di Giordano Casiraghi
Un cappello, la barba curata e i pantaloni neri di pelle. Così si faceva notare Pietruccio Montalbetti in tutte le foto che accompagnavano i Dik Dik, gruppo anni Sessanta da lui fondato insieme a Lallo, compagno di giochi fin dall’infanzia. Oggi che gli anni avanzano per tutti Pietruccio ha trovato nuove forme espressive, arrivando a scrivere libri sulla sua storia musicale, sulla sua amicizia con Lucio Battisti, ma sopratutto sui suoi viaggi.
Ultimo di questi libri, appena uscito, è “Storia di due amici e dei Dik Dik” (Minerva, 19€, pagine 240). I primi ascolti attraverso Radio Luxembourg lo portano ad apprezzare gli Shadows, la band di Cliff Richard, un artista britannico di origini indiane che, quando in formazione entrò Hank Marvin con la sua magica chitarra inventarono melodie che fecero il giro del mondo. Avevano modi piuttosto eleganti, concludendo ogni volta le loro esibizioni con un profondo inchino. Con qualche sacrificio Pietruccio riuscii ad acquistare una Fender Stratocaster rosso fuoco, come quella di Hank Marvin.
Un grande successo al primo colpo con Sognando la California. Siamo nel 1966, quando i Beatles erano già passati anche in Italia, ma conoscevi già Lucio Battisti?
Certo che sì. Lo avevo conosciuto in sala di incisione della Ricordi. Ho visto questo giovane che stava provando alcune canzoni da sottoporre, più che come cantante come autore. Lui era in tour con I Campioni di Roby Matano, che già cercava di farlo conoscere presso le case discografiche, ma in tal senso va citata Christine Leroux che spronò Lucio Battisti a provarci. È scattata subito una simpatia reciproca, così quando andammo in sala di registrazione venne a supportarci con consigli per l’arrangiamnto e per armonizzare le voci. Consigli che si rivelarono vincenti.
Una frequentazione assidua, tanto che lo hai invitato a casa tua per passare il Natale di quell’anno, il 1965. Come è andata?
Mi aveva fatto una certa tenerezza, così ha passato con noi il Natale. Lui era timidissimo e un po’ a disagio, sopratutto pensava a casa sua, ma mia mamma l’ha subito messo a suo agio mettendolo in contatto telefonico con la sua. A seguire ci siamo tenuti in contatto. Lui partecipava con idee e suggerimenti alle registrazioni delle nostre canzoni, a volte aggiungendosi ai cori, finchè anche lui ottenne la possibilità di incidere le proprie canzoni. In Ricordi non erano in molti a crederci, ma io avevo subito intuito le sue potenziali capacità di esprimersi in prima persona. Così arrivò il suo straripante successo e un giorno non si presentò all’appuntamento in sala di registrazione per un nostro disco.
Era troppo preso?
Sicuramente, ma quello che mi ha urtato è che non si faceva trovare. Poi rivolgendomi in Ricordi mi dissero che non faceva più parte della scuderia perché aveva fondato un’altra etichetta con Mogol.
Ne parli nel libro, come quella volta che sei andato a cena da lui, nella villa al Dosso di Coroldo vicino a Molteno e ne sei uscito abbastanza contrariato. Perché?
Sì nel libro ne faccio cenno, senza spiegare bene come siano andate le cose. Una serata decisamente negativa. Lui si era ormai molto ritirato dal mondo della musica. Va da sè che non si è mai concesso al pubblico, con serate e passaggi televisivi. Quella volta andammo da lui io, Lallo e le rispettive mogli. Lui si è mostrato perfino aggressivo, pontificando sulla psicanalisi avendo letto Freud, ma lo faceva perchè sapeva che mia moglie è una psicanalista di professione. Poi la moglie di Lallo gli ha chiesto un autografo e lui si è rifiutato, adducendo spiegazioni che a parer mio non stavano in piedi. Insomma una serata storta. Affioravano alcuni tratti del suo carattere che non approvavo, come quella volta che siamo andati al ristorante io e lui in quel di Lecco, per rimanere vicino a casa sua. Appena entrati il gestore e altri lo avvicinano per un saluto e lui di rimando: Vi state sbagliando con un’altra persona, sarà uno che mi assomiglia.
Della serie “Ti stai sbagliano …non è Francesca”, ma cosa ne pensava Lucio degli artisti che andavano per la maggiore a quei tempi?
Andammo insieme a vedere Santana ma non gli piacque, mi parlò invece bene dei PinkFloyd e David Bowie che aveva incrociato quando è stato a Londra a registrare i suoi dischi. Degli italiani difficile dirlo, so che una volta il manager Enrico Rovelli mi chiese di fare da tramite per un incontro tra lui e Vasco Rossi. Mi rispose: Vasco chi?
Nel libro anche la tua storia con i Dik Dik, ma c’è un’altra grande passione oltre alla musica?
Già da prima del successo come Dik Dik sognavo di essere perennemente in viaggio per mari, poi ho percorso chilometri e chilometri alla scoperta di luoghi poco battuti, evitando accuratamente di percorrerli in compagnia. I miei viaggi, documentati nei libri che ho scritto, li ho sempre affrontati da solo, dall’India al Perù, Ecuador, Venezuela, Bolivia, Cile, Filippine, alcune regioni dell’Africa come Kenya, Tanzania, parte del Sahara, Mali e Burkina Faso, poi il Nepal, il Pakistan, il Tibet.
Ci sarebbero tante altre cose da raccontare Pietruccio, ma secondo te Lucio Battisti avrebbe ottenuto lo stesso successo se non avesse incontrato Mogol?
Certamente sì. Ne sono convinto, perchè è sempre la musica che traina i successi e poi molti testi li suggeriva lo stesso Lucio.