“Quattro fiction e due galline” – Un ricordo di Adriana Asti

Placato il cordiglio per la scomparsa di Adriana Asti, tra gli ultimi artisti di una stagione straordinaria delle nostre arti, tornano in mente alcune sue considerazioni sui nostri tempi

“Quattro fiction e due galline” – Un ricordo di Adriana Asti
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

3 Agosto 2025 - 23.08


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“La mia università? E’ andare a cena con Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci. Dopo Strehler il nulla. Nelle mie memorie il teatro che non c’è più. Visconti sublime. Strehler geniale. De Sica il sentimento. Ronconi la fantasia. Bertolucci e Pasolini la poesia. Ma poi ci sarebbero Susan Sontag, Alfredo Arias, la Ginzburg, Siciliano, Moravia, Patroni Griffi, Musatti… Una volta c’erano registi, c’erano capolavori. Oggi quattro fiction e due galline. Fiction: questa parola mi dà i brividi! In Francia rispettano la cultura, pure troppo, ma da noi… Provi a fare il nome di Visconti: lo scambiano per quello di una boutique. E De Sica? Pensano sia la marca di un ragù”.

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Ora che si è placato il cordoglio per la scomparsa di Adriana Asti, tra gli ultimi artisti di una stagione straordinaria delle nostre arti dello spettacolo, tornano in mente queste sue considerazioni. Racchiudono quel che è stata: un’attrice intelligente, capace di attraversare con consapevolezza il suo tempo, nutrendosi d’arte e di cultura; una donna libera e disinibita, non allineata, non intruppata nella melma del conformismo che, velenosa melassa, invischia i nostri cervelli. Un individuo dolorosamente conscio del baratro d’ignoranza che ci ha inghiottito, lei che per il talento cristallino ha avuto il merito e la ventura di lavorare con la crema degli artisti che in anni felici hanno illeggiadrito questo Paese, di lasciare ai posteri performance attoriali di grande livello, il ricordo di una persona umile e gentile. Un’ignoranza che la indignava, che pare perseguitarla anche da morta, come quando, per omaggiarla, il giorno della sua scomparsa, il Tg2 ha trasmesso tra le altre delle immagini di un film di Pasolini, di cui ella fu amica e musa (come lo fu di Visconti, di Strehler, di Bertolucci), e invece di mostrare una sequenza da Accattone, ove ella recita nei panni di Amore, ne ha mandato in onda una di Mamma Roma, confondendola con Silvana Corsini.

Lei, che, come si dice in consimili occasioni, ha segnato un pezzo della cultura e dell’arte italiana, se la starà ridendo, ma questo è davvero il segno di questi tempi grami di cui aveva acuta percezione. Viviamo davvero in un’epoca di “quattro fiction, due galline” e un numero esorbitante di gallinacci – con il dovuto rispetto per gli animali, ovviamente, che da questi paragoni ne escono dignitosamente vittoriosi.

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Ognuno la ricorderà a modo suo, nei ruoli di personaggi a cui ha conferito arte e umanità: l’insegnante Adriana Carati nel film La meglio gioventù, che uscendo dalla casa del figlio morto con buste pieni di libri, alla vista del sangue, distrutta dal dolore, li scaraventa via; l’astuta e maliziosa Becky Sharp nello sceneggiato Rai La fiera della vanità, accanto a Ilaria Occhini; l’illanguidita e trasognata Gina che, ripresa in primissimi piani da Bertolucci, balla soave alla musica di “Vivere ancora” di Gino Paoli (scritta con Morricone), in Prima della rivoluzione; la Lila von Buliowski in Ludwig; la Teta Ferramonti Furlin ne L’eredità Ferramonti; la “figliastra” in Metti una sera a cena; l’insegnante che legge dalla cattedra la poesia di Pasolini “Il pianto della scavatrice”, concludendo con queste parole rivolte ai ragazzi: “Ecco, questo era Pasolini, e questo è quello che pensava di voi”; la Marguerite/Estelle del capolavoro di Buňuel Il fantasma della libertà, nella scena che la vede seduta al pianoforte vestita solo di un paio di calze autoreggenti e scarpe di vernice, da lei stessa rievocata con delicata ironia nella sua autobiografia, Un futuro infinito: “Per essere sicura di piacere a Luis Buňuel prima di iniziare le riprese, mi presentai da lui in camerino con un impermeabile di Valentino foderato di pelliccia. Me lo sfilai, sotto non avevo niente. “Voilà, je suis comme ça”, gli dissi. E lui, imbarazzato, mi rispose: “Madame, s’il vous plait, je suis pas un pornographe”.

O ancora, l’avremo davanti nell’intervista che fece a Wanda Osiris nel 1979, e nei ruoli in film di genere, talvolta anche scollacciati, poiché le morali beghine non le appartenevano, in cui mostrava le sue grazie con inconfondibile garbo; e quanti la ricorderanno, “Signora del palcoscenico”, nei tanti, importanti ruoli affrontati con i giganti della regia italiana?

Il regista Romolo Guerrieri, suo coetaneo, nel 1962 ne condivise il set del film Il disordine, in qualità di aiuto di Franco Brusati, nel piangerla oggi la rimembra così: “Era una donna molto fine. La ricordo ragazza, timida e riservata, ma quando entrava nel personaggio – in quel film interpretava una giovane di nome Lina – si trasformava. Nell’uno e nell’altro caso, comunque, nella vita come sulla scena, aveva una grazia e una femminilità che ti conquistavano. Ed era una grande attrice”.

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