Maria Cristina Mastrangeli: tra “Un posto al sole”, Roma e Parigi
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Maria Cristina Mastrangeli: tra “Un posto al sole”, Roma e Parigi

È Agata nella soap Rai, ma dietro c’è una carriera costruita tra Strasberg, Mastroianni e Chabrol. Tra cinema d'autore e teatro

Maria Cristina Mastrangeli - Agata di Un posto al Sole - intervista di Alessia de Antoniis
Maria Cristina Mastrangeli - Agata di Un posto al Sole
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

28 Giugno 2025 - 13.05


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di Alessia de Antoniis

Maria Cristina Mastrangeli è Agata Rolando “Un posto al sole“, il personaggio che comunica con i defunti. L’attrice romana, che vive e lavora tra Roma e Parigi, ha studiato con Francesca de Sapio, Susan Strasberg e Geraldine Baron. Ha lavorato con registi come Michalkov, Chabrol, Soldini, Scaparro. È passata dalla tragedia greca alla stand-up comedy, dai set italiani agli spazi culturali di Parigi. Eppure, proprio in un contesto televisivo così rodato e popolare, ha trovato un nuovo spazio d’espressione, portando con sé un carico di esperienza, visione e profondità.

La incontriamo in un momento di intensa attività creativa, tra set e teatro, tra Italia e Francia. Ci racconta come si prepara a parlare con i morti senza cadere nella retorica, come si affronta la scena col passare del tempo e perché oggi servono personaggi femminili con la spada. Ma anche cosa significhi portare in scena la storia del femminismo a partire da uno sguardo intimo, ironico e dissidente.

Ma come ha costruito la connessione con l’invisibile senza cadere nella spettacolarizzazione?

Sono felice che si legga quello che ho cercato di trasmettere per il personaggio di Agata. Per approcciarmi a lei ho pescato nella parte di me che aspira alla trascendenza. Ma la mia indole è più frivola di quella che richiederebbe Agata, allora mi sono anche appoggiata al tipo di sguardo speciale di una persona a me molto cara che ha doti simili.

Cosa significa ‘dare voce a chi non c’è più’?

Nella vita reale sono molto più attenta a chi è ancora vivo, ma è reso invisibile perché non rientra nella norma.

Cosa porta del suo percorso formativo in questo ruolo televisivo?

Ci porto tutto, come sempre. È un bagaglio sedimentato che mi piace aggiornare, sono un’eterna studentessa! E sì, in effetti questo set è sorprendente. È un treno veloce e puntualissimo, richiede memoria e capacità di adattamento secondo dopo secondo. Sto imparando a “farmi amare” dall’obbiettivo, invece di dimenticarlo come mi era stato insegnato.

Quali reazioni ha notato tra il pubblico di Un posto al sole?

Oh le reazioni sono state incredibili. Ho scoperto quanto il pubblico sia affezionato a questa soap così longeva. La fan-base la considera parte del suo quotidiano. Quindi, come nella vita, c’è chi ama che le proprie abitudini siano sconvolte e chi no. E Agata è un personaggio inedito per Un posto al sole. Alle primissime apparizioni, su un account Instagram, dei fan hanno fatto un sondaggio per sapere chi fosse Agata: un angelo o addirittura la morte. Per fortuna ha vinto l’angelo!

Com’è stato entrare in una macchina già rodata come Un posto al sole?

È stato come entrare in grande famiglia accogliente. Confesso che all’inizio ero spaventata, so che può non essere facile arrivare su un set già rodato, magari con personalità forti che sono come a casa loro. Invece sono stati tutti di un’estrema gentilezza: dal cast ai vari reparti, alla produzione. Inoltre al momento la story-line che riguarda il mio personaggio è quella che segue le vicissitudini del giornalista Michele. Alberto Rossi, che lo interpreta, è un attore di una grande professionalità e disponibilità, mi è stato di grande aiuto.

Cosa significa per lei oggi “metodo”?

Ho iniziato a studiare con il metodo nel 1986 con Francesca de Sapio che era appena tornata a Roma dagli Stati Uniti. All’epoca era molto “ortodossa” nella sua trasmissione degli esercizi di Strasberg e quei lunghi allenamenti mi hanno poi permesso di sfruttare al meglio l’insegnamento di Geraldine Baron e di apprezzare pienamente la “stravaganza” di Susan Strasberg. Nel metodo ci sono le mie fondamenta di attrice, sono lì e sono costruite con materiali anti-sismici!

Cosa cerca oggi in un progetto cinematografico?

Finora, nei film di registi importanti, ho avuto ruoli secondari, ma trovo meraviglioso il fatto di potermi fondere in scenari opposti tra loro. Raccontare storie diverse da quelle che già conosco è il motore che mi fa scegliere ogni giorno di essere un’attrice. Oggi al cinema mi piacerebbe avere l’occasione di incarnare un personaggio di più ampio respiro, come quelli che ho incontrato in teatro. E adorerei avere un ruolo in un action-movie. Che so? una cattiva con la spada, che fa le capriole da stunt! E mi piacerebbe essere diretta da donne dalla forte personalità, che stimo, come Valeria Golino, Valeria Bruni-Tedeschi o Coralie Fargeat….

