“Un genocidio annunciato”: Hedges denuncia l’orrore a Gaza e l’ipocrisia dell’Occidente che lo legittima
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“Un genocidio annunciato”: Hedges denuncia l’orrore a Gaza e l’ipocrisia dell’Occidente che lo legittima

Nel libro Un genocidio annunciato, Chris Hedges denuncia la distruzione sistematica di Gaza da parte di Israele, evidenziando complicità occidentale e propaganda sionista.

“Un genocidio annunciato”: Hedges denuncia l’orrore a Gaza e l’ipocrisia dell’Occidente che lo legittima
Chris Hedges
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3 Agosto 2025 - 12.11


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di Rock Reynolds

Le discussioni sulla liceità o meno del termine “genocidio” in relazione alla situazione a Gaza non entusiasmano. Però, dietro la contrapposizione tra genocidio-sì e genocidio-no si cela una diatriba di sostanza: per Israele fa tutta la differenza del mondo. Eppure, nessuno ha mai usato le parole Olocausto e Shoah. E dire che Israele si stizzisce ogni qual volta la titolarità dello scempio genocida di cui gli ebrei sono stati oggetto si estende ad altri popoli, a loro volta vittime di persecuzioni nefaste. Il caso più tipico è quello del genocidio armeno: anche in questo caso, strappare tale parola a un israeliano è impresa durissima. Ed è proprio in questo contesto che si colloca l’incapacità della senatrice Liliana Segre di ammettere l’adeguatezza di tale termine.

Di fronte alla indiscutibilità del fatto che Gaza sia un campo di detenzione a cielo aperto dal 2007, capire perché gli intenti israeliani sono meno angelici di quanto i suoi leader vogliano far credere dovrebbe essere semplice. Siccome, però, il dibattito pubblico vede ancora parecchi sostenitori dell’operazione militare israeliana a Gaza – della serie, se non ci fosse stato l’attacco brutale del 7 ottobre, non sarebbe accaduto nulla, come se le rivendicazioni palestinesi fossero cosa recente – un buon libro può essere un passaggio determinante. D’accordo, difficilmente chi continua a sostenere a spada tratta le violenze dell’IDF ne ha mai letto uno, ma si può sempre sperare in una prima volta. In una santa epifania.

Un genocidio annunciato (Fazi Editore, traduzione di Nazareno Mataldi, pagg 221, euro 18) non l’ha scritto un bieco bolscevico o un feroce integralista islamico per denunciare i comportamenti criminosi dello Stato di Israele e pure degli Stati Uniti, bensì un cittadino americano, Chris Hedges, per giunta vincitore nel 2002 nientemeno che del premio Pulitzer insieme all’equipe investigativa del New York Times di cui al tempo faceva parte. 

È un libro “di parte”, sono certo che possa dire qualcuno. Confermo: non si può in questa come in molte altre questioni restare neutrali. Esserlo di fronte alle indicibili sofferenze imposte ai palestinesi è un atteggiamento che sfocia nella complicità, dato che – come spiega mirabilmente Hedges – tale equidistanza consente a Israele e agli Stati Uniti la prosecuzione nel massacro e la relativa impunità. E, comunque, stare dalla parte dei deboli non è mai uno sbaglio.

Chris Hedges fa sua una teoria alquanto interessante espressa in passato da svariati pensatori: in un popolo che subisca violenze reiterate e deliberate crescerà inevitabilmente il seme di un odio che, prima o poi, si manifesterà in forme simili a quelle patite. E quale popolo più di quello ebreo è passato attraverso quel calvario? Hedges sottolinea la necessità di comprendere, che «non vuol dire giustificare… condonare». Bisogna capire se si vuole «che questo ciclo di violenza abbia fine. Nessuno è immune alla sete di vendetta».

La legge internazionale assicura in linea di principio al popolo palestinese sotto occupazione il diritto alla resistenza armata. È tipico del lessico colonialista occidentale fare distinzioni morali tra i militari di un esercito regolare, autorizzati a qualsiasi violenza nel solco della lotta a un nemico folle e sanguinario, e i biechi terroristi. Provate a domandare a un ex-combattente dell’IRA se si considera un terrorista. Nel migliore dei casi, reagirà con un sorriso di compatimento. Se lo trovate in una giornata buona, vi spiegherà che contro il potentissimo esercito britannico di occupazione e contro l’intransigenza del Regno Unito l’unico sistema era la lotta armata, con qualsiasi mezzo. Ci sono molte analogie tra la questione irlandese e quella palestinese. E il «sionismo è il motore dietro un secolo di rabbia palestinese».

