di Alessia de Antoniis
In un tempo in cui Hollywood sembra sempre più la catena di montaggio dell’intrattenimento globale, dove i registi si rincorrono attorno all’algoritmo e il verbo dominante è “ottimizzazione”, il libro di Jean-Paul Chaillet, Sul set con Clint Eastwood. Una leggenda del cinema si racconta (Gremese, 2025), ha il sapore inattuale e prezioso del reportage artigianale. È, allo stesso tempo, un taccuino di viaggio lungo quarant’anni di cinema e un esercizio di attenzione verso il lato umano e quotidiano di un autore che, a novantaquattro anni, continua ostinatamente a “coltivare lo stesso campo”, convinto che la fedeltà al proprio metodo sia, forse, l’ultimo atto di ribellione rimasto.
Chaillet, unico giornalista ammesso a ventidue set di Eastwood, restituisce un ritratto che va oltre la classica biografia per accumulazione di incontri, dettagli minuti, rituali, pasti condivisi ai tavoli delle mense, aneddoti e lacerti di memoria pronunciati a mezza voce. Clint, suggerisce Chaillet, è sopravvissuto, soprattutto… a Hollywood: simbolo di una pratica cinematografica “artigiana” dove il mestiere si impara e si affina mutualisticamente, in un microcosmo di troupe stabile e consolidata, sotto il segno dell’umiltà, del controllo dolce e di una disciplina che sa ancora di bottega e non di catena industriale.
Ciò che distingue questo volume è l’approccio quasi etnografico: l’autore osserva Clint tanto nei gesti minimi (il modo di pranzare con la troupe, la posizione preferita sul set, la battuta in francese imparata per gioco), quanto nella filosofia produttiva: nessuna “action” gridata, poche riprese, ascolto e fiducia negli attori; una meccanica del lavoro perfettamente oliata e mai ostentata. Semplicemente un informale “OK, quando sei pronto”. Emerge, così, l’immagine di un artista che trasforma la lentezza in virtù, che si fida dell’istinto e accetta l’imprevedibilità del mestiere, colonna sonora inclusa.
Il libro colma un vuoto nella saggistica italiana: raramente il dietro le quinte di Eastwood, fatto di tempi lunghi, scenografie allestite in spazi marginali, scelte produttive fuori dal coro, era stato narrato con questa ricchezza; ma anche con questo tono empatico, giornalistico e insieme personale. Le testimonianze degli attori (Damon, DiCaprio, Freeman, Swank, Cooper…), raccolte in presa diretta, partecipano alla costruzione di un ritratto corale e restituiscono la sensazione di un cinema “familiare”, estraneo alla volubilità e al turnover dell’attuale industria.
I limiti? Se la lunga consuetudine tra Chaillet e Eastwood garantisce una minuzia di osservazione e di partecipazione emotiva rarissima, rischia a tratti di smussare le domande scomode e di privilegiare uno sguardo affettuosamente accomodante: le contraddizioni tra icona conservatrice e regista progressista, tra fama popolare e destino di autore “di culto”, non sono veramente sviscerate. Ma sarebbe ingeneroso chiedere a questo libro ciò che non vuole essere: non una monografia critica organica, quanto piuttosto il resoconto di una fedeltà prolungata, di una “convivenza” intellettuale e fisica con l’anomalia vivente del cinema americano.
Sul set con Clint Eastwood è una sofisticata dichiarazione d’amore a un mestiere e al senso di bottega che ormai sopravvive solo in poche isole: un libro per chi ha visto svanire la magia del set e vuole ancora provare a riconoscerla nelle pieghe del non detto, di un silenzio, di un pasto condiviso a luci spente.