regia di maestria invisibile quella che illumina senza mettersi in mostra. La scelta dello spazio vuoto si combina con la direzione attorale: niente accessori, niente scenografie ingombranti. Solo gesti, respiro, voce. Uno spettacolo che si muove in uno spazio bianco, essenziale. Al suo interno, solo due corpi e una relazione da attraversare. Attraversare. Perché quello che vediamo non è la rappresentazione di un amore, ma un transito continuo tra ruolo e verità, tra ironia e resa.
I due attori si rincorrono in scena con la rapidità e l’intelligenza muscolare di due schermidori o di due acrobati in un numero a due. Il corpo è preciso, scattante, mai superfluo. Hanno la stessa coordinazione di due tennisti a Wimbledon: lo spazio è tutto vuoto, ma viene abitato, attraversato, occupato con maestria. Non sfugge una palla, non cade una replica: è teatro fisico anche quando non c’è azione.
In questa costruzione, Bandini e De Vreese non recitano: vivono. Danno prova di una maturità scenica rara. Bandini ha musicalità e istinto comico; De Vreese governa la fragilità con disarmante lucidità. Insieme incarnano la cifra del teatro di relazione: dire senza spiegare, agire senza teatralizzare.
Il ritmo drammaturgico, poi, ricorda davvero una partita a padel giocata con il cuore: cambi di registro repentini, improvvise smorzature, attacchi e arretramenti. Lidi imposta una regia per sottrazione, lascia spazio al respiro, lavora sul bianco e sull’eco delle battute, orchestra con misura. Il ritmo è di per sé una delle cifre dello spettacolo. C’è una tensione sempre controllata, una dinamica quasi musicale tra climax e anticlimax. Alcuni momenti sembrano rotture, invece sono appoggi. “Non è che non ti amo più. È che non so più come farlo”. E l’altro tace. In quel silenzio c’è tutto.
Nel gioco linguistico che passa da Jessica Fletcher a Billy Elliot, tra paternità rimandate, lavori precari e viaggi a Parigi, lo spettacolo tratteggia con leggerezza feroce una generazione che ha rinunciato a ogni forma di sicurezza ma non alla speranza del noi.
Abbiamo vinto dei giri di giostra in più. È forse questa la chiave dello spettacolo: il tempo supplementare di chi, sopravvissuto al cinismo, vuole ancora credere che amare sia un verbo al presente.
Come nei giorni migliori è un teatro senza appigli, che ci racconta senza proclami, ci osserva nei nostri dettagli più fragili, ci restituisce un noi che, seppur traballante, cerca ancora casa.
C’è qualcosa di raro in questa operazione: una generazione teatrale che non urla per farsi notare, ma affina gli strumenti. Non recita la propria giovinezza, la usa. E forse è questo che sorprende: il fatto che dietro tanta spontaneità si senta una preparazione profonda, una cura, una consapevolezza scenica e drammaturgica di altissimo livello.
Quello andato in scena all’India è uno spettacolo che si potrebbe facilmente rovinare, scivolando nel melò o del “già visto”. Ma non accade. Perché c’è una nuova leva del teatro che conosce bene i meccanismi del racconto scenico e li destruttura con intelligenza. Pleuteri e i suoi interpreti sono la prova che la pedagogia teatrale funziona quando forma artisti che sanno stare in scena senza recitare la scuola.
Speriamo solo che non perdano quella loro studiata spontaneità. Perché nel teatro, come nelle coppie, è proprio quella la cosa più difficile da conservare.
Come nei giorni migliori di Diego Pleuteri
Regia di Leonardo Lidi
Con Alessandro Bandini e Alfonso De Vreese
Teatro India, Roma – dal 14 al 25 maggio 2025