Una delle critiche più feroci agli USA è aver accettato i diktat dei gruppi di pressione israeliani che, grazie a enormi somme versate a vantaggio di questo o quel politico e di questa o quella istituzione, hanno assicurato un appoggio incondizionato alle ripetute atrocità commesse dallo Stato di Israele. Dopo i fatti del 7 ottobre 2023, in particolare, qualsiasi manifestazione di dissenso o protesta – per lo più civile – sul suolo statunitense (e non solo) ha perso il minimo diritto di cittadinanza. Il pugno di ferro imposto al mondo accademico americano è la punta dell’iceberg, ma rappresenta un precedente pericolosissimo, annientando qualsiasi interlocuzione costruttiva e ribaltando una dialettica che si fondi sulla realtà dei fatti: gli investimenti israeliani in materia di antiterrorismo e, soprattutto, nel campo della propaganda mirano a spegnere qualsiasi narrazione anche solo vagamente solidale nei confronti dei palestinesi e delle loro rivendicazioni.

Ma annientare tale dissenso e zittire le coscienze del mondo è impossibile persino per lo Stato di Israele, uno dei più ricchi e militarmente strutturati del mondo. Come sottolinea Hedges, Israele sta allevando «una generazione dopo l’altra di palestinesi arrabbiati, traumatizzati e impoveriti che hanno perso familiari, amici, case, comunità e ogni speranza di vivere un’esistenza normale» e le pressioni esercitate sulla comunità internazionale e, in particolare, sugli Stati Uniti e sul Regno Unito non produrranno gli esiti sperati in eterno: presto, verrà il tempo di una nuova generazione di occidentali in grado di ragionare con la propria testa e di scegliere da che parte stare, senza farsi imbeccare. Il processo è inarrestabile e, in parte, già se ne scorgono i germogli: le proteste pacifiche negli atenei americani, represse con una brutalità assurda e ridicolizzate dalla macchina propagandistica sionista – che ribalta il senso stesso della realtà, accusando gli studenti pro-Palestina di violenze ai danni di quelli ebrei quando a subire intimidazioni da questi ultimi sono per lo più i manifestanti – segnano un cambio di passo. Hedges non usa mezzi termini: «La storia non sarà tenera con la maggior parte di noi. Ma benedirà e renderà onore a questi studenti», tra i pochissimi ad aver rischiato qualcosa – l’espulsione dal proprio ateneo e, in parecchi casi, addirittura l’arresto e la deportazione dagli USA – e a non aver chinato il capo.

La strategia israeliana è quella che in gergo si definisce “abuso reattivo”, un escamotage per «nascondere le vere questioni: la sottrazione di territorio e il genocidio» per contaminare il dibattito. Killeraggio politico e diffamazione sono la tattica più sfruttata dalla lobby israeliana contro chi osi criticarla.

Continuare a sostenere la legittimità della reazione israeliana ai fatti del 7 ottobre oltre che complice è pure ridicolo, smentita nei fatti e sempre più di fronte all’occhio assopito dell’opinione internazionale. Se durante gli anni bui della Shoah una fetta sostanziale della popolazione tedesca era all’oscuro dei crimini peggiori ai danni degli ebrei, pur condividendo la folle ossessione antisemita di Hitler, oggi nessuno può dire di non sapere. Uccisioni, espropri, torture, detenzioni arbitrarie, demolizioni, limitazione negli spostamenti, umiliazioni e deportazioni sono all’ordine del giorno e finiscono su TikTok.

«Il genocidio di Gaza è il culmine di un processo… l’epilogo prevedibile del progetto coloniale di Israele.» Tutto questo la dice lunga su chi siamo noi occidentali, che continuiamo a piccarci della nostra superiorità culturale e sociale. Una menzogna sfacciata, di fronte all’orrore di cui l’Occidente, creatore del moderno sistema coloniale, è stato capace. Secondo Hedges, finché non ci liberiamo di questa ridicola e perniciosa presunzione, la violenza sui deboli continuerà a regnare incontrastata e la prevaricazione più o meno sottile regnerà. Conoscere la storia e non lasciarsi fuorviare dalla propaganda è l’unico modo. La sorte di Gaza non è una conseguenza dell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Semmai, è quell’attacco, per quanto brutale, a discendere da almeno 80 anni di umiliazioni e atti disumanizzanti ai danni del popolo palestinese. La pulizia etnica ne è un esempio vistoso. Basterebbe aprire le orecchie di fronte a qualche intemerata di ministri come Ben-Gvir o Smotrich oppure dare un’occhiata a qualche filmato online in cui il colono di turno si fa beffe del vicino di casa palestinese che ha appena cacciato dalla sua terra. Sarebbe questo un esempio fulgido di nobile democrazia di stampo occidentale?

Forse, un lumicino di speranza nelle parole di Hedges lo si intravede. Il completamento del progetto di pulizia etnica in atto a Gaza potrebbe essere la fine stessa dello Stato di Israele, le cui radici malsane non troveranno più alcun nutrimento: il vero volto brutale dello Stato apartheid avrà gettato la maschera e il razzismo profondo che celebra la superiorità della razza bianca e, prima ancora, del “popolo di Dio” sarà davanti agli occhi di tutti. La capacità di autocritica è un tratto essenziale di ogni sistema democratico. Dopo oltre 80 anni di disastri, non sembra che Israele sia particolarmente incline a ripensare al proprio atteggiamento nei confronti degli scomodi vicini di casa e pure del resto del mondo.

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