di Alessia de Antoniis
Dal 23 agosto al 1° settembre 2025, la storica città di Todi si prepara a brillare ancora una volta, accogliendo il Todi Festival 2025. Ma quest’anno la vera notizia non è solo “cosa” si vedrà, ma “chi” lo firma: Silvano Spada. Il fondatore del festival, l’uomo che nel 1987 trasformò una cittadina medievale in un laboratorio teatrale d’avanguardia, torna a dirigere la manifestazione che porta il suo nome impresso nelle fondamenta.
Dall’ideazione del festival, il mondo si è evoluto e così anche la manifestazione che, con questa edizione, promette un viaggio straordinario attraverso l’arte e la cultura, con oltre 50 eventi e più di 70 artisti in scena. Il festival animerà i luoghi più iconici di Todi, dal maestoso Teatro Comunale al Teatro Nido dell’Aquila, dal sereno Chiostro San Fortunato, e svelerà anche nuovi, suggestivi spazi.
Sotto la guida del suo fondatore Silvano Spada, il Todi Festival 2025 riscopre la propria identità guardando al futuro. Emblematica, in questo senso, la storia della versione italiana di A Chorus Line, che debuttò proprio a Todi grazie alla visione di Spada e al coraggio di un gruppo di giovani artisti, tra cui Saverio Marconi. Nonostante le resistenze della stampa e dell’ambiente teatrale, il progetto – sostenuto anche economicamente dalle famiglie dei protagonisti – si trasformò in un successo clamoroso, lanciando la Compagnia dell’Arancia e affermando il festival come fucina di eccellenza e innovazione. Ancora oggi, Spada ricorda quel debutto come simbolo di una vocazione: trasformare il teatro in un atto di tenacia, rischio e libertà creativa. E quello stesso spirito anima ancora il nuovo, storico, direttore artistico del festival.
Ma è Silvano Spada che torna a Todi o è il Todi Festival che torna da Silvano Spada?
Silvano Spada riflette e risponde: “Decida un po’ lei, sono vere tutte e due”
Sicuro?
Beh, direi che è il Festival di Todi che torna da Silvano Spada…
Cosa ha provato quando l’hanno chiamata?
Non è che mi hanno chiamato… Sono anni che mi viene chiesto di tornare, però ero su altri progetti. C’era l’Off Off Theatre. Poi mi è stata conferita la cittadinanza onoraria di Todi e in quell’occasione il Comune è tornato a chiedermi di tornare. Mi è sembrato giusto ricambiare la cortesia.
Cosa ha conservato di questi anni del Festival di Todi?
Un ricordo bellissimo, di successo clamoroso fin dall’inizio. Non l’ho mai dimenticato, ma ero in altri mondi. Ora sono di nuovo immerso nel Festival di Todi ed è come fosse il primo anno: il mondo è cambiato, io sono cambiato, anche la città è cambiata. E in meglio. Quindi è tutto nuovo, è quasi una sfida. E devo dire che a questo punto mi sto divertendo.
Negli ultimi anni il Festival era molto cambiato. Ha faticato per riportarlo alla sua essenza teatrale?
Questo è un risultato che staremo a vedere. Mi sembra di sì, e ringrazio di essere circondato da molta stima, interesse, simpatia. Ero atteso, questo lo sapevo. I segnali in questi anni sono stati infiniti. Ma il resto è ricominciare da capo: i miei festival del passato fanno parte di un’epoca. Reinventare un festival: questo è il compito che mi sono preso.
Lei fondò il Festival nell’87. “A Chorus Line” arrivò poco dopo e fu un grande atto di coraggio. Oggi cosa significa portare coraggio a teatro? E i giovani, ce l’hanno ancora?
È stato tutto un coraggio, una sfida fin dall’inizio. Mi sono inventato un festival in una regione dove c’era già un gigante, il Festival dei Due Mondi, con Giancarlo Menotti. Inventarsi a pochi chilometri un altro festival era un gioco d’azzardo. Però mi divertiva pensare a Todi come il Festival “giovane e birichino”, in dialogo con il “padre nobile” di Spoleto.
Quanto ai giovani: vorrei dire di sì. In molti casi il coraggio c’è, ma non si manifesta come allora. Una volta i giovani si buttavano, rischiavano. Da lì nascevano carriere. Pensiamo a Vincenzo Salemme, a Claudio Santamaria, entrambi passati da Todi.
Il problema oggi è che lo spettacolo viene vissuto come una professione come le altre. Ma non è così. Fare spettacolo è un’altra cosa. Richiede studio, rischio, tenacia. A chi gli chiedeva come si aveva successo, Luca Ronconi diceva: “Se ci si dà da fare e ci si arrangia”. E soprattutto: nulla nasce dal nulla. Oggi c’è poca voglia di studiare il passato, e questo mi dispiace.
Lei è stato avanguardia. Oggi tornare in una città come Todi, in un periodo storico dove si è pesantemente riaffacciata la censura, la fa sentire altrettanto libero?
Nessuno mi ha imposto vincoli. Io seguo la mia traiettoria: rispetto del passato e attenzione al nuovo. Alterno nomi affermati e nuovi talenti. Il rischio fa parte del mio DNA. E in quest’ottica continuo a proporre, con coraggio, quello in cui credo.
È tornato per restare?
Ho preso un impegno con me stesso. Almeno un triennio lo farò. Poi mi piacerebbe passare il testimone a giovani vivaci e coraggiosi.