Testa o croce? Western italiano fuori dagli schemi tra Buffalo Bill, butteri ribelli e amori contrastati

Nel primo ‘900, giunto a Roma, Buffalo Bill (John C. Reilly) in uno spettacolo travolgente in cui ricostruisce il “sogno americano” e la sconfitta degli Indiani d‘America,

Testa o croce? Western italiano fuori dagli schemi tra Buffalo Bill, butteri ribelli e amori contrastati
Testa o croce?
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29 Settembre 2025 - 23.30


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di Maria Antonietta Coccanari

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  Western revisionista dei giovani registi e sceneggiatori Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis che si rivelarono talentuosi già nel RE GRANCHIO.

  TESTA O CROCE? è ispirato a una storia vera mista a leggenda, comunque rivisitate: nel primo ‘900, giunto a Roma, Buffalo Bill (John C. Reilly) in uno spettacolo travolgente in cui ricostruisce il “sogno americano” e la sconfitta degli Indiani d‘America, sfida i butteri per eleggere, tra i suoi cowboy e gli Italiani, il miglior domatore di cavalli. Tutti a scommettere. E la scommessa “testa o croce?” torna anche alla fine della storia. Buffalo Bill la storia la detta a uno scrivano. Non si tace che “molti banditi diventano eroi”, e che “ci sono tante verità nascoste”. E si chiede: “E’ onorevole vincere con il sangue?”. Si precisa che “un cowboy dev’essere coraggioso ma avere un animo puro”, deve capire la psicologia del cavallo, dev’essere pieno “di forza e innocenza”. 

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    Del bel buttero audace irridente fischiettante canticchiante e vincitore s’innamora la giovane moglie del maturo signorotto del posto che vede la prosperità nelle “armi e nelle ferrovie” e che viene ucciso. 

    I due ragazzi scappano, lei sogna l’America, c’è una taglia, ci sono i cartelli Wanted affissi agli alberi –con un equivoco-, una ricerca, gli inseguimenti, l’incontro con i rivoluzionari argentini, gli inganni, i battibecchi, e un finale romantico d’Amore oltre la Morte. Tutti gli ingredienti di una fuga che copre il viaggio esistenziale.

   Il film è un omaggio ai grandi film di genere e ai sottogeneri, italiani e americani, specialmente nei primi piani alla Sergio Leone in moltiplicato azzurro di occhi e cielo, nella grafia dei titoli, nelle riprese del galoppo nelle praterie caratteristiche con le montagne grandiose che partecipano all’emotività dei personaggi in un legame forte con il territorio, e il distendersi degli affetti nella notte davanti al fuoco. Ma risulta qualche cosa di nuovo sperimentandosi in un andamento che cita e insieme inverte i canoni, anche con l’uso alternato dei formati (35 mm, 16 mm, digitale). Nella consequenzialità classica narrativa si moltiplicano spesso con piani surreali un mondo intimo e inclusioni di comicità, ironia, splatter grottesco, corvi raccapriccianti, cenni al Cinema muto, una sorta di suspense, e anche di Poesia. E infine la vera protagonista è donna, una dal vissuto complicato e dalla pistola provetta (Nadia Tereszkiewicz con i capelli rossi e truccata con migliaia di lentiggini) anche se il buttero interpretato da Alessandro Borghi domina la scena. 

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    La Musica del mitico binomio Carlo/Paolo Rustichelli ora di appoggio e ora di contrasto energicamente destabilizzante sulle immagini e i sentimenti, l’alternarsi di sonorità, canzoni, ballate, cantilene e cori, potenzia il risultato di un’opera che era nata addirittura con l’intenzione di un Musical.

    Anche ritrovare dopo tanti anni il novantenne Gianni Garko (l’antico pistolero Sartana degli anni ‘60) nel ruolo del reazionario padre del morto ammazzato, è un gradevole plus.

     Il film poi è impercettibilmente concettuoso e simbolico, contemporaneo e universale: è un richiamo all’ambiguità dell’uomo che cerca la verità ma si appassiona alla finzione. E’ un inno alla libertà contro l’arroganza del potere (“un colpo ha sparato al cuor dell’oppressor”). E’ un monito contro i falsi miti. E’ il pianto contro tutta la violenza. E’ il simbolo della sofferenza e della finitudine esaltato nell’insistente zoom sulla Croce. Ma con un tocco così leggero, così sapiente da farne senz’altro un film d’autore, che sollecita e spiazza, presentato a Cannes nella sezione “Un certain regard”. Tarantino che ha avuto molto da ridire sulla cinematografia italiana degli ultimi tempi (in parte a ragione) potrebbe esserne persino invidioso.

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