"Gli Olivi di Capri": il reportage illustrato che reinventa Capri
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"Gli Olivi di Capri": il reportage illustrato che reinventa Capri

In un’epoca di turismo di massa, AI e immagini standardizzate, Simonetta Capecchi racconta Capri con acquerelli e un nuovo travel journalism

"Gli Olivi di Capri" di Simonetta Capecchi - recensione di Alessia de Antoniis
"Gli Olivi di Capri" di Simonetta Capecchi
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

17 Giugno 2025 - 20.20


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di Alessia de Antoniis

Nell’epoca dell’overtourism e della spettacolarizzazione del viaggio, Simonetta Capecchi compie un gesto tanto coraggioso quanto necessario: ci mostra una Capri che non conoscevamo, nascosta dietro la quinta patinata delle boutique e degli yacht. “Gli Olivi di Capri” non è solo un libro: è un manifesto per un nuovo modo di raccontare il territorio che dovrebbe far riflettere chiunque si occupi di travel journalism.

Capecchi, giornalista-illustratrice con una decennale militanza sulle pagine di “Dove”, ha creato qualcosa di fisicamente scomodo: un libro che sfida non solo le categorie editoriali, ma persino la scaffalatura e la distribuzione. Il formato orizzontale, la carta ruvida tipo Fabriano, l’impaginazione che ricorda un taccuino di viaggio, ne fanno un oggetto narrativo che esce dai confini editoriali consueti. Un reportage grafico-territoriale.

Gli Olivi di Capri: Una Storia di Agricoltura Eroica di Simonetta Capecchi, (Electa, 2024) non è graphic novel, non è guida turistica, non è saggio divulgativo. È tutte e tre le cose insieme. Ed è proprio in questa ambiguità editoriale che risiede il suo valore rivoluzionario.

Il libro segue il ciclo stagionale degli ulivi capresi da gennaio a dicembre. Ma in realtà racconta una storia molto più profonda: quella del recupero di 4.000 piante abbandonate dagli anni Cinquanta, un progetto “eroico” (il sottotitolo non è retorico) portato avanti dall’associazione “L’Oro di Capri”, fondata nel 2008.

L’analisi delle tavole rivela una maturità grafica straordinaria. Capecchi domina l’acquerello con la precisione di un botanico e la sensibilità di un poeta. I suoi disegni non sono mai decorativi: sono documenti visuali. Quando ritrae la potatura invernale, ogni gesto dell’agricoltore è preciso, ogni attrezzo è restituito nella sua funzione specifica, eppure l’insieme respira di una mediterraneità che va dritta al cuore.

La scelta cromatica è da manuale: i verdi argentati degli ulivi, gli ocra della terra caprese, i blu cobalto del mare che fa da quinta costante. Ma è nella resa dei volti che Capecchi dimostra il suo talento più raro: trasformare il ritratto in narrazione sociale.

Il vero colpo di genio è aver capito che raccontare gli ulivi di Capri significa raccontare l’identità stessa dell’isola. Ogni pagina è un piccolo saggio di antropologia del paesaggio: dalla Minucciola all’Astrone (le varietà autoctone), dalla lotta biologica alla mosca olearia alle antiche tecniche di molitura, fino alla datazione al carbonio-14 dell’Olivo del Monaco (pratica rarissima per gli ulivi, che ne attesta i circa 700 anni).

Ma Capecchi non cade mai nell’accademismo né nella nostalgia. Il suo è un racconto di consapevolezza affettuosa dove la tecnica agronomica si intreccia alle storie umane, dove il sovescio primaverile (una pratica di concimazione “green”)  diventa metafora di rinascita collettiva. Perché “custodire è un atto di civiltà, non di retroguardia”: una lezione che va ben oltre gli oliveti di Capri.

In un mercato saturo di guide patinate e coffee table books superficiali, “Gli Olivi di Capri” emerge come atto di resistenza gentile. È un esempio riuscito di slow journalism visuale: un reportage che prende il tempo necessario per andare in profondità, che usa il disegno come strumento di analisi, che trasforma la divulgazione in esperienza estetica.

Il libro si presenta come un paradosso editoriale vincente: chiede tempo, tatto, attenzione, in un’epoca di fruizione veloce. Ma proprio per questo si fa ricordare, come quegli oggetti che “non si archiviano, si tengono accanto”.

Il libro intercetta perfettamente lo zeitgeist del turismo post-pandemico: quella ricerca di autenticità, di radici, di esperienze che lascino il segno. Non è un caso che nel progetto siano coinvolti FAI e Slow Food: perché il futuro del travel è nell’intersezione tra sostenibilità, cultura e bellezza.

Il pubblico potenziale è vastissimo: dagli habitué di Capri che scopriranno un’isola segreta, agli appassionati di enogastronomia (l’olio prodotto è di altissima qualità), fino ai cultori del disegno e dell’illustrazione editoriale. Ma soprattutto, il libro parla a quella fascia crescente di viaggiatori “consapevoli” che cerca esperienze autentiche e sostenibili.

Le potenzialità di spin-off sono enormi: workshop di disegno dal vero, tour tematici negli oliveti recuperati, collaborazioni con ristoranti stellati per valorizzare l’olio prodotto. Capecchi ha creato non solo un libro, ma un ecosistema narrativo replicabile in altri territori.

“Gli Olivi di Capri” è una sfida al travel journalis: è possibile raccontare i luoghi senza cadere nei cliché, senza limitarsi alla superficie scintillante del turismo di massa. Semplicemente osservando, partecipando, raccontando artisticamente.

L’autrice dimostra che il disegno può essere strumento giornalistico potentissimo: più immediato della fotografia, più evocativo della parola scritta, capace di sintesi difficile da raggiungere con altri media. È una lezione che arriva al momento giusto, quando l’intelligenza artificiale minaccia di standardizzare l’immaginario visuale.

“Gli Olivi di Capri” è molto più di un bel libro su un’isola famosa. È la dimostrazione che esistono ancora storie da raccontare, territori da scoprire, tradizioni da salvare. E soprattutto, che esistono ancora autori capaci di inventare linguaggi nuovi per farlo.

Simonetta Capecchi ha scritto e disegnato un’opera che ridefinisce i confini tra giornalismo, arte e impegno civico. Un libro che non sta negli scaffali, ma vive sulle tavole da disegno, nei frantoi, tra i filari di ulivi che qualcuno ha deciso di non abbandonare.

In un’epoca di viaggi usa-e-getta, “Gli Olivi di Capri” ci ricorda che i luoghi più belli sono quelli che qualcuno ha amato abbastanza da difendere. E che le storie più belle sono quelle che qualcuno ha saputo raccontare con la passione di chi ci crede davvero.

Un’opera imprescindibile per chiunque voglia capire come si fa, oggi, giornalismo di territorio. E come si fa letteratura del viaggio.

Consigliato a: lettori di testate travel in cerca di ispirazione, viaggiatori evoluti, appassionati di illustrazione, chiunque creda che i luoghi vadano amati oltre che visitati.

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