“Lasciatemi morire ridendo”: la vicenda di Stefano Gheller in un intenso documentario

Il ritratto di un uomo che ha lottato fino all’ultimo respiro, ma anche un’opera che lascia il ricordo di un’esistenza unica

“Lasciatemi morire ridendo”: la vicenda di Stefano Gheller in un intenso documentario
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

17 Ottobre 2025 - 23.18


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Arriva nelle sale italiane, prodotto da Virginia Rosaschino e da Dreamscape, distribuito da Mescalito Film, Lasciatemi morire ridendo, opera diretta dal giovane regista Massimiliano Fumagalli, che racconta la storia di Stefano Gheller, cinquantenne veneto affetto da una grave forma di distrofia muscolare facio-scapolo-omerale che ha combattuto con coraggio, ironia e un profondo amore per la vita, divenendo un simbolo della lotta per il fine vita in Italia in quanto la seconda persona nel Paese (e la prima in Veneto) ad aver ottenuto legalmente il diritto al suicidio medicalmente assistito.

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La storia di Stefano Gheller, scomparso nel febbraio 2024 per cause naturali in seguito all’aggravarsi della malattia, è straordinaria per la sua determinazione. Di fronte alla sofferenza e alla prospettiva di una infermità degenerativa che lo consumava, Gheller aveva espresso il desiderio di poter scegliere autonomamente il momento della sua morte ma, a differenza di altri, ha deciso di non recarsi in Svizzera: è rimasto in Italia per affrontare una battaglia civica e umana, portando avanti la sua richiesta di libertà radicale all’interno del proprio Paese.

Il titolo stesso del documentario suggerisce il delicato equilibrio che ha caratterizzato l’esistenza di Stefano: l’oppressione della malattia contrapposta ad una inesauribile dignità e, in particolare, alla profonda ironia e all’attaccamento alla vita. Come afferma infatti lo stesso Massimiliano Fumagalli, anche sceneggiatore dell’opera: “Stefano amava la vita, proprio per questo l’aveva rimessa in discussione. […] I suoi occhi traboccavano di rabbia, dolore e orgoglio. Quel pizzico di orgoglio, che gli ha permesso di diventare la seconda persona in Italia ad ottenere questo diritto”.

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ll documentario si configura come una dolorosa, ma al tempo stesso brillante, testimonianza degli ultimi anni di vita di Gheller: attraverso interviste alle persone a lui più vicine — dalla sorella (che condivide la stessa malattia) a esponenti religiosi e dell’associazionismo per il fine vita — e grazie all’osservazione della sua quotidianità, Fumagalli intreccia un racconto che va oltre la cronaca. Il film dunque non si concentra unicamente sulla questione legale, ma scava nelle domande più essenziali e universali: cosa significa davvero vivere? Qual è il limite della sofferenza sopportabile? E, soprattutto, quando si può dire di essere liberi di scegliere come morire?

Il regista mira a raccontare Stefano non per la sua malattia, ma per le scelte compiute e le battaglie portate avanti con un coraggio quasi inaspettato: un invito a riflettere su una tematica che continua a dividere il contesto politico e sociale, ma che tocca in modo cruciale la sfera dell’autodeterminazione e della dignità umana. Allo spettatore rimane non solo il ritratto di un uomo che ha lottato fino all’ultimo respiro, ma anche un’opera che lascia il ricordo di un’esistenza unica, drammatica e spiritosa, che ha saputo interrogare il senso della vita anche nel momento della sua messa in discussione più estrema.

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