Pigiama Party a Terreni Creativi: quando il talk è lo spettacolo

Il Collettivo Baladam B-side trasforma l'assenza in presenza con un'operazione di grande intelligenza formale ma dalla presa emotiva incerta

Alessia Sala, Giacomo Tamburini e Tony Baladam - Pigiama Party - Festival Terreni Creativi - recensione di Alessia de Antoniis
Alessia Sala, Giacomo Tamburini e Tony Baladam - Pigiama Party - Festival Terreni Creativi - Ph Luca Del Pia
Preroll AMP

Alessia de Antoniis Modifica articolo

3 Agosto 2025 - 21.39


ATF AMP

di Alessia de Antoniis

Top Right AMP

“Non interrompere la scena!” Ma quale scena? Pigiama Party, opera del Collettivo Baladam B-side, non è uno spettacolo nel senso tradizionale del termine. È un’illusione condivisa, una mise en abyme in cui il teatro parla di sé stesso, ma solo per meglio dissolversi. Non si recita Pigiama Party: si dichiara di averlo visto. E poi lo si smonta, lo si evoca, lo si reinventa. Tutto accade, ma fuori scena.

Nato da un’idea di Antonio “Tony” Baladam e Rebecca Buiaforte, con drammaturgia e regia dello stesso Baladam, Pigiama Party è in scena con Alessia Sala, Giacomo Tamburini e Baladam stesso. La produzione è condivisa tra due centri teatrali attenti alla nuova scena – Teatro Gioco Vita e La Piccionaia – e la performance è andata in scena in forma di talk-spettacolo al Festival Terreni Creativi di Albenga.

Dynamic 1 AMP

Il dispositivo è chiaro: siamo nel pieno di un incontro post-spettacolo, ma lo spettacolo a cui si fa riferimento non c’è. O meglio: c’è solo nel ricordo, nel racconto, nei dettagli che gli attori disseminano con convinzione: il monologo con Elio Germano (che però in scena non c’è), il tirso gigante da 22 metri, il pigiama party, la stanza del padre con arredi anni Cinquanta, i peluche allattati, le Baccanti che diventano Vacanti, i personaggi eliminati per non superare le tre ore. Il pubblico ascolta, ride, cerca di ricostruire. Ma tutto resta nel limbo tra ciò che forse è accaduto e ciò che ora si finge di rievocare.

“Pigiama Party è uno spettacolo in cui si parla di uno spettacolo che non esiste, dando per scontato che tutte le persone in sala l’abbiano visto”, si legge nel programma.

E in effetti il talk non è un’aggiunta, ma la forma stessa dell’opera. Una forma dichiaratamente comica, paradossale, che si muove tra autoironia, straniamento e meta-riflessione. Ma che rischia, a tratti, di risolversi tutta nella sua premessa: l’assenza come contenuto, la teoria come drammaturgia. La sensazione è che l’operazione esprima un’intelligenza laterale, ma poco agita sul piano emotivo o drammatico. Non aiuta il fatto che non tutti gli interpreti reggano con la stessa convinzione il peso della finzione: se Baladam e Tamburini padroneggiano il registro, Alessia Sala fatica a trovare la giusta misura tra complicità e credibilità.

Dynamic 1 AMP

Il collettivo afferma di lavorare sullo scarto tra rappresentazione e presenza, sul cortocircuito tra realtà e finzione nel nostro mondo iperconnesso, iper informato e infodemico. Il risultato è una drammaturgia dell’ambiguità, che si regge sull’implicito, sull’evocazione, sull’auto-messa in discussione.

Ma allora… che tipo di spettacolo è? Una forma di rappresentazione che gioca a smontarsi mentre accade? Un’operazione metateatrale che prende in giro la convenzione post-spettacolare ma la ripete tale e quale? Una conferenza Valtur dove tutti fingono di sapere cos’è accaduto prima, ma nessuno ha visto niente?

Lo spettacolo funziona se lo si accetta come una partitura ironica sull’incertezza. Ma lascia scoperto un punto: quello della presa sul presente. I riferimenti all’autorità, alla manipolazione mediatica, alla memoria, al racconto, pur evocati, restano appesi, come concetti lanciati ma non approfonditi. La sensazione è che l’operazione esprima un’intelligenza laterale, ma poco agita sul piano emotivo o drammatico.

Dynamic 1 AMP

In compenso, il pubblico ride, segue, si diverte. E forse è questo ciò che conta. Pigiama Party è un oggetto fluido, pensato per una fruizione condivisa e intelligente, più che per una lettura stratificata del reale. Si può leggere come un happening giocoso, un esperimento, un esercizio di stile che usa la teatralità per evocare la crisi della teatralità stessa.

Il rischio? Che a forza di raccontare uno spettacolo che non c’è, si finisca per non fare più teatro. O per fare Valtur… in versione colta.

FloorAD AMP
Exit mobile version