Come il mito dell'Italia vittima nella Seconda guerra mondiale alimenta falsi storici e narrazioni tossiche
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Come il mito dell'Italia vittima nella Seconda guerra mondiale alimenta falsi storici e narrazioni tossiche

In Mancò la fortuna, non il valore, Fabio De Ninno decostruisce il mito autoassolutorio sull’Italia fascista nella Seconda guerra mondiale.

Come il mito dell'Italia vittima nella Seconda guerra mondiale alimenta falsi storici e narrazioni tossiche
Un carro armato tedesco in Russia
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Marco Buttafuoco Modifica articolo

28 Maggio 2025 - 10.48


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Mancò la fortuna, non il valore di Fabio De Ninno (Laterza 2025, pagg180, prezzo di copertina 18 Euro, Ebook 9,99 Euro) è l’ultimo volume edito da Laterza della collana Fact Checking: la Storia alla prova dei fatti, diretta da Carlo Greppi. Si tratta di una serie di volumi di dimensioni contenute, di lettura rapida, ma non per questo non impegnativa, destinate a un pubblico non accademico (I titoli riprendono luoghi comuni del linguaggio politico che vengono poi  decostruiti nel testo)  Lo scopo è quello di fare il punto su tutta una serie di questioni storiche, che oggi, col progredire della destra internazionale ( ma aggiungerei, personalmente, anche di una sinistra putiniana e  neo stalinista) sono terreno d’incursione, soprattutto sui social, di esperti  improvvisati, di facitori di Fake news, di revisioni storiografiche approssimative o false. 

A dire il vero le polemiche sulla partecipazione italiana alla Seconda Guerra Mondiale precedono di decenni l’era dei social. Il paradigma vittimario, quello secondo cui le nostre Forze Armate furono vittima di tradimenti da parte delle gerarchie militari e non della dissennata politica del regime fascista, ha avuto una sua certa fortuna fin dai primi anni del dopoguerra. 

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Fabio De Ninno smonta abilmente questo paradigma. Gli alti comandi ben si adattarono al Regime e alla sua politica, pur essendo consapevoli dei limiti economici e strutturali dell’Italia prebellica. Gestirono in totale autonomia, le cospicue risorse messe a disposizione dal Regime senza pensare a un coordinamento strategico vero (O Badoglio, Pietro Badoglio / ingrassato dal fascio littorio, cantarono più tardi i partigiani). Si fidarono, in generale dell’intuito politico di Mussolini, che era uomo aduso al tatticismo, ma pessimo stratega, nonostante fosse narcisisticamente convinto del suo genio militare.  

Testimonianza inconfutabile di questo atteggiamento mentale fu la Guerra di Grecia dell’autunno del’40, in vista della quale gli alti comandi si piegarono alla fretta del Duce, mandando in battaglia (al macello) truppe non preparate che furono duramente sconfitte. La stessa improvvisazione e una crescente invidia/sudditanza nei confronti di Hitler fu all’origine anche dello sciagurato intervento contro l’Unione Sovietica. 

In altre parole l’Italia, dal 10 giugno 1940 all’8 settembre 1943 (limite temporale del volume), perse su tutti i fronti, dovette abbandonare le conquiste coloniali e fu invasa. L’inefficienza delle Forze Armate, mal equipaggiate, indebolite dalle guerre pur vittoriose in Etiopia e Spagna (paese che poi entrò nell’orbita tedesca), è ascrivibile solo all’intera classe dirigente italiana, e in primo luogo al dittatore che sognava di fare del popolo italiano una invincibile falange. 

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Il libro si sofferma in forma ampia anche sulla condizione degli italiani non combattenti e sulle atrocità commesse dalle truppe italiane nei paesi occupati. I sanguinosi bombardamenti sulla città di Barcellona furono i primi nella storia dell’aeronautica militare. 

Queste poche righe di recensione non rendono all’autore tutto il merito del suo lavoro. Sfatare le leggende su un’Italia sfortunata e vittima innocente della seconda guerra mondiale è impresa ancora oggi, stranamente difficile, se non improba. L’entrata nella guerra mondiale e la gestione del conflitto non furono “il solo errore” di Mussolini e del suo regime, come sostengono ancora molte persone: furono uno dei suoi crimini.

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