Flora: quando un museo si trasforma, per incanto, in un giardino fiorito

La mostra in corso alla Fondazione Magnani-Rocca.

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22 Giugno 2025 - 23.12


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di Francesca Parenti

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La Fondazione Magnani-Rocca si è sempre distinta per esposizioni temporanee di alto livello, ma con FLORA ha superato davvero ogni possibile aspettativa. 

In occasione dell’arrivo della primavera, e fino al 29 giugno, è riuscita a trasformare quasi magicamente, tutti gli ambienti della Villa dei Capolavori in rigogliose, lussureggianti, folte e variegate composizioni floreali: ogni spazio appare come bouquet fiorito e florido, inquieto o pacificante, silenzioso o urlante.

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In concomitanza sincronica con la presentazione degli importanti lavori di restauro del Parco, la Fondazione elargisce al pubblico un’esposizione che dischiude l’interno del museo per instaurare una conversazione reciproca avec les milieux extérieurs, in rispettoso e concorde omaggio all’attenzione per il paesaggio, inteso come bene culturale, che proprio il fondatore Luigi Magnani, insieme ad altri intellettuali, contribuì a far riconoscere, tutelare e salvaguardare.

Flora può contare sulla collaborazione istituzionale con il Mart (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto): la mostra è infatti curata da Daniela Ferrari, Curatrice e Conservatrice del Mart e da Stefano Roffi, Direttore Scientifico della Fondazione.

In tal modo, unendo la sapienza dei curatori, il già citato e prezioso contributo del Mart per l’organizzazione della rassegna, l’allestimento illuminante e accuratissimo realizzato dagli stessi curatori unitamente a Kreativehouse, insieme alle rilevanti attività di rinnovamento del giardino circostante, nonché al prestito e alla presenza di opere provenienti da musei, istituzioni pubbliche e collezioni private, Flora ha avverato e dato vita ad un progetto che oltrepassa i confini miopi e le demarcazioni limitanti, riuscendo a sorprendere e stupire i visitatori. 

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Ma soprattutto, essa ha coraggiosamente contribuito a conseguire un risultato davvero inatteso e assolutamente inaspettato, partendo da un soggetto apparentemente semplice ed erroneamente ritenuto ab/usato nell’arte italiana del ‘900, ossia quello della rappresentazione artistica dei fiori.

Semmai proprio una tale illusoria facilità costituisce, al contrario, il filo conduttore che sottende e rafforza l’idea di base: non c’è artista che, nel corso del secolo scorso fino ad oggi, non abbia utilizzato l’elemento floreale nelle sue opere, testimoniando l’estesa proficuità che un soggetto agevole e, al contempo, complesso come il fiore ha avuto e avrà nella poetica di un numero vastissimo di artisti. A riprova di quanto appena affermato, pare appunto non esservi un artista del Novecento (ma anche nei secoli precedenti e fino ad arrivare ad oggi) che non si sia cimentato con i fiori e, ognuno di loro, lo ha fatto inseguendo una vocazione intima e una personalissima esegesi, ha sperimentato questo tema, mettendosi alla prova, seguendo un’inclinazione recondita e un’esecuzione individuale. Spesso con <<un’anatomia dell’irrequietezza>> (citando un libro di Bruce Chatwin), oppure attraverso congetture dell’animo umano, deduzioni, senso di vertigine, sentendosi spogliato di fronte all’infinità del rappresentabile. 

Et donc, ça va sans dire, la sfida della mise en abyme, (intesa come strumento che permette l’esplorazione di contenuti compositi, quali l’essenza della raffigurazione, il rapporto tra autore e opera, la linea di frontiera tra effettività concreta e simulazione apparente) è, al contempo, certame, agone e punto di forza della mostra stessa.

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Flora, con la sua stringente ed intrinseca coralità, infatti si presta a molteplici livelli di lettura, dalla bellezza del soggetto raffigurato, sino alla complessità e individualità che esso rappresenta per gli artisti, riuscendo ad essere una mostra adatta a qualunque tipo di pubblico, senza deluderne le aspettative.

Questa struttura, integra e compatta, se considerata nella sua interezza, si frammenta (pur senza una diminuzione per fermezza e consistenza d’intenti), qualora ci si soffermi sulle molteplici sezioni, su alcuni movimenti e su alcuni autori in particolare con uno sguardo indagatore.

L’incipit è affidato a due opere, diverse e difformi, eppure indispensabili e necessarie, per avviarci, prendendo per mano il visitatore, nel percorso espositivo.

