"Matti d’Africa: il sogno di Bartolo e Ahongbonon tra telemedicina e dignità"

Matti d’Africa di Michelangelo Bartolo racconta l’incontro con Grégoire Ahongbonon e il progetto di telemedicina per restituire dignità ai malati psichici africani.

"Matti d’Africa: il sogno di Bartolo e Ahongbonon tra telemedicina e dignità"
Grégoire Ahongbonon
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8 Giugno 2025 - 00.47


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di Antonio Salvati

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Ancora una volta merito a Michelangelo Bartolo che con il suo ultimo volume, Matti d’Africa. Appunti di viaggio di un medico digitale (Infinito 2025 pp. 124 € 15) ci ha messo a parte dei suoi reportages africani, questa volta facendoci conoscere la straordinaria figura di Grégoire Ahongbonon, conosciuto in Italia come il “Basaglia africano” che, fra i tanti riconoscimenti, ha ricevuto anche quello intitolato all’innovatore della psichiatria italiana.  Da oltre due decenni, Bartolo, in qualità di medico, percorre il continente africano in lungo e in largo per aprire servizi di Telemedicina mettendo in contatto le necessità sanitarie locali con una rete di specialisti italiani, in un dialogo intercontinentale che unisce scienza e solidarietà. Questa volta Bartolo ha incrociato il suo destino con quello della realtà della malattia mentale, spesso attribuita a fenomeni di stregoneria, sortilegi, credenze demoniache che talvolta si mischiano e si confondono con malattie neurologiche.

Ho conosciuto Grégoire Ahongbonon, nel corso dell’incontro internazionale Pace senza frontiere, svoltosi nel 2019 e organizzato a Madrid dalla Comunità di Sant’Egidio.  Ahongbonon, figlio di contadini di un piccolo villaggio del Benin, emigrato 30 anni fa in Costa d’Avorio, non è un medico, né specialista in malattie mentali. Tuttavia, con l’associazione “Saint Camille de Lellis”, da lui fondata nel 1994, è riuscito a riportare alla vita oltre 100mila persone. Quasi sempre giovani, afflitti da disturbi lievi o deficit gravi in un continente come l’Africa, dove chi soffre di disagi psichici viene rinchiuso in carceri speciali o domestiche. Mi disse: «Sono stigmatizzati, bollati per superstizione come indemoniati, posseduti dalla stregoneria. E, in mancanza di strutture psichiatriche, alcuni vengono segregati anche per decenni, incatenati ai letti o a ceppi alle intemperie, altri abbandonati a sé stessi, come scarti umani. Sono gli ultimi degli ultimi». Con un gesto fermo mostrò una lunga catena arrugginita che blocca mani e piedi, raccontando come sia riuscito a toglierla dal corpo di un “matto” imprigionato dai suoi stessi familiari. Di come lo abbia curato in uno dei suoi centri di accoglienza con quella che chiama «la terapia dell’amore». «Si tratta di restituire loro fiducia e dignità», spiegò a margine dell’incontro interreligioso di Sant’Egidio.

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Quella di Grégoire, non è soltanto una storia di fede, ma – spiega lo psichiatra Giuseppe Quintavalle – anche una storia di biunivoca accoglienza, che ha trovato il sostegno dei tanti che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di aiutarlo nei modi più disparati negli oltre trent’anni di attività. «Lui è l’uomo che ha lavorato per rendere ex malati a loro volta “curatori” di altri malati psichiatrici. Una guarigione che diviene servizio e risorsa per l’intera comunità».

Chi sono allora questi matti evocati nel titolo del libro? Sono le persone incontrate da Grégoire o sono quelle che, come Bartolo, si uniscono a lui per dare una mano nel modo più diretto e senza filtri? Matti d’Africa ha il pregio di essere un testo scritto da un medico che, nello scorrere dei capitoli, diviene anche un volume corale. Un libro che dimostra quanto sia possibile impiegare meglio le nostre risorse personali, non solo per restituire sorrisi e dignità, ma per guadagnare quella crescita umana che non sempre abbiamo la fortuna di raggiungere nel nostro percorso personale o, meglio, professionale. Come in altri suoi libri, Bartolo ci guida in questo viaggio con uno stile diretto e intriso di sana ironia regalando al lettore momenti paradossali e toccanti, nei quali la tecnologia diventa strumento di incontro e speranza.

