di Alessia de Antoniis
Presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia come evento collaterale, Animalia, il nuovo cortometraggio scritto e diretto da Rocco Anelli, prodotto da Intermezzo Srl e distribuito da Pathos Distribution. Rocco Anelli firma un’opera ecologista e visionaria che unisce allegoria, eros e mito, affidandosi alle magistrali interpretazioni di Luca Siragusa e Giacomo Pressi.
È sempre un’emozione unica varcare la soglia di un “tempio del Cinema” come la Mostra di Venezia – racconta Rocco Anelli – Avere la possibilità di presentare Animalia in uno spazio così prestigioso e ricco di storia, colmo di idee e artisti internazionali, è un onore ed un privilegio. In un luogo come questo non ci si può permettere di presentare un film vacuo, bisogna avere qualcosa da dire. Con sfumature queer ed erotiche, Animalia vuole raccontare la crisi della società moderna ed il collasso ambientale offrendo una riflessione verso un’umanità più incline alla comunione con la natura. Grandi idee, è vero, ma si tratta di grandi idee per grandi spazi pronti ad accoglierle, come la Mostra del Cinema di Venezia.
Il film è ambientato in un mondo post-apocalittico. Cosa l’ha spinta a immaginare questo scenario distopico?
Le campagne pugliesi sono il mio luogo d’infanzia. Dalle rocce arse delle gravine e oltre i colli della Murgia, luccicanti sotto il sole come torri di latta, ricordo le ciminiere e le sagome delle fabbriche e delle raffinerie. Le fabbriche, con le loro radici nella natura, sono un ricordo antico per me. Le ho immaginate, quindi, ingigantite e solitarie, in un mondo completamente inquinato, al tramonto della sua vita. A popolarlo solo un uomo e delle misteriose presenze animali. Lo scenario allegorico per analizzare i miei ricordi di natura e fabbriche non poteva, quindi, che essere un mondo post-apocalittico.
C’è un legame con le nostre attuali preoccupazioni ambientali?
Certo! Siamo una terra che resiste molto alla conquista dell’industria. Penso al mare, ai boschi, alle ville in campagna e alle baite in montagna. Siamo legati da appena nati alla nostra natura, al buon cibo, alle materie prime, ai nostri luoghi naturali. Vedere i paesaggi che ci hanno cresciuto deturpati dall’inquinamento è una sorte contro la quale dobbiamo lottare. Non è un destino certo, non si tratta di una profezia da adempiere. L’umano ha la possibilità di reinventarsi, di ritrovare una nuova via nella stagionalità dell’agricoltura, in un approccio più etico all’allevamento e in un modo di vivere meno legato al consumismo. Non voglio sembrare un predicatore di massimi sistemi, ma una rivoluzione è ormai necessaria. E come tutto, deve partire dalle piccole cose.
Il film viene descritto come “ecologista e visionario”. Come concilia la critica ambientale con gli elementi erotici e mitologici?
Mi interessava molto la figura della fabbrica, come detto prima, ingigantita visivamente fino a diventare una sorta di castello nella nebbia, oltre le nuvole: una cittadella fantasma che domina la valle. La valle, però, andava popolata con dei personaggi. E da qui nasce l’idea di inserire l’ultimo uomo sulla terra, Federico – nome di origine germanica dal significato incerto, ma probabilmente “potente in pace”, “governatore pacifico” o “protettore potente” – e il suo rapporto con una terra morta e deserta che si popola di animali, giunti con l’arrivo di un misterioso ospite, Buer – nome di un demone insegnante della filosofia morale e naturale, capace di guarire con erbe e assegnatore degli animali famigli. Il mondo che si andava costruendo stava assumendo sfumature mitologiche e fantastiche. Buer, come il centauro Chirone della Medea di Pasolini, avrebbe istruito Federico. Lo avrebbe, per usare un termine torbido, demoniaco, sedotto con le sue conoscenze. Ecco l’idea di inserire l’erotismo nel film. L’ultimo tassello mancante, l’anello che univa gli animali all’uomo, l’ho trovato in una leggenda pugliese sulle streghe. Nelle notti di tempesta, si dice, le streghe si cospargevano di un olio magico e si lanciavano dalle finestre e dai tetti, recitando una formula magica, trasformandosi in animali e lasciandosi portare via dal vento verso il loro Sabbat. Ecco allora l’idea formata: gli animali erano il coro, come nei drammi satireschi, l’olio delle streghe diventava l’olio delle fabbriche e la nudità diventava il simbolo del ricongiungimento umano alla natura.
Quali sono state le sfide principali nella realizzazione di un cortometraggio così visivamente ambizioso?
È vero, Animalia non è stato un film facile. Trovare le giuste location è stata la prima sfida: trovare luoghi parzialmente incontaminati e toccati dall’uomo, ma in maniera non invasiva. In secondo luogo, lavorare con animali veri sul set è stato più complesso del previsto. L’intera squadra ha saputo gestire la situazione con il massimo rispetto e cura. E la sfida più ardua è stata la gestione degli effetti speciali pratici in fase di ripresa e quelli visivi apposti in post-produzione. I primi hanno visto campi arati appositamente per il film prendere fuoco, grazie ad ingegnosi sistemi pianificati dalla nostra scenografa. La casa, una masseria del 1600, è stata arredata interamente dalla nostra squadra, per creare la giusta atmosfera post-apocalittica. Gli effetti in post-produzione hanno richiesto numerosi sopralluoghi, giornate di pre visualizzazione ed una pianificazione delle inquadrature meticolosa. Per non parlare dell’incredibile cura e precisione che gli artisti digitali hanno regalato alle inquadrature!
Conta di sfidarsi con un lungometraggio o continuerà con i cortometraggi?
Sarebbe meraviglioso potermi cimentare in un lungometraggio. Al momento ho appena terminato le riprese di un nuovo cortometraggio in pellicola, ma sarebbe meraviglioso poter raccontare storie più lunghe. Una parte di me vuole credere che una volta fatto il primo lungometraggio ci si possa finalmente chiamare “registi” … e mi piacerebbe un giorno potermi chiamare regista.
Come docente all’American University of Rome, cosa insegna ai suoi studenti sulla regia contemporanea?
Provo ad insegnare che ogni voce ha il diritto di essere sentita. Il cinema deve riflettere i pensieri, le idee e le persone che lo guardano. Ed è giusto che ogni voce abbia la possibilità di brillare. La multiculturalità è uno strumento potente e, secondo me, il futuro del mezzo filmico. Ogni storia è, in potenza, bella da vedere; bisogna solo trovare il coraggio di affrontarla e raccontarla con autenticità.
C’è un film o un regista che l’ha particolarmente ispirata nella realizzazione di questo lavoro?
Mentirei se non dicessi che The Lighthouse di Robert Eggers è stato il film di riferimento per eccellenza. Il clima claustrofobico, il dramma “roccioso” consumato in uno spazio limitato, i presagi di un elemento sovrannaturale mastodontico ed incombente, sono stati tutti importanti elementi di ispirazione per Animalia.
Se dovesse descrivere Animalia in tre parole, quali sceglierebbe?
Torbido, vesperale, primordiale.
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