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Alla nostra sinistra compare uno studio di Giulio Paolini del 1968, costituito da stampe fotografiche in bianco e nero sovrapposte dal cui titolo, Flora sparge i fiori, mentre Narciso si specchia in un’anfora d’acqua tenuta dalla ninfa Eco, discende a cascata anche la titolazione della mostra.Paolini, con profonda abilità e conoscenza, ci conduce nel mito, rispondendo alla chiamata vocazionale nel cogliere l’eco dell’arte veicolato attraverso il tempo. La Dea romana Flora è un profluvio dell’esprit della primavera e della ri/nascita che porta radicata dentro e che si espande, in estensione, al di fuori. Ma c’è di più. Non mancano ulteriori riferimenti, colti e puntuali: se Flora è incastonata in un gioco di sovrapposizioni e rimandi, in buona parte lo si deve al ragguaglio con la parte centrale del dipinto di Nicolas Poussin, L’empire de Flore (1631 circa). 

In tal modo, acuto ed esplicito, minuzioso e consapevole, Paolini ci traghetta e proietta al passato mitico del pittore seicentesco, pur restando saldamente ancorato (e noi con lui) alle coordinate reali.

Davanti allo spettatore emerge, invece, l’enorme e attrattiva deflagrazione floreale che trascina e investe i nostri sensi, un maestoso caleidoscopio di forme e colori. Si tratta della scenografia Flora magica per Le Chant du Rossignol di Fortunato Depero (che dal 1917, venne ricostruita nel 1981) in legno e cartone verniciati. Tale scenografia fu concepita e realizzata su invito di Sergej Pavlovič Djagilev nel 1916 proprio per le Chant du Rossignol, ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen L’usignolo dell’Imperatore. Depero, con questo lavoro imponente, eppure libero, sperimenta un’altra lettura del tema floreale: l’opera, come una pianta ammaliatrice e fantasiosamente carnivora, che ci inghiotte e pare calamitarci a sé, con la finalità di introdurci al prosieguo dell’esposizione.

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Tradizione e avanguardia, diposizioni per analogia o contrasto, lentezza e brevità, chiarezza e fugacità, raffigurazione di autori vicini o lontani temporalmente o idealmente, tecniche e materiali diversi: tutto questo se da un lato lascia l’osservatore stupito ed attratto, pressoché in balia dell’avanzare, dall’altro rimescola le carte appositamente per manifestare quanto l’elemento floreale ha sempre mantenuto (e manterrà) un ruolo fondamentale e di primissimo piano nell’arte. 

Esso si dimostra, infatti, in grado di vestire abiti sempre nuovi, sovversivi, imprevedibili, talvolta funzionali alla narrazione o parte integrante di un raffinato ritratto; o ancora elemento decorativo fino a divenire espressione di una ricerca convulsa e d’avanguardia, come pensiero e meta pensiero.

I fiori, dunque, come espressione di un dissidio interiore o visione rassicurante, 

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si traducono e si prestano perfettamente con la loro disarmante, commovente, perturbante o incantevole avvenenza nel mettere alla prova ogni artista.

Di volta in volta, possono essere simbolici, complessi, silenziosi, lottatori, recisi, inquieti, contemporanei e tendenti all’astrazione, dalle forme sofisticate o volutamente semplificate.

Oppure anche solo e unicamente “fiori”, sebbene mai incapsulati nella superficialità.

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Si passa così dai futuristi (Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Fortunato Depero) al vivacissimo cromatismo di Filippo De Pisis; dalla grazia nella rappresentazione del fiore in Boldini e Amedeo Bocchi, al simbolismo complesso e non solo ornamentale di Galileo Chini, per arrivare ai fiordalisi e ai papaveri di Felice Casorati, alle ortensie di Giovanni Segantini, alle dalie di Gaetano Previati e Antonio Donghi, fino ai crisantemi di Giorgio de Chirico.

Non passano certo inosservate le opere di Renato Guttuso (Signora con la rosa, 1945; Vaso di fiori,1938-1939 e Natura morta con garofani e frutta,1938), così come la grande ceramica smaltata del Maestro del Movimento Spazialista Lucio Fontana (Donna con fiore, 1948).

Un’intera sezione è dedicata alla “rosa”, il fiore per eccellenza: qui incontriamo Arturo Tosi, Antonio Donghi, Mario Mafai, Carlo Carrà, Giorgio Morandi (con le sue meditazioni silenziose e introspettive) e, non a caso, Bertozzi & Casoni con la ceramica policroma del 2021 intitolata Per Morandi.

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In conclusione, arriviamo a Flora Contemporanea aggirandoci tra Osvaldo Licini (Fiore Fantastico, 1955), Pier Paolo Pasolini (Autoritratto con il fiore in bocca, 1947), Alik Cavaliere con quattro sculture in bronzo del 1970 (Un’avventura nella natura: le quattro stagioni), Nicola De Maria (Il regno dei fiori, 1984-1985), Mario Schifano (Orto botanico1, 1981 e Giardino vissuto, 1985) e Giardino pensile, l’eterea ed impalpabile scultura di Fausto Melotti del 1972. 

