Chi inventa il cinema che vediamo?
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Chi inventa il cinema che vediamo?

Al MIA - Mercato Internazionale Audiovisivo di Roma nasce Dedalus, l’Alleanza dei Produttori Originali Italiani

Fernando Bovaira - Marina Marzotto - Julie-Jeanne Régnault - Riccardo Tozzi - presentano Dedalus al MIA - di Alessia de Antoniis
Fernando Bovaira - Marina Marzotto - Julie-Jeanne Régnault - Riccardo Tozzi - presentano Dedalus al MIA
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

10 Ottobre 2025 - 16.04


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di Alessia de Antoniis

Chi possiede le storie italiane? Mentre le piattaforme streaming si ridefiniscono “produttori” per accedere ai fondi pubblici destinati all’industria indipendente, i veri produttori – quelli che rischiano capitali, scoprono talenti, costruiscono progetti dall’inizio – stanno scomparendo dall’ecosistema culturale e dalla percezione pubblica.

Al MIA – Mercato Internazionale Audiovisivo di Roma è nata Dedalus, un’alleanza che prova a invertire la rotta. Non chiedendo sussidi o protezioni, ma rivendicando un ruolo culturale prima ancora che economico: quello di chi tiene insieme l’atto creativo e la sua sostenibilità, l’autore e il pubblico, l’idea e la sua realizzazione.

Durante il panel Cosa fa davvero un produttore?, Marina Marzotto – fondatrice di Propaganda Italia e presidentessa di Deadalus – ha presentato la nuova realtà che riunisce dodici tra i più importanti produttori italiani: da Nicola Giuliano a Matteo Rovere, da Viola Prestieri a Nicola Serra, con l’obiettivo di ridefinire il mestiere e, soprattutto, di far capire al pubblico cosa significhi davvero produrre un’opera.

“Dedalus è un’alleanza, non un sindacato,” spiega Marzotto. “È un luogo di confronto tra professionisti che sentono l’urgenza di spiegare cosa fanno e perché. Non parleremo di tax credit o di politica industriale. Vogliamo parlare di idee, talento, pubblico. Rimettere al centro il valore creativo del produttore.”

Il produttore come cacciatore

Tra gli interventi, quello di Riccardo Tozzi – fondatore di Cattleya, vicepresidente di Dedalus e fra i produttori che hanno ridefinito l’immaginario della serialità italiana con titoli come Romanzo criminale, Gomorra e ZeroZeroZero – ha riportato l’attenzione sulle origini del mestiere.

“Quando dico alla signora seduta accanto al ristorante che faccio il produttore – racconta Riccardo Tozzi, vicepresidente di Dedalus – la reazione più comune è: ‘Ah, quello che mette i soldi’. Oppure: ‘lei è quello che porta i camion sotto casa mia’. È una narrazione agghiacciante, ma diffusa,” – continua Tozzi – “La verità è che il produttore è un cacciatore: di idee, di pubblico e di risorse. Caccia le storie, le riconosce e le fa esistere. Poi caccia il pubblico, perché pensa già a chi le ascolterà. E sì, caccia anche i soldi, ma solo come mezzo per far vivere un racconto.”

Il suo intervento si è trasformato in una riflessione culturale sulla “ideologia del cinema d’autore”, che dagli anni Sessanta ha marginalizzato il ruolo del produttore in nome del regista-autore.

L’omicidio perfetto

Chi ha ucciso il produttore? In Italia, il grande cinema è stato per decenni riconosciuto come cinema di produttori: Ponti, De Laurentiis, Lombardo, Cristaldi erano personaggi mediatici la cui fama superava spesso quella dei registi. Carlo Ponti, in combutta con Feltrinelli, si assicurò i diritti del Dottor Živago vincendo persino la resistenza di Togliatti che cercava di impedirgli di farlo.

