di Maria Antonietta Coccanari
Volfango De Biasi firma questa commedia corale con un messaggio facile anche se difficile a farsi: il valore del desiderio nella vita psichica e il potere terapeutico della sua realizzazione. E’ il remake del film francese “Il peggior lavoro della mia vita” (2022). Quello di De Biasi è ambientato in Friuli con una puntata in Puglia, masseria strepitosa.
A confronto due comicità e due età complementari per una coppia che funziona: il giovane Max Angioni è Simone, una vita difficile di orfano abbandonato in un istituto dal nonno incapace di prendersene cura, cresciuto pertanto nel dolore del tradimento, con una insofferenza verso i vecchi che gli deriva dal trauma e che lo porta a combinare tanti di quei pasticci che alla fine per un incidente quasi gli muore dopo un diverbio una vecchia signora arrogante e dispettosa e lui rischia il carcere se non sconta un lavoro di utilità sociale a Villa Meraviglia, lussuosa casa di riposo dove con gli anziani s’innesca una iniziale reciproca antipatia tra scherzi crudeli, equivoci e ingiuste ammonizioni; Diego Abatantuono ha il ruolo di Ettore, ospite scorbutico che passa tutto il tempo a guardare un albero dietro la finestra della sua stanza perso in memorie felici e colpevoli, ma che diventa la guida di Simone. S’innesca un amabile gioco di mutuo sostegno, piani e Progetto: il Vecchio Saggio e il Puer si spingono a vicenda verso nuove prospettive. Si avvicinano le generazioni, liberando gli anziani dal senso d’inutilità irrimediabile, i giovani dal non senso e dall’insoddisfazione. Nasce così un’alleanza tra il ragazzo e tutti gli ospiti della Casa, oltretutto compatti verso il direttore cattivo colpito anche lui da una sorta di legge del contrappasso in un finale che torna a un asilo per l’infanzia, tutti a esprimere e a realizzare felicemente desideri a tutte le età. Questa è stata l’intuizione vincente di Simone.
E così nel film una sfilata di tipi incarna tante storie diverse, meste o divertenti, con una crescente capacità di empatia tra ogni diversità che le attraversa, anagrafica e più ampiamente biografica.
Tutti in gamba gli attori, oltre i due protagonisti di cui si è detto. Dico tra gli altri Giorgio Colangeli il complottista pieno di paranoie, Hal Yamanouchi giapponese invaso dai diktat severi della sua cultura, Nunzia Schiano la maga dal destino toccante, Maria Grazia Cucinotta che è il passato (e il futuro?) di Ettore pentito, la sorniona Elisabetta De Vito, e Marco Messeri marito innamorato di una bella signora che appare una demente con sorpresa, interpretata deliziosamente da Elisabetta De Palo. Grande affiatamento nella troupe durante le riprese, come hanno raccontato tutti i coinvolti del cast anche per una disponibilità del regista a lasciare una certa libertà agli interpreti. Per esempio si può dire che la De Palo abbia creato lei il suo personaggio, che è una dedica alla mamma reale, a un certo punto colpita da malattia che fu, come lei nel film, intelligente e spiritosa, un ruolo affidato a poche parole e a tante immagini che parlano, un po’ come quando l’anno prima l’attrice aveva interpretato, sul tema, “Quando piove a Bade- Baden” un corto bianco/nero sull’Alzheimer di grande eleganza, delicatezza, intensità.
De Biasi conduce senza presunzione e con tanta gradevolezza che fa ridere commuovere e anche un po’ pensare, un film apparentemente semplice ma assai ben confezionato porgendo, con attenzione a tanti risvolti, il tema del desiderio che è stato sempre centrale, e oggi molto rivalutato, nei modelli psicologici specialmente di taglio psicodinamico, rimandando anche a simili esperienze nelle culture altre. Si pensi ad esempio alla “festa dei sogni” degli Irochesi. O alla festa del “bilo” del Madagascar, con le stesse funzioni.
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