La vita è adesso. Il sogno è sempre. E parte da Lampedusa

Baglioni sceglie Lampedusa per lanciare il suo Grand Tour il 27 settembre. Intervista al sindaco Filippo Mannino

Il Grand Tour di Claudio Baglioni per La vita è adesso parte il 27 settembre da Lampedusa - intervista al sindaco Filippo Mannino di Alessia de Antoniis
Il Grand Tour di Claudio Baglioni per "La vita è adesso" parte il 27 settembre da Lampedusa - intervista al sindaco Filippo Mannino
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

10 Giugno 2025 - 16.34


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di Alessia de Antoniis

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Il Grand Tour di Claudio Baglioni per i 40 anni de “La vita è adesso”, non inizia a Roma, a Milano o in un’arena da tutto esaurito. Inizia da Lampedusa. Il 27 settembre, l’isola più a sud d’Europa diventa il primo palco di un viaggio musicale e simbolico.

Ne abbiamo parlato con Filippo Mannino, sindaco di Lampedusa e Linosa. Un uomo che conobbe Baglioni un giorno di luglio del 1998, a quindici anni, su una barca mentre insieme rimettevano in mare una tartaruga salvata. Quel giorno nacque qualcosa. Seduti a prua, un giovane Mannino raccontava i suoi progetti al famoso Claudio Baglioni.

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“Perché parli al futuro? I giovani non sono il futuro. Sono il presente”, gli disse Claudio. Mannino se lo è portato dentro per una vita. E oggi è lui a invitare Baglioni, perché quel messaggio risuoni tra i ragazzi dell’isola come un’eco lunga, necessaria.

È da lì che ho sentito il bisogno di riportarlo sull’isola. Perché Lampedusa ha bisogno di essere raccontata anche così: come luogo di cultura, di umanità, di speranza”, racconta il sindaco Mannino.

Un Grand Tour che parte da un’isola così piccola… che significato ha per voi?

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Enorme. Un tour che parte da un’isola piccola come la nostra ha un significato preciso: si parte dal basso, da dove la vita è più estrema, più vera. Organizzare un evento del genere qui non è semplice: siamo isolani, ci sono limiti logistici, condizioni meteo da gestire. Ma è anche questo il senso: lo sforzo condiviso per far accadere le cose dove sembrano impossibili.

Immagino accoglierete tutte le persone che arriveranno con lo stesso cuore con cui da anni accogliete chiunque approdi qui…

La Sicilia in questo è eccellente. In particolare la mia comunità: noi abbiamo sempre accolto tutti, anche perché siamo una zattera al centro del Mediterraneo. Se c’è chi chiede aiuto, non ci si può girare dall’altra parte.

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Una scelta che ha fatto e che rifarebbe?

Ogni tanto mi fermo e dico: “Chi me l’ha fatto fare?”, perché poi si diventa un po’ il parafulmine di qualsiasi problema. Se non arriva l’aereo perché c’è un guasto, viene preso di mira il sindaco perché si ferma la continuità territoriale.

Però, quando vedo progetti che si realizzano… A settembre inauguriamo una nuova scuola. L’ultima era stata fatta subito dopo la seconda guerra mondiale. Inaugurarne una nuova dopo 70 anni… Ecco, in questi momenti dico: “Forse ne è valsa la pena.”

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Lampedusa è spesso raccontata solo attraverso l’emergenza. Quanto è importante cambiare questo racconto?

Molti pensano di gestire l’immigrazione rimanendo seduti a Bruxelles o a Roma. Poi in realtà, quando ti trovi lì, hai la persona davanti che ti chiede aiuto, che sta per affogare… cambia tutto. E per fortuna ho avuto modo di far vedere anche questo a chi è venuto a Lampedusa.

La cosa importante è che negli ultimi anni abbiamo imparato a gestire gli sbarchi. Prima eravamo sempre in tv perché si parlava di emergenza. Adesso, anche con l’arrivo della Croce Rossa, abbiamo imparato ad affrontare questo fenomeno.

