di Alessia de Antoniis
Quando pensiamo agli agenti nel cinema, ci vengono in mente i grandi attori e i loro rappresentanti. Ma anche i registi hanno bisogno di qualcuno che creda nel loro talento, li guidi nel mercato e faccia da ponte con i produttori. Federica Remotti lavora per la storica agenzia Sosia & Pistoia, che in quarant’anni ha lanciato nomi come Antonio Albanese, Vincenzo Salemme e Fabio Fazio. Con lei parliamo di un mestiere che oggi deve fare i conti con algoritmi, piattaforme streaming e intelligenza artificiale.
Cos’è un agente di un regista?
Qualcuno che deve avere intuito, passione, credere nell’arte di qualcun altro. Credere fino in fondo nell’arte di un esordiente e fare un percorso che non lo snaturi, ma lo valorizzi.
Anche un regista ha bisogno di un agente?
Sì. I lavori, anche solo i cortometraggi degli inizi, sono meravigliosi biglietti da visita; ma se possiamo, con il nostro operato e i nostri contatti, far notare ai produttori questi talenti, si velocizza tutto il processo conoscitivo tra artisti e produttori. Noi siamo mediatori e creare quella mediazione su chi ha valore artistico è fondamentale. Tutto questo è frutto di una fiducia reciproca: quando un agente segnala qualcuno al produttore, quest’ultimo ha maggiore sicurezza che la persona abbia valore, perché l’agente ha dimostrato nel tempo di saper valutare correttamente.
Produttore e regista sono due figure di potere. E se nascono divergenze?
Capita quotidianamente: il lavoro di mediazione serve per arrivare a un confronto. È sempre l’artista che ha l’ultima parola. Cerchiamo di ragionare insieme, dare un parere sincero della situazione. Io non appartengo alla categoria di agenti che ha l’unico obiettivo di chiudere un contratto: cerco di salvaguardare un percorso artistico che va oltre l’obiettivo economico. Spesso declino lavori che non trovo adatti per il mio assistito. Non condivido l’accettare tutto pur di guadagnare.
Quali errori vede nei giovani?
Bisogna rimanere sempre umili, avere determinazione ma con i piedi per terra. È giusto sognare, però rimanendo educati. Questi tre elementi – umiltà, determinazione ed educazione – più lavoro e talento, sono il miglior biglietto da visita per proporsi a un produttore.
Come hanno cambiato il lavoro le piattaforme streaming?
Occupandomi dei più giovani, le piattaforme mi hanno aiutato molto perché hanno dimostrato subito grande apertura verso di loro. A volte in modo rigido – doveva esserci sempre almeno una donna, almeno un regista giovane… – ma hanno permesso a molti di dirigere serie senza aver mai fatto un lungometraggio. Dall’altro lato, sono diventate una potenza con un potere decisionale molto forte. Chi ne soffre è il produttore: prima l’ultima parola ce l’aveva lui, ora la piattaforma. Questo snatura il lato artistico dietro ogni progetto.
E quando l’ultima parola ce l’ha l’algoritmo?
Ancora peggio. Si parla di numeri, non di visione artistica. L’algoritmo è legato a un tempo: quando fai un’analisi è già superata. Non è attendibile per giudicare un progetto. Credo nel vecchio stile più artigianale, più vero: avere fiducia, scommettere su qualcuno, ha il suo risultato al di là dei numeri.
Ha mai avuto in mano un “diamante grezzo”?
Sì, soprattutto all’inizio. Sono passati 12 anni da quando ho iniziato: non c’erano le piattaforme, gli unici interlocutori erano i produttori tradizionali. Mi presentavo con ragazzi ventenni che non avevano mercato. Sono fiera che molti di quei ventenni, oggi trentenni e quarantenni, sono registi affermati. All’inizio avevamo le porte in faccia: c’era curiosità, ma erano “troppo giovani”. Poi tante persone si sono ricredute: le stesse che oggi li cercano; questo mi riempie di orgoglio.
Come vede i self tape?
Lato positivo: si vedono molti più attori. Prima 5-8 al giorno, ora anche 50. Dall’altro lato manca l’approccio umano: uno si ritrova freddamente davanti a uno schermo. Ho apprezzato che due registi che rappresento, abbiano fatto loro stessi un video di presentazione, spiegando agli attori quello che cercavano. Evitare la freddezza è importante, avere un approccio umano aiuta. Portare tutti sullo stesso piano è fondamentale.
Sosia & Pistoia compie quarant’anni. Come nasce questo successo?
Quest’anno facciamo 40 anni. La società è nata da Luisa Pistoia, che ha sempre avuto intuito, passione e curiosità: elemento che non deve mai mancare. Nasceva con il mondo della comicità, i primi teatrini off. Da Antonio Albanese a Vincenzo Salemme, Fabio Fazio: un circuito più alternativo che con il boom televisivo è diventato caposaldo dell’arte di oggi. Luisa portava i produttori a teatro, nei pub, per dimostrare che c’era fervente energia artistica. Un bravo agente non può stare seduto a una scrivania: deve avere curiosità verso gli esordienti.
Le nuove tecnologie vi preoccupano?
Con le tecnologie attuali e future questo aspetto è compromesso. Ormai chiunque può fare un video o scrivere una sceneggiatura con l’intelligenza artificiale. Sta diventando un campo minato. Però credo che l’artista vero, viscerale, che si sporca le mani, faccia ancora la differenza. Sono fiera di portare avanti Sosia & Pistoia per dare quella garanzia di attenzione nel lanciare talenti, al di là del mondo tecnologico.
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