di Antonio Salvati
Investire nella democrazia – nella partecipazione, nella trasparenza, nella giustizia sociale – significa investire nella pace. E raccontare i conflitti dimenticati significa anche riconoscere che la pace non è mai scontata: va costruita, difesa, rinnovata ogni giorno. Inoltre, la guerra e la democrazia non sono solo in contrapposizione: la storia insegna che la prima, nella sua brutalità, è spesso causa e conseguenza dell’erosione della seconda. Le passioni nazionaliste, che tornano a fare da protagoniste in taluni paesi, rivalutano l’uso della forza o quantomeno di una politica reattiva. Le guerre sfuggono molto spesso dalle mani di chi le ha promosse, anzi talvolta si rivolgono proprio contro chi le ha volute, generando una vera eterogenesi dei fini rispetto a quelli perseguiti.
Nonostante le forti preoccupazioni delle coscienze civili più preoccupate, la risposta dei governi occidentali è spesso semplicistica ed inefficace. Il declino delle democrazie “liberali” è ormai al centro del dibattito intellettuale delle menti più avvertite dei nostri giorni. Preoccupano – anzi spaventano – l’avvento “forzato” di un nuovo ordine mondiale, guidato da autarchie rozze e volgari nel loro modo di disprezzare i processi del confronto democratico e le ragioni dei diritti umani. Fa prepotentemente ritorno l’idea di sviluppo che privilegia il benessere economico di pochi, a discapito dei principi di solidarietà e di sostenibilità ambientale. Tutto ciò nuoce alle dinamiche di disintermediazione e allontana gran parte dei cittadini dalla possibilità di incidere effettivamente nella determinazione delle decisioni che li riguardano. Inoltre, le nuove forme della comunicazione digitale e massmediatica – spesso orientate a legittimare il relativismo delle conoscenze (persino nella forma di fake-news) – favoriscono la mediocrità informativa. La digitalizzazione del mondo della vita procede inarrestabile. Sottopone la nostra percezione, il nostro rapporto col mondo, la nostra convivenza a un cambiamento radicale.
Siamo storditi dall’ebbrezza della comunicazione e dell’informazione. Siamo, infatti, nell’epoca dell’Infocrazia, ossia – sostiene Byung-Chul Han – «quella forma di dominio nella quale l’informazione e la sua diffusione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e Intelligenza Artificiale, i processi sociali, economici e politici». Siamo – sostiene Han – «storditi dall’ebbrezza della comunicazione e dell’informazione. Lo tsunami dell’informazione scatena forze distruttive. […] La democrazia degenera in infocrazia. Il medium decisivo agli albori della democrazia è il libro. Il libro fonda il discorso razionale dell’Illuminismo. È al pubblico di lettori ragionanti che dobbiamo la sfera del discorso pubblico, essenziale per la democrazia».
Sulla crisi di rappresentanza che investe oggi le democrazie, abbiamo scelto di parlarne con Cecilia Castellani, una delle curatrici del volume da poco nelle librerie (a cura di Jacopo Bernardini, Cecilia Castellani, Tommaso Cerutti e Damiano Kerma) Orizzonti democratici. Crisi della rappresentanza e nuove forme di partecipazione (Carocci editore 2025 pp. 211, € 25,00) Una riflessione che appare quanto mai attuale e urgente, vista la sfiducia crescente che investe le forme classiche di partecipazione alla vita pubblica, provocando un preoccupante allontanamento dei cittadini dalle istituzioni. Seppur non mancano significativi segnali incoraggianti relativi a nuove forme di partecipazione.
Come nasce l’idea del volume?
Il volume nasce dall’urgenza di capire come stiano cambiando le democrazie nella contemporaneità. Abbiamo provato a tradurre le nostre domande in analisi scientificamente fondate e, dove possibile, in proposte: più scambio interdisciplinare e più spazi di cittadinanza effettiva.
Il testo è il risultato della stesura degli atti del V seminario nazionale delle dottorande e dei dottorandi tenutosi al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Pisa nell’ottobre 2024. L’iniziativa è nata qualche anno fa su proposta delle colleghe e dei colleghi di allora, con l’obiettivo di far dialogare in uno spazio autogestito giovani ricercatrici e ricercatori appartenenti a vari settori disciplinari, nell’ambito delle scienze storiche, giuridiche e sociali.
Orizzonti democratici si pone quindi in continuità con le precedenti edizioni, i cui risultati sono stati raccolti nei volumi Riflettere sull’alterità. Prospettive di ricerca tra sociologia, storia e scienze politiche; Post. Sguardi sul cambiamento; Itinerari del sapere. Teorie e pratiche della conoscenza in età contemporanea; Partecipazione, conflitti e sicurezza. Mutamento e dinamiche evolutive dagli anni Cinquanta ad oggi. Anche quest’anno l’iniziativa è stata rinnovata, il seminario Polifonie. La lettura dei conflitti si terrà il 20 e il 21 novembre 2025.
