Lazarus al teatro Argentina: visioni potenti, anima fragile
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Lazarus al teatro Argentina: visioni potenti, anima fragile

Lo spettacolo diretto da Malosti affascina per costruzione visiva e forza musicale. Agnelli trova una verità ruvida, Casadilego resta in superficie.

Lazarus di Valter Malatosti con Manuel Agnelli - ©FabioLovino - recensione di Alessia de Antoniis
Manuel Agnelli - Lazarus - ©FabioLovino
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

10 Giugno 2025 - 10.20


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di Alessia de Antoniis

L’allestimento italiano del musical firmato da David Bowie e Enda Walsh arriva al Teatro Argentina di Roma (in scena fino al 15 giugno 2025) con scenografie vertiginose e una regia visionaria, ma l’ossatura narrativa resta esile. Manuel Agnelli convince nel suo antieroe spigoloso. Casadilego, in bilico tra innocenza e controllo, non raggiunge l’intensità richiesta.

Nel riallestimento di Lazarus, diretto da Valter Malosti, Manuel Agnelli e Casadilego si confrontano con il testamento teatrale-musicale di David Bowie. Uno spettacolo visivamente potente, musicalmente sostenuto, ma strutturalmente fragile. E Malatosti non poteva sanare quel difetto.

Lo spettacolo, nella messa in scena di Malosti, è un trionfo di immagini e dispositivi visivi. La scenografia, fatta di schermi, videoarte, pedane rotanti, luci che scompongono lo spazio mentale del protagonista, costruisce una macchina scenica potentissima. La scena si comporta come una mente in disequilibrio: produce apparizioni, sdoppia, confonde. Ma non basta. Il testo, già fragile nella versione originale, conserva lo stesso limite. La drammaturgia non decolla: restano evocazioni, frammenti, allusioni. Più che un racconto, Lazarus è una deriva interiore, un sogno sbilenco. Questo Lazarus può affascinare, ma raramente tocca.

Casadilego, nei panni della Girl/Marley, offre una performance vocale tecnicamente impeccabile, ma priva di quella profondità emotiva che trasformerebbe il canto in gesto drammatico. In “Life on Mars?”, la linea melodica è precisa, controllata, ma resta in superficie. Non accade nulla oltre. Manca quel vibrato interiore, quell’abisso sottile che la versione di Sophia Anne Caruso riusciva a suggerire. La voce si muove con grazia, ma non incide. C’è misura, ma non crepa: nessuna frattura da cui possa filtrare la luce. Anche nei momenti più esposti, sembra non rischiare mai davvero. Il risultato è un canto corretto, levigato, che resta al sicuro. E proprio per questo non arriva.

Manuel Agnelli, invece, sorprende. La sua voce roca, slabbrata, è perfetta per un personaggio in frantumi. I momenti migliori arrivano quando smette di cantare e lascia che la voce si rompa. In “Where Are We Now?” e “Absolute Beginners” restituisce la poetica di Bowie senza imitarla. Agnelli non è Bowie e non deve esserlo. La sua interpretazione è tutta centrata sullo sforzo di incarnare un uomo in rovina, più che cantarlo. E funziona.

Nel parlato, Agnelli gestisce bene le pause, le fratture, i silenzi. Il suo Newton è un uomo che non riesce più a pensare in linea retta. Casadilego invece rimane più neutra, quasi anodina. La sua presenza scenica è lieve, ma resta bidimensionale. Non inquieta, non accende.

La band in scena regge tutto. Gli arrangiamenti rielaborano con intelligenza il repertorio bowiano: This Is Not America, The Man Who Sold the World, Valentine’s Day, Heroes scorrono in forma coesa, mai da tribute band. La scena musicale è il cuore dello spettacolo, molto più che la trama. Le canzoni diventano spazio drammatico, più che colonna sonora.

Se la scena centrale è dominata da Manuel Agnelli, e Casadilego si muove con grazia più che con profondità, è nel lavoro corale che questo Lazarus trova il suo vero respiro teatrale. Tra tutti, spicca Camilla Nigro, capace di affondare la voce nelle pieghe emotive senza mai strafare. In alcuni momenti, soprattutto nel finale, la sua emissione piena, sorvegliata e limpida si staglia tra i cori con naturalezza e precisione, regalando una vibrazione lirica che manca altrove. Nigro non cerca il protagonismo, lo costruisce con misura: canta per tessere una trama, non per emergere. E lo fa con una presenza vocale calda e luminosa, perfetta per contrastare l’austerità frammentata del protagonista. È anche nei suoi attacchi morbidi e nei finali sospesi che lo spettacolo riesce, talvolta, a commuovere davvero.

Nel vortice visionario costruito dalla regia di Malosti, è lei, Camilla Nigro, nel ruolo di Elly, a offrire uno dei contributi più solidi e sorprendentemente emotivi. La sua voce, vellutata e ferma, taglia le stratificazioni visive con precisione chirurgica. Nei momenti corali e nei duetti, non cerca mai l’eccesso: calibra, incide, cede e avanza con naturalezza. In particolare nel finale, il suo timbro emerge come ancora lirica in un mare elettronico, restituendo respiro e spessore. Una presenza che non impone, ma definisce.

In un’opera dove il racconto fatica a trovare coerenza, è il cast a restituire umanità e tensione. Accanto ai protagonisti, Dario Battaglia, nel ruolo di Valentine, emerge con notevole forza drammatica. Il personaggio è complesso, a metà tra un Joker psichico e un Mefistofele tentatore. E Battaglia lo restituisce con una timbrica precisa, raggelata dove serve, vigorosa nei momenti più intensi. La sua voce ha una qualità cristallina e insieme controllata, in grado di sostenere le trame corali senza mai sparire dietro ad Agnelli. Nelle strofe di “Dirty Boys” e “Valentine’s Day”, la sua potenza vocale si fa infrastruttura sonora, e dimostra non solo virtuosismo, ma una resistenza teatrale di stampo classico, radicata in anni di formazione. Battaglia non imita Bowie, e proprio questa scelta lo rende una delle presenze più riuscite dello spettacolo.

Maurizio Camilli, insieme a un ensemble composto da Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino e altri, compone un coro stabile e ben orchestrato che non mostra sbavature. Il loro valore è evidente proprio nei brani corali come All the Young Dudes, dove la presenza corale funziona come pilastro: senza di loro, lo spettacolo perderebbe coesione. In quei momenti, la loro unione non è mai omogeneità passiva, ma una sinfonia di caratteri, pronta a sostenere e stagliarsi quando necessario, senza mai rubare la scena.

Questo Lazarus è un grande progetto visivo, musicale, produttivo. Ma la sua forza sta più nell’occhio che nell’anima. Manuel Agnelli regge il centro, Casadilego galleggia ai bordi. Le canzoni sono le vere protagoniste.
Un musical imperfetto, bellissimo da vedere.

Lazarus di David Bowie e Enda Walsh è ispirato a The Man Who Fell to Earth (L’uomo che cadde sulla terra) di Walter Tevis. Uno spettacolo di Valter Malatosti, con Manuel Agnelli, Casadilego, Dario Battaglia, Camilla Nigro e Maurizio Camilli/ Mauro Bernardi, Andrea De Luca, Noemi Grasso, Maria Lombardo, Giulia Mazzarino, Isacco Venturini, Carla Vukmirovic.

Lazarus è una produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura

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