L’albero della libertà: il romanzo che intreccia avventure infantili e la questione irlandese

Due fratellini crescono liberi sulle coste atlantiche irlandesi, ignari delle violenze del Nord, scoprendo attraverso amicizie, natura e canzoni la complessità di identità e appartenenze.

L’albero della libertà: il romanzo che intreccia avventure infantili e la questione irlandese
William Wall
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28 Agosto 2025 - 00.27


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di Rock Reynolds

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Due fratellini che giocano a rincorrersi su una spiaggia isolata, con il fondale naturale dell’Oceano Atlantico a fare costantemente le bizze. Un vento velenoso, talmente forte da disincentivare la crescita di qualsiasi vegetazione all’infuori di muschi e licheni. È uno dei motivi per cui l’Irlanda affascina tanto. Non l’unico, certo. Ma chissà quante persone hanno deciso di intraprendere un viaggio da quelle parti dopo aver letto un bel romanzo o aver ascoltato un bel disco irlandesi, insomma dopo una bella dose di cultura locale spesso ispirata alla sua natura selvaggia.

L’albero della libertà (Aboca, traduzione di Stefano Tettamanti, pagg 205, euro 17) di William Wall rischia di proiettarvi direttamente in una dimensione vacanziera, nonostante la quiete ferragostana sia abbondantemente alle spalle. Autore di romanzi, racconti e poesie, Wall è nativo di Cork e divide il suo tempo tra la terra natale e Camogli, in Liguria.

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La brughiera, quell’ecosistema brullo che dà il benvenuto ai marinai pronti a sbarcare sulle coste irlandesi, è una costante dell’isola, che la si avvicini da nord o da sud, da est o da ovest. È un po’ come una buona pinta di birra nera: non manca mai.

Un tempo, l’Irlanda era in larga parte coperta di foreste lussureggianti, ora confinate a rare zone del paese. Quando i due fratellini Liam e Seán scoprono, nel 1969, un intero albero spiaggiato a pochi metri dalla loro abitazione, un mondo nuovo si apre davanti a loro. Su quell’albero costruiranno storie, giochi, universi paralleli, invogliati dalla mamma a prendere conoscenza della classificazione della pianta e del suo ruolo nell’ambiente.

Figli di una maestra di scuola e di un giornalista che hanno scelto di non suggellare il loro amore con il sacro vincolo del matrimonio nemmeno dopo l’allargamento a quattro della famiglia, Liam e Seán vivono la loro infanzia con spensieratezza, tutto sommato ignari delle violenze che iniziano a moltiplicarsi all’estremità opposta del paese. La famiglia abita al sud, sulla costa atlantica, non lontano da Cork, una zona selvaggia, un paradiso per due ragazzini in cerca di avventura. E di avventure ne troveranno parecchie, condividendole con Monica, una coetanea fuggita al sud insieme alla famiglia cattolica dopo lo scoppio delle violenze settarie nell’Ulster, un nord che ai due fratelli sembra lontanissimo. E remote sono pure le preoccupazioni che iniziano ad agitare le coscienze di qualche cittadino della Repubblica d’Irlanda. Dal 1922, anno della fondazione ufficiale della Repubblica in seguito alla Guerra d’indipendenza (1919-1921), e dalla “partizione”, ovvero dalla creazione di uno stato confessionale protestante sotto la giurisdizione britannica, l’Irlanda del Nord, in 6 delle 9 contee della regione tradizionale dell’Ulster, il senso di rivalsa nei confronti degli inglesi e ancor più dei cittadini protestanti che godono di privilegi non sanciti dalla legge ma comunque garantiti de facto, cova sotto la cenere. Ci vorranno i movimenti per i diritti civili che sconvolgono gli Stati Uniti sul finire degli anni Sessanta e le contemporanee rivendicazioni, talvolta violente, del movimento studentesco in Europa per scuotere la comunità cattolica nordirlandese, assopitasi su uno status quo ritenuto fino a quel momento immutabile. E il fulcro delle proteste e, subito dopo, di disordini sempre più violenti è la città di confine di Derry, orgogliosamente ribattezzata Londonderry dalla comunità protestante.

