di Alessia de Antoniis
Il Fondo Unico per lo Spettacolo nasceva con una promessa: mettere ordine nel sistema teatrale italiano, distribuire risorse pubbliche secondo criteri chiari e garantire a tutti, grandi e piccoli, un posto nella mappa dei teatri d’Italia. Le cose sono andate diversamente. Il Decreto Ministeriale del 10 febbraio 2014 portava con sé una visione: il teatro come bene comune, da proteggere e sostenere con equilibrio, pluralismo e trasparenza. Almeno a parole.
In questo giugno 2025, nel cuore di Firenze, è arrivato il colpo di scena: con una decisione che nessuno sa ancora spiegare bene, il Ministero della Cultura toglie alla Pergola il titolo di Teatro Nazionale. Con lei, declassa tutta la Fondazione Teatro della Toscana. Quattrocentomila euro che si volatilizzano e un’intera identità culturale che rischia di dissolversi.
La Pergola di Firenze non è solo un edificio: custodisce secoli di storia e cultura teatrale. Era stata proclamata Teatro Nazionale, riconosciuta come una delle culle del teatro italiano, centro di progettazione, pedagogia e scambi internazionali. Al suo fianco, Era di Pontedera e, dallo scorso triennio, si era aggiunto il Rifredi, già centro di produzione. Insieme formano la Fondazione Teatro della Toscana, riconosciuta e sostenuta dallo Stato per la sua missione pubblica.
Affidata nel novembre del 2024 alla guida dello scrittore e drammaturgo Stefano Massini, nominato direttore artistico, la Pergola sta aprendo ponti con Parigi. Rifredi forma nuovi autori e attori, dando spazio a ciò che nessuno vede altrove.
Ma il nuovo FNSV, il Fondo Nazionale per lo Spettacolo dal Vivo aggiornato nel 2024, ha rivoluzionato le regole del gioco e i teatri pubblici vengono ora premiati in base al rapporto tra costi e incassi, incentivando di fatto logiche commerciali: spendere poco, incassare tanto.
Il paradosso è evidente: i teatri non hanno più l’obbligo di proporre spettacoli di alta qualità e rischio artistico, ma devono dimostrare efficienza economica come aziende private. Il risultato? Una corsa al ribasso sui cachet degli artisti e una ricerca spasmodica di nomi di richiamo che riempiano le sale. Anche se vengono dalla televisione e di teatro ne sanno poco o nulla. L’arte si misura ora con gli strumenti del mercato: chi porta più pubblico vince. Chi invece si occupa di cittadinanza, educazione, sperimentazione… rischia il silenzio.
In mezzo a questa bufera, una voce squilla: quella del Ministro della Cultura Alessandro Giuli, che in un impeto lirico dichiara pubblicamente: «Stefano Massini è un patrimonio dell’Unesco». Una frase tanto solenne quanto surreale, pronunciata nel momento stesso in cui il suo Ministero declassa il teatro che Massini dirige. Come se si proclamasse cavaliere un poeta e poi gli si facesse bruciare la biblioteca.
Perché declassare la Pergola significa declassare tutta la Fondazione Teatro della Toscana, Rifredi ed Era compresi. Perché il sistema di finanziamento pubblico non premia un teatro fisico, ma un ente, un progetto, una visione. Rifredi, con la sua vocazione per la drammaturgia contemporanea e l’inclusione sociale, Era di Pontedera, le scuole, i laboratori, i progetti internazionali… tutto rischia di diventare un lusso anziché un diritto.
Ma cosa dicono i numeri? I bilanci della Fondazione Teatro della Toscana raccontano una realtà complessa. Il preventivo 2025 mostrava una strategia ambiziosa: aumentare significativamente i ricavi da vendita di biglietti e dalle attività innovative. Ma il declassamento rischia di mandare in frantumi ogni previsione.
La perdita del titolo di Teatro Nazionale comporta non solo la sottrazione di circa 400mila euro, ma mette a rischio l’intero equilibrio economico di una struttura che stava puntando sull’innovazione e sull’internazionalizzazione. I costi di ospitalità e promozione erano stati incrementati nell’ottica di un’espansione delle attività, ma senza il riconoscimento statale ogni investimento diventa incerto.
La vicenda potrebbe scoperchiare una crisi più ampia. Tre commissari della Commissione Consultiva Prosa, designati dalla Conferenza Unificata in rappresentanza di Comuni, Province e Regioni, hanno deciso di dimettersi. Hanno denunciato opacità, ideologia, un’impostazione non tecnica ma politica. I loro scranni sono rimasti vuoti, ma il Ministero è andato avanti come se nulla fosse, forte della maggioranza interna.
C.Re.S.Co. – Coordinamento delle realtà della scena contemporanea – ha espresso una preoccupazione che va oltre il caso specifico: “La presenza dei rappresentanti degli enti territoriali non è un dettaglio accessorio, ma un principio fondante dell’equilibrio istituzionale”. L’organizzazione ha chiesto lo scioglimento e la ricomposizione della Commissione, denunciando che “procedere in assenza di questa componente rischia di minare alla radice il principio costituzionale di concorrenzialità Stato-Regioni”.
Anche AGIS, per voce del presidente Francesco Giambrone, ha espresso “la forte preoccupazione dell’intero comparto per il clima che si è determinato e per l’inasprimento dei toni che rischia di compromettere la corretta prosecuzione dei lavori della Commissione”. Un vulnus in termini di rappresentatività che, secondo l’associazione, deve essere sanato con urgenza.
Il teatro è di fatto diventato terra di conquista. La stampa si è spaccata lungo linee prevedibili. Ma la questione va oltre le appartenenze politiche. Come ha osservato C.Re.S.Co.: “Di buono c’è che se il teatro è terreno di scontro politico, vuol dire che esso custodisce ancora un ruolo prezioso nella società. Di pessimo c’è tutto il resto.”
La vera posta in gioco non è solo il denaro, ma il controllo del racconto culturale. Chi decide cosa sia “teatro d’eccellenza”? Chi scrive la classifica tra cultura civile e intrattenimento? Il decreto che doveva garantire pluralismo è stato piegato a una logica aziendale che premia la “congruità gestionale” più che la qualità artistica.
La Fondazione Teatro Toscana rappresentava l’opposto di questa filosofia: un teatro che investiva in formazione, ricerca e progetti a lungo termine. Il declassamento della Pergola non è casuale, ma conseguenza di criteri che privilegiano il risultato immediato sulla costruzione culturale.
Com’è possibile che un cambiamento così strutturale sia avvenuto senza una discussione pubblica, senza il parere degli enti locali, senza neppure il tempo per prepararsi? La risposta, per ora, non è nei verbali, ancora sotto embargo del Ministero.
Per la sindaca di Firenze Sara Funaro, è “preoccupante e inaccettabile l’idea del declassamento del Teatro della Toscana che ha portato alle dimissioni di tre commissari su sette della commissione ministeriale. Il mondo teatrale si interroga su quale sarà il prossimo obiettivo di questo restyling ideologico. Parole chiare anche da Massini “la cultura è pesantemente sotto attacco”
La vicenda della Pergola non è solo la storia di un declassamento: è il sintomo di una trasformazione più profonda del rapporto tra cultura e potere in Italia. E il finale, come sempre, dipende anche da chi ha il coraggio di raccontarlo.