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Ma qui non c’è solo approdo. C’è bellezza, paesaggi, comunità. C’è una forza che resiste, accoglie, costruisce. Troppo spesso si dimentica che la mia gente ha salvato migliaia di vite umane. E lo fa senza clamore, senza riflettori. Per questo ho detto anche al Governo: raccontiamo altro. Parliamo di quello che di straordinario c’è qui.

Il governo ha sostenuto l’iniziativa del concerto?

Sì. L’anno scorso ho parlato con la Premier, ho proposto questa idea, ed è stata accolta. Questo concerto gratuito ha avuto bisogno di risorse. Il sostegno è arrivato sia dal Governo centrale che dalla Regione Sicilia. È un segnale forte: Lampedusa c’è. Non è periferia, è centro di valori, di cultura, di futuro.

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C’è una scelta che rifarebbe?

Guardi, ogni tanto mi fermo e mi chiedo “Chi me l’ha fatto fare?”, perché il sindaco qui è il parafulmine di tutto. Se non arriva un aereo, è colpa mia. Ma poi vedo i risultati: a settembre inaugureremo una scuola nuova. La prima dopo la Seconda Guerra Mondiale. Allora penso che sì, ne è valsa la pena.

Un episodio che racconta cosa significa essere lampedusano?

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Gliene racconti due. Una delle prime visite che ebbi da sindaco, fu una signora che venne quasi piangendo: era senza denti e voleva che l’aiutassimo a comprare una dentiera. Nelle piccole isole ti arrivano richieste che altrove sembrano impensabili, ma che qui sono tutto. Non sai che rispondere. Poi percepisci che c’è un problema e ti adoperi per risolverlo.

Un’altra cosa che mi ha segnato: i primi due cadaveri. C’era stato un soccorso in alto mare, la barca prese fuoco e mi chiamò la Capitaneria: “Abbiamo due bambini piccoli, le dobbiamo consegnare due cadaveri.” Erano due neonati. Trovarsi di fronte a queste due piccole anime senza nessuno attorno, senza parenti… ti senti responsabile. Ti cambia. Non puoi più girarti dall’altra parte.

Quali sono le sue priorità come sindaco di Lampedusa?

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Innanzitutto quella di accorciare le distanze. Siamo a 210 chilometri da Porto Empedocle e a 120 dalla Tunisia. Siamo un po’ come un quartiere di Bruxelles, ma non abbiamo le stesse opportunità. Dovremmo avere tutti gli stessi diritti di chi vive a Parigi, a Roma o a Bruxelles. Chiedo di fare qualcosa per i giovani… ci sono giovani della mia isola che non hanno mai visto un concerto. A Lampedusa, per vedere un concerto, devi prendere un aereo.

Le nostre priorità sono innanzitutto sociali: stare vicino agli ultimi, che sulla mia isola sono gli anziani e i giovani, le categorie più deboli e più vulnerabili. E lo stiamo iniziando a fare partendo da nuove scuole dove ci saranno posti vivibili e anche nuovi servizi sanitari.

Sono iniziati i lavori per fare un eliporto a Lampedusa. Sa cosa vuol dire curare a Lampedusa un malato oncologico? Significa sballare totalmente i ritmi familiari, perché o ti trasferisci dall’isola, e devi avere le possibilità economiche, o muori. Non c’è un’alternativa.

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Quello che nelle città è una normalità, per noi è un traguardo. Anche andare all’università: io ho dovuto lasciare l’isola a 18 anni. A Roma per andare all’università pagano un euro e cinquanta di biglietto dell’autobus. Noi dobbiamo pagare spese di vitto e alloggio.

Se l’Europa in generale, e l’Italia in particolare, riuscissero ad avere più attenzione per questi luoghi di frontiera, per questi luoghi così lontani, sarebbe tutto più facile. In qualche modo abbiamo iniziato, speriamo di continuare su questa strada.

Lei però è tornato. Non è rimasto a Roma dopo gli studi.

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No. A quindici anni dicevo che volevo fare il sindaco. Non avrei mai immaginato che quel sogno si sarebbe avverato. E oggi sono qui, a raccontare la mia isola, a darle una voce. A provare a cambiare le cose, anche con la musica.

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