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Il padre dei due ragazzini è una figura evanescente nel romanzo: se ne parla costantemente, ma altrettanto costantemente è assente, impegnato com’è a raccontare ciò che sta avvenendo a Derry. Non a caso, l’autore inframmezza ai capitoli della sua storia ritagli autentici di giornale. Lo scettro del potere in casa lo detiene la madre, donna forte, di forti valori e forti convinzioni. Nella spensieratezza della giovinezza trapelano le prime crepe, preoccupazioni ritenute appannaggio esclusivo degli adulti. E, con esse, affiora la curiosità e fioccano le domande. Un eccentrico vicino «dice che non sa esattamente cos’abbiano da picchiarsi così tanto» lassù al Nord «quando non c’è poi molto da dividersi e la gente fatica ad andare avanti». Ed è così che, confrontandosi con la maturità degli anziani ma pure con le diverse esperienze della nuova amica Monica, Liam e Seán scoprono che basta cantare una canzone popolare invece di un’altra o indossare una sciarpa arancione, per esempio, per collocarsi politicamente da una parte o dall’altra della barricata politica. Fino a quel momento, non si erano resi conto «che una canzone può essere un’offesa».

L’albero della libertà può essere visto come un romanzo per ragazzi o, comunque, un romanzo di formazione. Nessuna delle due etichette sarebbe squalificante, ma questo libro è certamente qualcosa di più, adattissimo a un pubblico giovane ma altrettanto valido per qualsiasi lettore adulto. Le note finali dell’autore, peraltro, sono tra le pagine migliori che io abbia letto per capire in modo spiccio la questione irlandese. Con i tempi che corrono e, purtroppo, con le guerre che infuriano non tanto lontano dai nostri lidi, un’infarinatura sulla lotta irlandese per la libertà – lotta non ancora giunta del tutto a compimento – è quanto mai utile. L’Irlanda, come ahinoi la Palestina, è stata oggetto di conquista da parte di uno spietato colonizzatore, uso a razziare le risorse dei paesi conquistati e a imporvi la propria regola attraverso l’insediamento di coloni a esso fedeli e l’assegnazione agli stessi delle terre migliori e/o attraverso lo sfruttamento di elite locali privilegiate da trasformare nell’asse portante del proprio dominio. Sembrerebbe una fotografia della Palestina prima dei recenti, tristissimi eventi. Non a caso, quello irlandese è il popolo più solidale al mondo con quello palestinese.

L’ho già scritto in passato: tendo a non leggere le prefazioni che, spesso, finiscono per togliermi la voglia di procedere nella lettura del libro. Analogamente, è raro che io legga la postfazione: in troppe occasioni le ho trovate un’aggiunta evitabile, se non una vera e propria perdita di tempo. Le lunghe Note dell’Autore in calce alla storia da lui appena raccontata nel caso de L’albero della libertà sono invece preziose. William Wall spiega con passione e lucidità qual è il contesto storico su cui si incastona la vicenda di Liam e Seán. Per esempio, interessantissima è l’analisi del ruolo della Chiesa cattolica nelle scelte politiche della Repubblica e dell’ingerenza della stessa in molte faccende che non avrebbero dovuto essere di sua pertinenza. La scelta dei genitori di Liam e Seán di non sposarsi è l’assist perfetto per riflessioni inevitabili. Il parroco nonché direttore della scuola in cui la loro mamma insegna dice, sdegnato: «non voglio… un’insegnante che vive nel peccato con un comunista». Perché, è risaputo, la Chiesa in Irlanda è stata una strenua, pervicace oppositrice di qualsiasi coppia di fatto, di aborto, divorzio, contraccezione e, in sostanza, di «qualsiasi forma di ribellione che mettesse in discussione lo status quo».

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