Chi ha conosciuto Grégoire, come la psicologa Lorena Poldrugo, evidenzia la sua capacità, nella sua semplicità, di cogliere l’essenza del disagio psichico: il bisogno di essere accolti e riconosciuti nel proprio malessere. Ha saputo affrontare la malattia mentale con umiltà e senza pregiudizi, con il coraggio di chi sa che il dolore umano può essere trasformativo. Da notare che anche lui aveva attraversato il tunnel del disagio e aveva sperimentato le enormi risorse che l’essere umano può mobilitare di fronte alle difficoltà. E così, incredibilmente, Grégoire oggi dirige un centro di cura per malati mentali, posizionato in un Paese remoto dell’Africa Subsahariana, dove i malati psichiatrici sono stigmatizzati, considerati posseduti dal demonio, isolati e legati agli alberi con le catene. In questo Centro è stato installato un centro di Telemedicina che trasmette dati, in grado di essere refertati da oltre duecento medici volontari in Italia, della rete creata da Michelangelo con la sua Onlus. Pertanto, sempre incredibilmente, “gli ultimi degli ultimi” ora possono avere i loro piani terapeutici e condurre una vita dignitosa, dedicandosi ad attività produttive e benefiche. E Grégoire e Michelangelo che ridono parlando di stupidaggini e prendendosi in giro come due adolescenti alle medie, giocando con i detti e i proverbi, francesi, africani e italiani, senza curarsi minimamente di sé stessi e di quanto stanno riuscendo a fare. Si staranno rendendo conto dell’enormità dell’impresa che stanno portando avanti? Una cosa è certa, a detta di chi li conosce: riguarda la naturalezza e la grazia con la quale conducono le attività. La gioia e l’allegria con la quale le vivono. La leggerezza e la serietà con cui vi si dedicano.

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È opportuno raccogliere l’appello di Bartolo a favore del suo lavoro sulla Telemedicina, frutto di una “storia al contrario” come ama definirla. Un progetto, quello della Telemedicina, nato proprio in Africa, in tempi in cui il Wireless, il Bluetooth e il Cloud ancora non esistevano, i floppy disk da 3,5 pollici iniziavano timidamente a cedere il posto alle pendrive e per fare le foto usavo ancora rullini a colori a 36 pose. Il suo “inconsueto” hobby di girare l’Africa per aprire servizi sanitari di Telemedicina, iniziato in Tanzania nel 2008, merita di essere sostenuto. La Global Health Telemedicine ETS nella quale opera Bartolo nasce nel 2013 da un gruppo di professionisti dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma per fornire servizi di Telemedicina al programma DREAM di Sant’Egidio. Oggi è utilizzata da diverse realtà di cooperazione sanitaria che operano in zone disagiate nel mondo con particolare attenzione all’Africa Sub-sahariana. In oltre dieci anni di attività, la Global Health Telemedicine ha realizzato più di 50.000 teleconsulti a favore di 51 centri sanitari in 16 Paesi dell’Africa sub-sahariana. L’impegno della GHT ha costruito ponti di vicinanza e prossimità, ottenendo risultati sorprendenti, ben oltre le previsioni iniziali. Un impegno che ha visto il coinvolgimento di università, istituti di ricerca, ospedali, regioni, il mondo della sanità privata, i produttori di software o Medical Device di cui l’Italia è leader, per un progetto che oggi, solo oggi, grazie alla tecnologia è realizzabile. L’esperienza della Global Health Telemedicine, del programma DREAM di Sant’Egidio e di altre realtà che promuovono cooperazione da anni, sono eccellenze italiane che possono rappresentare un volano importante anche per il piano Mattei. Ecco il punto dell’appello di Bartolo. L’Italia con il PNRR ha ricevuto ingenti fondi anche per realizzare un nuovo modello di assistenza sanitaria, una piccola rivoluzione dell’organizzazione del nostro Servizio Sanitario che deve essere sempre meno ospedale-centrico e diffondersi sul territorio. «La casa è il primo luogo di cura», è il significativo slogan usato per questa riforma che, solo per i servizi

di Telemedicina, sta impegnando 1,5 miliardi di euro per realizzare nuove piattaforme e nuovi modelli organizzativi. E allora le piattaforme di Telemedicina che si stanno realizzando in Italia, non potrebbero essere usate anche nell’ambito della cooperazione internazionale, magari all’interno del piano Mattei? Un progetto ambizioso che non può essere – spiega Bartolo – sostenuto da una manciata di onlus o dalla buona volontà di singoli, ma c’è bisogno di un coinvolgimento ad alti livelli come, ad esempio, prevede il piano Mattei. Forse, potrebbe essere – aggiunge Bartolo – una parziale risposta a quel sogno di Yaguine e Fodè, i ragazzi morti nella carlinga di un aereo nella speranza di raggiungere

l’Europa nel 1999; nella loro lettera chiedevano ai grandi d’Europa di «realizzare una grande organizzazione per l’Africa perché progredisca». Una grande organizzazione che magari includa anche i servizi di Telemedicina come strumento di reale prossimità e formazione. Dice Bartolo: «Lasciateci sognare e lavoriamo in questo senso. E, comunque, sognare è gratis».

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