Tutto cambiò negli anni Settanta. “Io ero tra quelli che hanno contribuito a far cadere quella cultura,” ammette Tozzi con disarmante onestà. “Facevamo parte della battaglia contro la censura di mercato e il produttore ci sembrava l’interprete di quella censura, l’uomo del denaro.” In un paese cattolico come l’Italia nacque l'”ideologia del cinema d’autore”: non il semplice riconoscimento degli autori, ma un’impostazione che vedeva nel mercato un vincolo da cui liberarsi.

“Questa rivoluzione culturale ha contribuito al disastro del cinema italiano nei decenni successivi,” sostiene Tozzi. Le figure che caddero furono il produttore e lo sceneggiatore, ridotti a esecutori al servizio del regista-demiurgo.

L’ironia è che François Truffaut aveva già smontato questa mitologia in Effetto notte. Un’intervistatrice chiede a ciascun membro della troupe di cosa parli il film. Ognuno risponde che è un film sulla propria parte. Poi l’inquadratura si sposta sul gatto presente sul set e si capisce che anche il gatto pensa sia un film su un gatto.

“Non è una deformazione comica,” commenta Tozzi. “È la verità: il cinema è un lavoro collettivo. Interpretarlo attraverso la categoria del cinema d’autore è una riduzione ideologica nociva.” L’esempio è Chinatown: in Europa è considerato un film d’autore di Polanski, ma fu inventato da un produttore, Robert Evans, che commissionò la sceneggiatura a Robert Towne e poi, dopo una battaglia, lo fece dirigere a Polanski.

L’Europa e la battaglia per la definizione

A dare respiro internazionale al dibattito, Julie-Jeanne Régnault, direttrice del European Producers Club, ha sottolineato la confusione semantica che regna in Europa:

“Abbiamo 36 paesi e 36 modi diversi di chiamare lo stesso mestiere. In Francia si dice producteur délégué, in Inghilterra executive producer. Ma nessuno di questi termini definisce davvero chi ha la visione e la responsabilità creativa dell’opera. Il concetto di produttore originale è un passo avanti, un’idea che guarda al futuro.”

Per Régnault, la sfida non è solo linguistica, ma politica. “Oggi le piattaforme e i broadcaster si definiscono ‘produttori’. Ma un produttore originale è chi detiene l’IP (chi possiede la proprietà intellettuale), chi sviluppa l’idea, chi investe nella crescita dei talenti. È un ruolo di iniziativa e di nutrimento culturale, non solo di gestione.”

Una professione che costruisce ponti

Dalla Spagna, il produttore Fernando Bovaira (The Others, Mar adentro, Agora) ha condiviso la stessa preoccupazione:

“Oggi i giovani non sanno più cos’è un produttore. Crescono credendo che il cinema sia solo regia o recitazione. Ma produrre significa seguire un progetto dall’inizio alla fine: dall’idea al finanziamento, dalla scelta del regista alla distribuzione. È un lavoro complesso, che tiene insieme arte, economia e visione.”

Tornare al centro del racconto

In questo scenario, Dedalus nasce per restituire visibilità e dignità a un mestiere rimasto troppo a lungo nell’ombra, ma che regge l’intera macchina del cinema.

“Il produttore non è un burocrate del set,” afferma Tozzi. “È un mediatore fra l’idea e il pubblico, fra l’autore e il mercato. È la figura che tiene insieme l’atto creativo e la sua realizzazione.” E aggiunge: “Il cinema italiano è rinato ogni volta che i produttori hanno ripreso in mano il racconto per immagini. È successo alla fine degli anni ’90, quando una nuova generazione ha ricominciato a credere nel proprio ruolo creativo. Oggi dobbiamo farlo di nuovo, ma in modo consapevole e collettivo.”

Per anni, il produttore è stato una figura solitaria, schiacciata tra esigenze creative e sostenibilità economica. Con Dedalus, questa solitudine diventa rete.

“È bello parlare finalmente tra di noi,” conclude Marzotto. “Condividere le stesse difficoltà, ma anche la stessa passione. Dedalus nasce per questo: per dare voce a chi costruisce i film pezzo dopo pezzo, per far capire che dietro ogni storia c’è sempre qualcuno che ha deciso di crederci per primo.”

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