Pasolini: il poeta giornalista

Un libro di Giovanni Giovannetti ricostruisce un aspetto poco indagato del grande artista e intellettuale: l’attività giornalistica

Pasolini: il poeta giornalista
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

11 Settembre 2025 - 11.11


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La figura di Pier Paolo Pasolini è sempre stata al centro dell’attenzione mediatica: lo fu quand’era in vita e dopo il brutale omicidio che gli chiuse la bocca, spegnendone la formidabile mente creatrice. Nel 2022, in occasione del centenario della nascita, quell’attenzione si è rinfocolata, e sta avendo ampi riflessi quest’anno, nella ricorrenza del cinquantenario dalla scomparsa: film, libri, articoli, convegni, commemorazioni ne protraggono la memoria, talvolta con stucchevoli spruzzi agiografici, talaltra con panegirici anche intessuti da personaggi che il poeta di Casarsa avrebbe sbertucciato con indignato sarcasmo.

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Non sono questi i casi dello studio Pasolini giornalista. Vita e morte di un cottimista della pagina (Effigie Edizioni,  pp. 336, € 29) di Giovanni Giovannetti, editore, fotografo, giornalista, autore di libri di denuncia che presentano scomode verità: si veda tra gli altri il suo Malastoria, che pure affronta il delitto Pasolini. Qui si sofferma su un aspetto poco indagato della variegata attività del controverso artista: il giornalismo, lavoro che lo ha impegnato per l’intera esistenza, assorbendo molte delle sue energie, anche sfamandolo nei momenti di nera miseria (in una lettera risalente a metà degli anni ’50 lo scrittore si definiva “povero come un gatto del Colosseo”).

Lo ricorda in apertura di questo volume, che sin dall’introduzione mira a sfatare luoghi comuni, a cominciare da quelli su cui hanno fondato la loro analisi due studiosi, Trevi e Belpoliti, i quali considerano Pasolini “un pigro giornalista d’inchiesta”. Al contrario, sulla base di una filologicamente approfondita ricognizione degli scritti giornalistici e delle lettere, il Pasolini qui ritratto è un individuo che ha letteralmente “gettato il suo corpo nella lotta”, dello stesso stampo di donne e uomini assassinati per aver indagato e scritto verità indicibili: De Mauro, Fava, Impastato, Rostagno, Siani, Tobagi, la Alpi e la De Palo, per rimanere solo in Italia.

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Messo subito in chiaro tale aspetto, l’autore segue in trenta densi capitoli – organizzati in nuclei tematici per lo più con approccio cronologico, impreziositi da documenti, fotografie e materiali d’archivio – l’attività pubblicistica che Pasolini ha sempre affiancato al fare artistico. Si compone così la figura di  “uno scrittore di battaglie” e “reporter di successo”, in costante dialogo con i lettori, un “disubbidiente” tra disubbidienti (viene ricostruito il suo rapporto con Ezra Pound, Marco Pannella, amici scrittori come Moravia, ma anche quello meno noto, più che altro epistolare, con Giulio Andreotti), un viaggiatore alla scoperta di mondi e civiltà sommersi (Africa, Yemen, India). E poi la passione per il calcio, il “fervore umano” con cui portò avanti pericolose indagini (a cominciare da quella su un fosco personaggio come Eugenio Cefis, chiacchierato presidente dell’Eni e della Montedison), con il tentativo di individuare i “golaprofonda” che gli passavano notizie scottanti.

L’autore non si limita alla raccolta di articoli: ne ricostruisce il contesto storico-culturale, analizzando attraverso di essi il pensiero e lo stile del loro estensore, i temi da lui affrontati (le ingiustizie sociali, la critica al neocapitalismo, la mercificazione dei corpi, il conformismo culturale, la scomparsa delle culture contadine e il degrado urbano), riuscendo così a coglierne la natura radicale e provocatoria, l’intento di usare il giornalismo quale strumento di intervento sulla realtà. E’ evidente la profonda conoscenza del corpus pasoliniano, che gli permette di tracciare un filo rosso tra la produzione giornalistica, cinematografica, narrativa e poetica:  si sottolinea, ad esempio, il piglio critico che muoveva inchieste documentarie come Comizi d’amore” e 12 dicembre, mappa della realtà socio-politica dell’Italia degli anni del boom economico e contro-indagine sulla madre di tutte le stragi della strategia delle tensione, quella di Piazza Fontana.

Giovannetti rileva dunque le strutture profonde del giornalismo di Pasolini, non confinato alla mera opinione, ma basato su competenze storiche e sociologiche che gli consentivano di portare alla luce realtà nascoste e scomode, anche attingendo a fonti orali, documenti riservati e dossier, strumenti talvolta utilizzati nei suoi romanzi, come accadde per l’incompiuto Petrolio, di cui si indaga il mistero del capitolo mancante, intitolato “Lampi sull’Eni”.

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Apprezzabile il rigore con cui l’autore ha affrontato il lavoro di ricerca e di analisi, mondandolo – come si accennava – di afflati agiografici, rilevando anzi gli elementi contraddittori e i nodi irrisolti del pensiero pasoliniano. Giovannetti conobbe Pasolini, lo ha fotografato a pochi mesi dalla morte, e questa esperienza conferisce una connotazione umana al ritratto professionale tracciato. Pregevole poi l’aver compilato, con Luisa Voltan e l’ausilio dei cataloghi redatti da Laura Betti conservati alla Cineteca di Bologna, un elenco complessivo degli articoli apparsi su quotidiani e riviste, proposto in appendice, che permette di seguire il percorso evolutivo del giornalismo di Pasolini.

Il volume si chiude con una sorta di contro-inchiesta, “Lampi su P.”, ricostruzione fattuale, suffragata da prove inoppugnabili emerse negli anni, del delitto che lo strappò all’Italia onesta, dove si dimostra l’irrealtà della tesi che a uccidere Pasolini fosse stato il solo Pelosi, e in cui si cerca anche di illuminare il buio non più tanto fitto dei responsabili. Un omicidio che in qualche modo trova origine proprio nell’attività di inchiesta giornalistica. Le puntuali e temerarie denunce di una classe di potenti che aveva distrutto un Paese lo esponevano infatti a ritorsioni: “Pasolini era ormai la scheggia impazzita e pronta all’azione di un sistema che del principio di verità si era fatta ipocritamente vanto”. Egli “era un curioso incline a fare domande che era meglio non fare, a volte intercettando pericolose verità sul potere reale”, per poi trasferire, come scrisse Franco Fortini, “ogni sua esperienza sociale e pubblica nel linguaggio della espressione letteraria”.

In definitiva queste pagine, pur di non sempre agile lettura per la ricchezza di informazioni e l’intreccio dei temi, restituiscono un ritratto opportunamente sfaccettato di Pasolini, intellettuale controcorrente la cui attività giornalistica è parte di un indefesso impegno artistico, civile e politico messo in atto con parole e immagini, volto alla denuncia delle contraddizioni, delle tare e delle malefatte dell’Italia del suo (e del nostro) tempo.

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