L’edizione del 2024 ha visto dottorande e dottorandi provenienti dagli atenei di tutta Italia confrontarsi sul tema della partecipazione, mettendo a confronto idee e punti di vista differenti a partire dai propri specifici campi di ricerca.
Cosa vi ha spinto a concentrarvi su questa tematica? E, soprattutto, come avete deciso di affrontarla?
Alla base del seminario pisano era la considerazione, condivisa con le colleghe e i colleghi del Dipartimento di Scienze Politiche, che, nelle democrazie attuali, alle difficoltà sperimentate da forme classiche di rappresentanza politica corrisponda l’attivazione di nuove forme di partecipazione. Una constatazione che trova conforto nella letteratura scientifica, oltre che nell’osservazione della realtà contemporanea. Piuttosto che di declino della partecipazione ci sembra, quindi, più corretto parlare di processi di processi di trasformazione, spinti da una varietà di direttrici politiche, sociali e tecnologiche e per questo indagabili da quanti più punti di vista disciplinari possibili, in modo da restituirne la complessità.
Tali valutazioni erano rispecchiate dal titolo originale del seminario: “Metamorfosi. Democrazie e scenari partecipativi”. Un’analisi attenta dei contributi pervenuti ci ha poi spinti, durante il processo di stesura del volume, a spostare l’accento dell’analisi alle prospettive future, ponendo attenzione non solo su ciò che cambia, ma anche a dove possiamo andare.
In generale, abbiamo cercato di guardare alle risposte fornite all’interno dei regimi democratici del presente e del passato davanti alle sfide poste – o riproposte – dalla nostra contemporaneità, guardando alla “crisi” in atto in termini di opportunità.
A quali sfide vi riferite?
Declino della rappresentanza, avanzata delle autocrazie, cambiamento climatico e centralità dei nuovi media, divenuti arena privilegiata del dibattito pubblico. In base a queste problematiche sono stati concepiti, in maniera complementare, i quattro nuclei tematici in cui si divide il volume. La scelta dei temi, in un certo senso, vuole riaffermare la prospettiva sul cambiamento di cui accennavamo prima. Più che solo sfide alla democrazia, i processi in corso sono infatti sfide nella democrazia, che di fronte a preoccupanti distorsioni offrono anche nuovi spazi e linguaggi per la partecipazione dei cittadini.
Partendo dal concetto di partecipazione, inteso come elemento cardine della vita democratica, abbiamo riflettuto rispettivamente su forme di partecipazione dal basso, sui processi di democratizzazione e di regime survival, sulla sostenibilità, e sul ruolo delle narrazioni, dei media e delle culture politiche. Infatti, all’interno dei capitoli, vediamo per esempio approcci storici alla partecipazione strumentalizzata in ottica illiberale affiancati ad analisi sugli strumenti di monitoraggio dal basso che bilanciano il policy-making odierno, approfondimenti sulle degenerazioni distruttive dell’informazione digitale e nuove reti grassroots per recuperare il territorio urbano. Non solo un mondo che cambia, dunque, ma anche nuovi orizzonti verso cui possiamo rivolgerci.
In questo senso, la prima sezione del libro si concentra sulle forme di cittadinanza attiva e le loro relazioni con le istituzioni rappresentative tradizionali, osservandone l’impatto sulla fiducia dei cittadini e sulla cultura democratica.
La seconda sezione, invece, indaga l’utilizzo strumentale di pratiche democratiche e partecipative per sostenere strategie di accentramento del potere nell’ambito di regimi autoritari o caratterizzati da modelli di democrazia illiberale.
La terza sezione del libro, poi, guarda agli obiettivi di sviluppo sostenibile dettati dall’Agenda 2030 e alla centralità rivestita da processi inclusivi di decisione politica al fine di integrare le necessità sociali con quelle economiche e ambientali a livello globale.
Infine, l’ultima sezione si concentra sul ruolo del linguaggio, dei media e delle subculture, evidenziando come le nuove dinamiche comunicative rivelino molto sulle pratiche democratiche odierne e come la trasformazione di queste arene impatti sul contesto politico generale.
Alla luce di quanto detto, qual è, quindi, il significato di fondo del volume?
Il messaggio che si è cercato di far passare con questo lavoro collettivo è che davanti all’attuale crisi della rappresentanza democratica non basta difendere le procedure, ma occorre progettare nuovi canali di coinvolgimento e creare nuove prassi istituzionali capaci di governare conflitti e transizioni ambientali, tecnologici e sociali.
In questo senso “Orizzonti democratici” propone un lessico comune e alcuni itinerari praticabili per uscire dalla paralisi. È un primo passo, non un punto d’arrivo: un invito a continuare con strumenti migliori e con l’impegno collettivo da parte tanto delle istituzioni quanto delle società e dei giovani.
Infatti, affinché ciò sia possibile rimane centrale il dialogo con e tra le nuove generazioni sia all’interno che all’esterno dell’accademia, salvaguardando spazi di discussione pubblica come quello che ha reso possibile la stesura di questo volume.