Come scrivere una(auto)biografia di successo“: da dove nasce l’urgenza di scrivere la storia del femminismo dal punto di vista di una figlia?

È una conferenza teatrale nata in Francia. L’ho portata in tournée per diversi anni e via via ha assunto toni sempre più da stand-up, facendomi scoprire che riesco a far ridere il pubblico. Dopo tanti anni di teatro “serio” non lo sapevo. È stato un processo creativo lungo che è iniziato con la prima idea su un foglietto ed è finito con l’ultima replica. L’urgenza nasce da un gruppo di liceali francesi. Durante un intervento sulle donne artiste, in una periferia considerata difficile di Parigi, dialogavo con gli allievi e, citando uno slogan delle femministe italiane della seconda onda, feci con le mani il simbolo che le caratterizzava. Una delle allieve, in tutta buona fede, scoppiò a ridere schernendo la presunta incapacità delle donne dell’epoca nel mettere le mani a cuoricino. Nessuno in quella classe, neanche le allieve che avevano avuto il coraggio di dirsi femministe – in certi luoghi è ancora un atto di coraggio – avevano la più pallida idea di cosa stessi parlando. Mi sono detta che bisognava rimediare.

Tra Roma e Parigi, dove si sente più libera?

È un discorso complesso. Marc Lazar, un eminente storico e sociologo francese di cui apprezzo le opere, ha scritto che “l’Italia è il laboratorio politico della Francia“. Finora ha avuto ragione. La Francia è un paese più strutturato nelle sue istituzioni statali e paradossalmente questi strumenti, già molto manipolati negli ultimi mandati presidenziali, in mano ad una destra estrema potrebbero essere mortiferi. C’è un motto di Brecht che amo molto: “solo un po’ disordine e un po’ di anarchia possono salvare l’Umanità dal peggio“.

Per rispondere sulla mia libertà individuale, non vorrei sembrare presuntuosa, ma io mi sento donna, attrice e libera ovunque. Lo si può essere vestite in mille modi, in mille lingue. Ogni luogo ha le sue battaglie.

È tornata di recente a recitare tragedie greche. Cosa significa affrontare questi testi oggi, da donna?

Si è trattato di letture sceniche di diversi testi dell’Orestea, di Edipo Re, Edipo a Colono, dell’Antigone di Sofocle… Alla regia c’era Walter Le Moli e alla drammaturgia Massimo Cacciari. Era molto tempo che non “masticavo” testi classici in italiano, sono stata in religioso ascolto dei due splendidi prototipi di maschio italiano d’altri tempi. Anche una femminista può farlo se ha di fronte un innegabile valore culturale.

Come cambia il suo rapporto con la scena e con il corpo col passare del tempo?

È una domanda interessante, richiederebbe un’intervista a parte! Ogni donna ha il suo percorso col proprio corpo e col passare del tempo. Venendo dalla danza, ho sempre avuto un rapporto diretto col mio corpo, l’ho amato e fatto amare, l’ho forzato da giovane e ora cerco di tenerlo allenato il più possibile. È il mio strumento di lavoro e bisogna mantenerlo in salute, per quel che mi riguarda nel modo il più naturale possibile. Non sono mai stata pudica e cerco di non diventarlo ora perché sarebbe un vezzo.

Forse è presto per dirlo, ma sembra ci sia meno fermento, meno nuove idee, meno opposizione di quella che c’è stata durante il Ventennio. Siamo le rane bollite di Chomsky?

Il mondo culturale è vasto. Durante il fascismo gli oppositori erano al confino o nella resistenza. Sulla “dose” di fascismo di Pirandello si fanno tesi universitarie, sul recupero di Pound non ne parliamo nemmeno! Comunque io il fermento lo vedo, la nuovissima generazione è capace di azioni forti e complesse, hanno la mia fiducia. Magari daranno un calcio anche a noi rane mezze bollite e ci aiuteranno ad uscire dal pentolone.

Il teatro italiano è ancora uno spazio di rischio o il sistema lo ha anestetizzato come il cinema?

Ma per me il cinema non è anestetizzato! Il cinema è industria e come tale deve anche funzionare sul grande pubblico e sui “numeri”, ma film come Vermiglio, Taxi mon amour, Mani Nude… diversissimi uno dall’altro, sono esempi belli di temi forti e fuori dal coro, no? Dobbiamo imparare a valorizzare ciò che abbiamo, continuare ad investire nei film indipendenti. Credo di più nelle tante radici che vanno a nutrire un grande albero che nel grande fiume che distribuisce acqua a chi vuole…

Si può parlare con i morti?

Credo in una qualche immanenza dell’essere divino. Qualcosa permane di noi o si trasforma o trasmigra. Di certo se i defunti vogliono dirci qualcosa verranno loro a cercarci, non bisogna disturbare le frontiere tra i vivi e chi non c’è più.

In cosa crede?

Ho bisogno di spiritualità. Di verticalità. Mi interessano le filosofie indiane e Yogananda in particolare. Ma sono nata in Italia, col suono delle campane delle chiese romane, ho fatto la Comunione e la Cresima. Quando sento il bisogno di praticare vado a messa.

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