Il 14 agosto 1975, The Rocky Horror Picture Show faceva il suo debutto sugli schermi, destinato a scivolare quasi inosservato. Nessuno poteva immaginare che quel musical bizzarro e anarchico, firmato da Richard O’Brien e diretto da Jim Sharman, sarebbe diventato un pilastro della cultura pop, un inno alla liberazione sessuale e un punto di riferimento imprescindibile per il movimento queer.
Richard O’Brien, ideatore e co-interprete, catturò lo spirito di un’epoca segnata dalle battaglie che animavano piazze e strade: i diritti delle donne, le lotte per i diritti LGBTQ+, il rifiuto delle convenzioni borghesi. Era, e resta, un’opera che supera i confini fra individuo e comunità, che trasforma il corpo in manifesto politico e la trasgressione in festa collettiva. Un rito pagano, gioioso e liberatorio, in cui il messaggio è chiaro: “Don’t dream it, be it”, e con questa frase, pronunciata da Frank-N-Furter, diventa un’esortazione a liberarsi dalle rigide convenzioni moralistiche del tempo.
La trama, in apparenza surreale, è un viaggio iniziatico: Brad e Janet, coppia ingenua e perbenista, restano bloccati in una notte di pioggia e trovano rifugio nella dimora del magnetico Dr. Frank-N-Furter (un Tim Curry indimenticabile), scienziato e seduttore che li conduce – letteralmente e simbolicamente – fuori dalle strette pareti della loro morale. È un’orgia visiva e sonora di corsetti, piume, trucco pesante, canzoni orecchiabili e citazioni da B-movie, tra Frankenstein e fantascienza anni ’50.
Se al debutto il film rischiava l’oblio, fu il circuito delle proiezioni di mezzanotte a salvarlo, trasformandolo in un fenomeno globale. Da allora, Rocky Horror è un’esperienza partecipata: il pubblico non guarda soltanto, ma recita, canta, balla, indossa costumi, risponde alle battute. È una performance collettiva, un atto d’amore verso un’opera che ha sempre rifiutato di chiedere permesso.
Cinquant’anni dopo, The Rocky Horror Picture Show non ha perso smalto: continua a incarnare la sfida alle norme, l’elogio dell’eccesso e la celebrazione del desiderio in tutte le sue forme. Un musical che è anche manifesto, invito, rivoluzione ininterrotta. O, come direbbe Frank-N-Furter, un irresistibile invito a “consegnarsi al piacere assoluto”.