Gennaro Lauro danza "Sarajevo" al festival Terreni Creativi

Ad Albenga la danza porta in scena l’eco di una guerra interiore ed esteriore con una performance di valore più tecnico che emozionale

Gennaro Lauro danza "Sarajevo" al festival Terreni Creativi di Albenga - recensione Alessia de Antoniis
Gennaro Lauro danza "Sarajevo" al festival Terreni Creativi di Albenga - Ph Luca Del Pia
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3 Agosto 2025 - 17.35


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di Alessia de Antoniis

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Un solo per non essere solo. Il performer Gennaro Andrea Lauro, al centro di una scena nuda, come spogliata dalla storia. È Sarajevo – la strage dell’uomo tranquillo, di Gennaro Andrea Lauro, un assolo fisico e filosofico andato in scena al festival Terreni Creativi di Albenga. Una danza che si pone come resistenza silenziosa e rituale, un tentativo fisico di attraversare il trauma della guerra, facendone materia viva, peso, tensione. Un corpo stanco, fragile, resistente, che si fa materia del trauma. Una presenza che, nella sua solitudine, diventa domanda: “Come posso essere meno solo attraverso un solo?”

La performance prende le mosse da un pensiero che non è solo politico ma anche esistenziale. Lauro si muove nello spazio con lentezza sorvegliata, come se ogni passo fosse un avvicinamento alla memoria. O una fuga da essa. Il suo corpo non impone, interroga. È una danza fatta di esitazioni, fratture, improvvise tensioni che si contraggono e si dissolvono. Il movimento non è fluido, ma nervoso, come il nostro tempo: un tempo di pace apparente, attraversato da una guerra diffusa che non ha più confini né nomi.

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L’assolo si struttura in quadri che alternano immobilità e scatti, collasso e ripresa, in un crescendo che dà voce alla paura, all’urgenza, alla sopravvivenza. È il tentativo di sradicare da sé un ricordo che non si lascia estirpare.

In scena, un corpo scavato, che sceglie l’attrito anziché la grazia. La tecnica rivela una chiara consapevolezza: uso del peso, del respiro, del silenzio. Le braccia fendono lo spazio, le gambe si flettono e si ritraggono, in un percorso più interiore che spettacolare.

Il disegno luci di Gaetano Corriere asseconda le variazioni emotive del movimento senza sovraccaricarlo. Le luci minimali e i suoni disturbati accompagnano il viaggio di un uomo tranquillo che porta dentro di sé il fragore di un intero conflitto; l’eco di una guerra interiore ed esteriore.

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Non tutto convince. Alcuni passaggi si allungano troppo, mettendo a rischio la tensione. Il tono a tratti resta monocorde e chi guarda può non sentirsi toccato immediatamente. Ma quello di Lauro non è uno spettacolo che cerca di stupire a tutti i costi.

Lauro, formatosi in filosofia e lingue orientali, ha lavorato con Giorgio Rossi, Cindy Van Acker e Romeo Castellucci, nelle creazioni Moses und Aaron per l’Opéra de Paris e il Teatro Real de Madrid e Tannhäuser per il Bayerische Staatsoper e l’NHK di Tokyo. E questa genealogia si sente: nella densità concettuale del lavoro, nel rifiuto della retorica, nella volontà di non raccontare la guerra, ma di abitarne la scia.

“La paura ha bisogno di un mondo. Non esiste uno spazio né un tempo ulteriore per essere umani. Il paradiso è una forma di momento presente”, si legge nel programma di sala.
Sarajevo diventa così un luogo interiore, una danza dell’uomo qualunque che cerca un modo per non soccombere. Un solo, per non essere solo.

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