Morto Louis Moholo, leggendario batterista dei Blue Notes: dal jazz all’esilio, una vita contro il razzismo

Louis Moholo, batterista sudafricano dei Blue Notes, sfidò l’apartheid con la musica. Emigrato a Londra, diventò simbolo di libertà e jazz d’avanguardia.

Morto Louis Moholo, leggendario batterista dei Blue Notes: dal jazz all’esilio, una vita contro il razzismo
Louis Moholo
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Marco Buttafuoco Modifica articolo

15 Giugno 2025 - 20.27


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Il 13 giugno è morto, a ottantacinque anni, il batterista sudafricano Lois Moholo. Un nome poco conosciuto all’infuori della ristretta cerchia dei cultori del jazz d’avanguardia. Eppure la sua vicenda umana, e in senso lato politica, va ricordata. E’una delle più belle storie del jazz contemporaneo. 

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Tutto comincio nei primi anni 60. Nei locali di Cape Town si stava affermando un gruppo jazz, i Blues Notes-. Suonavano improvvisando su inni protestanti bianchi, materiali musicali dei nativi, su ritmi tribali. Qualcuno avrebbe poi definito quella musica accesa e tumultuante come un free jazz melodico, spesso anche divertente.

Oltre a Moholo nel gruppo suonavano il pianista Chris Mc Gregor (il “leader” de l gruppo , il bassista Johnny Dyani, i sassofonisti Nikele Moyake e Dudu Pukwana e il trombettista Mongezi Feza, colui che “suonava come danzano le fiamme”, come disse di lui lo stesso McGregor.

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Il gruppo aveva tuttavia un problema che gli rendeva difficile trovare ingaggi e lavorare liberamente. Chris Mc Gregor era un bianco, e le leggi dell’apartheid vietavano formazioni miste. Legati da una grande amicizia i sei decisero di lasciare insieme il Sudafrica nel 1964. Si stabilirono a Londra, dove incontrarono, dopo alcune difficoltà, un buon successo, anche a livello europeo ed extra europeo. Moholo e Chris McGregor suonarono anche in Italia, in concerti di jazz di ricerca organizzati per la RAI da _Filippo bianchi per la RAI.

Nel dicembre 1975 una polmonite stroncò il trentenne Feza. Dopo il suo funerale i suoi compagni ( Moyake aveva intanto lasciato la musica) si rinchiusero per due ore in una sala d’incisione. Suonarono, in memoria dell’amico, una musica selvaggia e malinconica, costellata di canti africani e grida rituali. 

Nel 1986 manco Johnny Dyani, nel 1990 Dudu Pukwana e McGregor scomparvero a pochi giorni distanza l’uno dall’altro. McGregor nel 1969 aveva intanto fondato la Brotherhood of Breath, una grande orchestra jazz che riprendeva e dilatava i colori ed i profumi dei Blue Notes.  

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Louis Moholo, continuò la sua ricerca con altri musicisti esiliati e non. Ma rimase legato per tutta la vita al ricordo dei suoi vecchi amici. Fra i suoi gruppi più importanti ricordiamo viva la Black.

Il 21 settembre 2007, il presidente sudafricano Thabo Mbeki conferì ai Blue Notes l’onorificenza nazionale dell’Ordine di Ikhamanga per i meriti acquisiti nella diffusione della musica sudafricana e per aver sfidato le tiranniche leggi razziali allo scopo di esprimere il proprio talento, divenuto famoso in tutto il mondo.

Incontrai a Novara nel 2017, in una serata che il Festival Jazz della città piemontese aveva dedicato a lui e Alla leggenda dei Blue Notes. Trasmetteva il senso di una forza fisica prodigiosa per un uomo della sua età, ma quella giornata di ricordi lo aveva segnato. Aveva pianto nel vedere la mostra fotografica che il Festival aveva dedicato alla sua vecchia  band. Si commosse anche quando io gli espressi la mia ammirazione. 

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Era intanto tornato in Sudafrica e aveva assunto il nome di Louis Moholo Moholo, per riaffermare ancora di più il suo essere africano. 

Un grande musicista. Un combattente della libertà e della lotta contro il razzismo. 

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