Incontriamo ancora altre ricerche sperimentali come quelle di Sophie Ko (che utilizza pigmento puro e polline di mimosa), Davide Benati, Michele Parisi, Arnold Mario Dall’O, Mario Raciti, Dacia Manto, Tomaso Binga, Mirella Bentivoglio.

A conclusione del percorso, il pubblico si trova innanzi ad un’ampia opera di Jannis Kounellis (Untitled, 1966-1967): un vasto fiore uniformemente dipinto di nero cupo emerge sul bianco immacolato della tela, un nitore che stride con l’oscurità dell’elemento floreale. 

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Tra i maestri indiscussi dell’Arte Povera (terminologia coniata dal critico Germano Celant), Kounellis, invertendo il cromatismo abituale, non vuole solo provocare, ma trasportarci ad una riflessione: la luce e il buio si possono alternare, scambiare, confondere, anche nella vita reale. Sta a noi ricomporre il giusto ordine delle cose, è compito nostro.

Flora. L’incanto dei fiori nell’arte italiana dal Novecento ad oggi è il titolo del raffinato catalogo, (recante in copertina Giardino fiorito, 1923-1925 di Luigi Bonazza), edito da Dario Cimorelli Editore. Il volume, ideato dai medesimi curatori della mostra (Daniela Ferrari e Stefano Roffi), contiene, oltre ai loro contributi critici, ulteriori saggi ed approfondimenti di Carlo Mambriani, Elisa Martini, Sergio Risaliti e Chiara Vorrasi, nonché l’attenta e meticolosa riproduzione di tutte le numerose opere esposte (oltre un centinaio).

Prima o dopo l’immersione in Flora e nell’universo che spalanca ai nostri occhi, i visitatori potranno godere di altri capolavori che costituiscono la collezione permanente della Fondazione Magnani-Rocca: da Gentile da Fabriano, Filippo Lippi, Albrecht Dürer e Tiziano Vecellio a Anton Van Dyck, da Giambattista Tiepolo e Antonio Canova a Francisco Goya, da Claude Monet a Paul Cézanne. 

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Tornando all’esterno, anzi al dialogo tra interno ed esterno, nel 2025, saranno terminati e presentati i lavori di restauro del vasto Parco Romantico che circonda la Villa dei Capolavori. 

Il progetto, finanziato dal Ministero della Cultura con fondi PNRR, intende restituire al Parco la sua identità attraverso interventi duraturi di recupero del disegno originario e del valore paesaggistico, ripristinando, fra l’altro, il laghetto di cui si conserva l’invaso, oltre a importanti ripiantumazioni; si tratta dell’unico parco storico aperto del territorio, esteso per dodici ettari intorno alla Villa. 

Il riallestimento “all’inglese” a metà Ottocento del precedente giardino formale (nelle mappe del 1820), è testimoniato, oltre che da una rarissima serie di dieci stampe all’albumina di recente acquisite, dall’assetto attuale, con masse vegetali armoniosamente alternate a radure, un insolito assortimento botanico (circa quaranta specie arboree e arbustive, per la maggior parte ad alto fusto), molti esemplari imponenti (tre inclusi nell’Elenco degli alberi monumentali d’Italia: Cedrus libani, Sequoia sempervirens, Platanus hybrida), percorsi sinuosi e arredi storici, potenziati questi dallo stesso Magnani che aggiunse sculture e colonne antiche, nonché un parterre all’italiana con statue e siepi presso l’antico oratorio della villa. Da giardino di una villa nobiliare, è diventato un romantico Giardino all’Inglese, con piante rare ed esotiche. Ora il Giardino all’Italiana ritrova il suo disegno originario ed il lago scomparso diviene biolago pieno di vita. 

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La grande novità è il Giardino Contemporaneo, ispirato al “New Perennial Movement”, sorprendentemente in grado di mutare con le stagioni. 

Una riqualificazione totale che allaccia storia e innovazione, intreccia passato e presente, raccorda cultura e natura.

Dopo questo ulteriore e doveroso approfondimento, concludo sostenendo che Flora è un viaggio interiore, intellettuale sottile ed evocativo; una voce indimenticabile, smisurata e consapevole, come un’equazione dell’armonia; un tragitto creativo che è stato compiuto e che, da noi, viene ri/percorso in assoluta libertà, come muovendosi tra le pagine della letteratura combinatoria; una cura per lo sguardo e una terapia poetica, (parafrasando liberamente Franco Arminio); un’entrata ed un’uscita perpetua, tra assonanze e dissonanze, concordanze e discordanze, balzi e indugi, tra la Flora che facendosi nemesi si prodiga per distribuirci suggestioni, conoscenze e la giusta dose di fascinazione.

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Di fronte alle indicibili brutture del mondo, concediamoci almeno la bellezza dell’arte.

L’incanto epifanico del fiore è anche il nostro. Lasciamoci incantare dunque, ne siamo autorizzati. 

Con Flora ci è permesso. Con Flora, l’enchantement viene rivelato.

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www.magnanirocca.it

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