di Alessia de Antoniis
Esistono libri che si sottraggono alle classificazioni di genere, opere che si muovono sui confini tra il personale e l’universale, tra la cronaca intima e la riflessione filosofica. “Luna lesa – Il gioco dei doni” di Flavia Ermetes (La Lepre Edizioni) è una di queste creazioni letterarie: un romanzo che mescola il dramma familiare con la ricerca spirituale, l’attivismo ambientale con l’astrologia simbolica, il thriller psicologico con la meditazione sulla scrittura.
Il titolo stesso racchiude la chiave interpretativa dell’intera opera. La “Luna lesa” non è soltanto un concetto astrologico, quella condizione in cui l’astro notturno riceve aspetti difficili da altri pianeti; diventa una potente metafora della fragilità emotiva legata al rapporto materno e, più in generale, all’identità femminile ferita. Una “Luna lesa significa che qualcosa non va dal punto di vista della relazione con il materno”, ma questa lesione, se elaborata, “si trasforma nella porta di quella straordinaria fantastica sensibilità che irradia la magia”.
La protagonista, Olimpia Luna, il cui nome già tradisce il peso del destino simbolico, incarna perfettamente questa dialettica tra ferita e potenziale creativo. Donna oltre i trent’anni invischiata in rapporti tossici con una madre manipolatrice e un amore impossibile, Olimpia attraversa un percorso di formazione tardiva che la conduce dalle gabbie dell’infanzia alle soglie di una consapevolezza adulta. Il romanzo si dipana attraverso una struttura volutamente frammentata, che alterna presente e passato, sedute dall’analista e fughe oniriche, inserti filosofici e documenti trovati, in una architettura narrativa che rispecchia la complessità della mente umana alle prese con la ricomposizione dei propri frammenti.
La figura di Joe si staglia come un personaggio riuscito e inquietante. Ex combattente convertito all’ecologismo radicale, Joe agisce come un burattinaio invisibile, orchestrando incontri e messaggi criptici, spingendo Olimpia verso una presa di coscienza che passa attraverso il dolore dell’abbandono. “Joe voleva iniziarmi al suo Cerchio Magico, mi riteneva degna”, riflette la protagonista, ma questa iniziazione ha il sapore amaro della manipolazione affettiva. Joe rappresenta l’amore che catalizza ma non appaga, che spinge all’azione ma non offre riparo.
Uno degli aspetti più audaci del romanzo risiede nell’integrazione di elementi spirituali orientali, come il gioco del GO e il buddhismo, che non fungono da semplice decorazione esotica, ma costituiscono un vero contrappunto filosofico alla dimensione materiale e psicologica della vicenda. Il GO diventa “un rito” che insegna la strategia della vita, mentre i concetti buddhisti dell’origine dipendente e della trasformazione karmica offrono a Olimpia strumenti per decifrare la propria esistenza. “Cerca dove non sai, questa è la base del buddismo: una rivoluzione personale; una battaglia pacifica verso la conoscenza”, le suggerisce il maestro Ugo.
Ma è forse nell’intreccio con l’attivismo ambientale che il romanzo tocca le corde più acute del nostro tempo. L’emergenza ecologica e la questione animale non sono qui sfondo sociologico, ma vero motore narrativo. Attraverso il misterioso documento dei “Liberatori”, un gruppo che predica la violenza contro gli “umani persecutori” come risposta al “genocidio animale”, Ermetes solleva interrogativi scomodi sull’etica della lotta e sui limiti dell’empatia. Olimpia, pur condividendo il dolore per lo sfruttamento animale, rifiuta la via della violenza, incarnando quella tensione irrisolta tra urgenza morale e mezzi accettabili che attraversa tutto l’ambientalismo contemporaneo.
L’intertestualità con Emily Dickinson non è mero ornamento colto, ma costituisce il vero meta commentario dell’opera. La poetessa di Amherst, con la sua vita ritirata e la sua decisione di “trasformare la vita in scrittura”, offre a Olimpia un modello di resistenza attraverso l’arte. Le poesie nascoste di Dickinson diventano “scialuppe di salvataggio” per attraversare “il burrascoso mare della storia”, suggerendo che la vera rivoluzione possa passare per l’ascesi della parola piuttosto che per l’azione diretta.
La scrittura di Ermetes rivela una maturità stilistica notevole. La voce narrante in prima persona permette un’immersione totale nel flusso di coscienza di Olimpia, mentre il linguaggio, ricco di simboli e suggestioni, evita sia la retorica sentimentale sia l’aridità intellettualistica. Un limite è rappresentato dalla struttura frammentata e dai frequenti salti temporali, che potrebbero disorientare alcuni lettori, e dal ritmo irregolare che alterna momenti di tensione narrativa ad altri più meditativi. Ma queste apparenti debolezze si rivelano funzionali al progetto complessivo: come scrive l’autrice, si tratta di “rimettere insieme i pezzi” di un’esistenza frantumata.
“Luna lesa” è un romanzo che chiede al lettore di “cercare dove non sa”, rendendolo complice nella costruzione del significato. Opera ambiziosa e originale, sfugge alle mode letterarie del momento per offrire una riflessione profonda sui legami familiari, sulla ricerca spirituale e sull’impegno etico in un’epoca di crisi planetaria. La vera forza del libro risiede nella capacità di trasformare una vicenda personale in parabola universale, dimostrando che anche le ferite più profonde possono diventare fonti di luce.
In un panorama narrativo spesso appiattito su formule collaudate, Flavia Ermetes ha il coraggio di sperimentare, di rischiare, di proporre un romanzo che non teme la complessità. “Luna lesa” è un libro che non si dimentica facilmente. Un esempio di narrativa capace di confrontarsi con i grandi temi del nostro tempo senza rinunciare alla profondità psicologica e alla ricerca formale.