di Rock Reynolds
È uno spicchio d’Europa, piccolo quanto prezioso, che limita l’accesso della Germania, a nord, e della Francia, a sud, al Mare del Nord, rappresentando al tempo stesso un baluardo politico e geografico di separazione per le due superpotenze. Si tratta delle Fiandre, divise fra l’odierno Belgio e l’odierna Olanda. Contese per la loro posizione strategica, le province settentrionali, appartenute fino ad allora alla corona spagnola, assunsero una loro fisionomia di stato sostanzialmente indipendente con il nome di Province Unite – per la precisione, Repubblica delle Sette Province Unite – tra il 1581 e il 1795, anno in cui furono invase dai francesi e si trasformarono nella cosiddetta Repubblica Batava e, per finire, nel 1806, nel Regno d’Olanda. Ma nel loro momento di maggior rigoglio politico-economico di nuova potenza coloniale – il cosiddetto “Secolo d’Oro”, ovvero il secolo XVII – fecero il possibile per darsi un’identità culturale distinta, rivendicando un’autonomia in tutti i campi che solo con il passare del tempo si sarebbe tradotta in effettivi paradigmi a sé stanti.
Il Secolo d’Oro Olandese – Una rivolta culturale nel XVII secolo (Einaudi, traduzione di Anna Delfina Arcostanzo, pagg 607, euro 150) di Jan Blanc, insegnante di Storia dell’arte moderna presso l’Università di Ginevra, è ben più di un testo d’arte, di un ancorché sontuoso libro fotografico, di quelli che gli inglesi definiscono “coffee table book”. È, prima di tutto, una ricostruzione della nascita e dell’ascesa di un paese dal territorio minuscolo ma dall’incrollabile fiducia in se stesso e dalla straordinaria operosità. Sappiamo tutti cos’abbiano fatto gli olandesi per ampliare il proprio territorio, creandosi uno spazio vitale sotto il livello del mare, domando le acque e prosciugando ampi spazi del Mare del Nord attraverso complicati sistemi di dighe, chiuse e pompe idriche. La parola polder a qualcuno farà tornare subito in mente immagini di campi di tulipani, mucche frisone al pascolo e mulini a vento. Ma dominare le acque significò pure prendere possesso di parte degli oceani, cosa che, in piena epoca post-colombiana, fece delle Province Unite una straordinaria potenza coloniale. Naturalmente, la colonizzazione avrebbe portato enormi ricchezze nei forzieri del paese, spolpando le risorse delle zone occupate con altrettanto indicibili sofferenze tra le popolazioni locali.
Così va spesso il mondo, verrebbe da dire, e certamente il secolo d’oro olandese ce n’è testimone. Le Fiandre Olandesi, attraverso la pittura e le varie forme artistiche, oltre che attraverso le parole di grandi pensatori, legittimarono i propri successi commerciali e militari che avevano trovato una fonte di ricchezza importante nello sfruttamento – talvolta brutale – delle colonie. Sappiamo bene che ancor oggi gli imperi dominano il mondo, con politiche non tanto diverse da quelle messe in campo dalle Province Unite del tempo, che non erano l’Impero, ma certamente un impero erano. Invece di far ricorso a megastrutture architettoniche di regime, l’identità nazionale fu plasmata anche raccontandola a immagini, grazie a una scuola di pittura che avrebbe avuto pochi eguali.
La pittura nel secolo XVII fu lo strumento che più di ogni altro consentì al neonato stato di rivendicare un sua riconoscibilità valoriale e culturale. Molti dei pittori di cui oggi il mondo intero conosce nomi e opere si fecero le ossa in Italia – al tempo faro più luminoso dell’arte internazionale – e in altre prestigiose nazioni europee, finendo per prendere spunto soprattutto dai maestri tardorinascimentali italiani e approdando a un loro stile distinguibile.
Facendo leva sulle splendide riproduzioni fotografiche di alcune delle opere pittoriche – ma pure scultoree e architettoniche – del secolo XVII, Jan Blan ci illustra come si sia arrivati alla costruzione di un paese ancora tutto da inventare anche grazie a un’iconografia se non agiografica quanto meno celebrativa. A partire dalla sollevazione delle province e dei suoi potentati contro il giogo stretto imposto da Filippo II di Spagna, un monarca in tutto e per tutto isolato e poco propenso a concedere autonomia e a comprendere le diverse realtà locali. Fu una sorta di rivolta “sociale”, rappresentata in un quadro ottocentesco di Johannes Hinderikus Egenberger, intitolato 1581: l’abiura di Filippo II, conservato all’Amsterdam Museum. Si tratta della descrizione del momento storico in cui i rappresentanti delle Sette Province dichiararono di non riconoscere più l’autorità del re di Spagna, un omaggio diretto al celebre dipinto di Rembrandt, Giuramento dei Batavi (1661-62). Ma, secondo Jan Blanc, fu soprattutto una rivolta “culturale”, anche perché le richieste dei postulanti locali furono snobbate con un atteggiamento sprezzante che portò qualcuno vicino a re Filippo a definirli “pezzenti”, una mossa per nulla saggia che rafforzò e unificò sotto una sola bandiera quel gruppo refrattario all’imposizione dell’egemonia culturale spagnola.
Ecco che gli artisti delle Sette Province fornirono ai loro nuovi riferimenti politici un potente mezzo attraverso cui mostrare di che pasta fosse fatto il neonato stato – in realtà, per decenni tale non si sarebbe nemmeno definito – e quanto fosse all’altezza del resto d’Europa la sua base culturale. Di mezzo ci sarebbe stato un lungo e sanguinoso conflitto, la Guerra degli ottant’anni, con lo straordinario intermezzo dell’Unione di Gand che finì per unificare per la prima e ultima volta le province del sud e quelle del nord in quello che fu definito il “gioiello di Guglielmo d’Orange”, primo statolder delle province: la prevalenza dei cattolici al sud e dei calvinisti al nord avrebbe rappresentato un elemento insuperabile di distinzione. Ma la pace momentanea e la nascita e crescita del nuovo stato fecero da traino a quel nuovo rigoglio artistico che, a sua volta, ne rafforzò la credibilità. E le sempre più diffuse e produttive scuole pittoriche delle Province Unite contribuirono a «riaffermare l’integrità territoriale e nazionale, attestando la potenza e la ricchezza delle loro città, delineando i contorni dei loro paesaggi e partendo alla conquista delle loro risorse e bellezze naturali». L’abbondanza e la bellezza delle opere nate in quel secolo irripetibile produssero quadri dai soggetti più disparati: ritratti, nature morte, paesaggi bucolici ispirati alla tradizione naturalistica classica, scene di battaglia, adunanze politiche, soggetti religiosi, immagini buffe. Perché se «il Secolo d’Oro olandese viene presentato come una nuova Età dell’oro, un’età della giovinezza e dell’innocenza, i piaceri del corpo e della mente non possono e non devono essere rigettati, ma devono essere messi in scena e persino celebrati».
Pittori dai nomi più o meno celebri – Frans Hals, Rembrandt van Rijn, Jan Lievens, Johannes Vermeer, Willem van de Velde il Vecchio – divisi soprattutto fra le scuole di Haarlem e di Delft, ma pure architetti come Jacob van Campen appaiono a più riprese tra le pagine de Il Secolo d’Oro Olandese. Se Natale non fosse ancora così lontano, vi suggerirei di inserire questo libro nella lista dei vostri desideri oppure in quella dei potenziali doni da fare a una persona cara.