Nouvelle Vague: Linklater reinventa il cinema sul cinema

Nouvelle Vague, presentato alla Festa del Cinema di Roma, non è un film d'epoca. È un film che vive nel presente del suo passato

Nouvelle Vague di Richard Linklater - Festa del Cinema di Roma - recensione di Alessia de Antoniis
Nouvelle Vague di Richard Linklater - Festa del Cinema di Roma
Preroll AMP

Alessia de Antoniis Modifica articolo

21 Ottobre 2025 - 23.34


ATF AMP

di Alessia de Antoniis

Top Right AMP

C’è un momento in cui Jean-Luc Godard, nascosto dietro i suoi iconici occhiali scuri, osserva i giornalieri di À bout de souffle mentre il fumo della sigaretta gli avvolge il volto. In quell’istante, Richard Linklater cattura l’essenza di ciò che rende il cinema un atto di pura magia: la capacità di vedere qualcosa che ancora non esiste, ma che cambierà tutto.

Presentato a Cannes 2025 e ora alla Festa del Cinema di Roma, Nouvelle Vague è molto più di un semplice biopic cinefilo. È un film che vive la contraddizione della propria esistenza: meticolosamente ricostruito nei minimi dettagli dopo 65 anni, eppure animato da quella stessa energia anarchica che Linklater portò nel cinema indipendente americano con Slacker nel 1990.

Dynamic 1 AMP

Il paradosso di filmare l’irripetibile

La sfida era impossibile: come raccontare Fino all’ultimo respiro, manifesto della spontaneità e dell’improvvisazione, con un film che richiede mesi di preparazione e ricostruzione millimetrica? Linklater risolve il paradosso non imitando lo stile godardiano, ma immergendosi totalmente nel 1959. Come ha dichiarato lui stesso: “Voglio uscire con la gente della Nouvelle Vague”, e questa intimità si percepisce in ogni inquadratura.

Girato in bianco e nero, con la grana della pellicola e persino i segni di cambio bobina visibili, Nouvelle Vague non è un film in costume: è un documentario impossibile, quello che non fu mai girato durante la lavorazione di Fino all’ultimo respiro. La fotografia di David Chambille, in 35mm, 4:3, bianco e nero, cattura la texture di una Parigi che non esiste più, ricreata con una cura che fa impallidire qualsiasi production designer. Non la città reale, ma quella che il cinema ha inventato per sempre.

Dynamic 1 AMP

Come Godard cinquant’anni prima, Linklater costruisce un film di libertà: piccolo, spiazzante, allegro, meticoloso. E come Godard, sa che il gesto più rivoluzionario non è distruggere il linguaggio, ma giocare con esso.

Un cast che va oltre la somiglianza

Guillaume Marbeck non si limita a sembrare Godard: ne incarna il carisma enigmatico, l’arroganza filosofica, quella miscela esplosiva di genialità e insopportabilità che fece del regista un rivoluzionario. Indossa gli occhiali neri come un’armatura, è una sfinge che fuma, parla per aforismi e cita se stesso prima ancora di essere diventato famoso. Più affascinante del Godard reale? Probabilmente sì, e questo è un punto di forza del film.

Dynamic 1 AMP

Aubry Dullin è una rivelazione: la somiglianza fisica con Belmondo è stupefacente, ma è il suo approccio giocoso, da pugile che tratta il set come un ring, a rendere il personaggio memorabile. Reinventa Belmondo come un corpo di pura energia. Zoey Deutch restituisce a Jean Seberg un’ironia fragile, esasperata ma affascinata, traumatizzata dall’esperienza con Preminger eppure incapace di resistere al richiamo di qualcosa di nuovo.

Il film si diverte a far sfilare l’intero pantheon della Nouvelle Vague: Truffaut (Adrien Rouyard), Chabrol (Antoine Besson), Agnès Varda (Roxane Rivière), Rohmer, Rivette, Melville, Bresson, Rossellini. Ognuno introdotto con un fermo immagine e il nome sovrimpresso, come mug shot di una gang di rivoluzionari del cinema.

Le sceneggiature di Holly Gent e Vincent Palmo Jr. compilano ogni bon mot pronunciato da Godard sul set, ogni consiglio ricevuto da Rossellini o Melville, ogni soluzione creativa trovata dalla troupe. Il risultato è forse troppo pulito, troppo ordinato per un movimento che si definì proprio per il suo caos produttivo; ma Nouvelle Vague non finge di essere un film della Nouvelle Vague: è un film sulla distanza, sul modo in cui il mito, una volta toccato, cambia forma. Tra il 1959 e oggi, tra Godard e Linklater, tra il gesto e il suo ricordo, si apre lo spazio più vero del film: quello della nostalgia attiva, che non rimpiange ma ricrea.

Dynamic 1 AMP

Nouvelle Vague è un film che celebra la nascita invece del culto, che preferisce il caos all’agiografia. Non è una lezione di cinema né un esercizio di stile, ma un film sul fare, sull’improvvisazione, sulla gioia che precede la forma. Ogni scena sembra ricordarci che il cinema non nasce mai dall’ordine, ma dall’entusiasmo: dal desiderio di provare, sbagliare, ripartire.

Linklater funziona perché, come Tim Burton con Ed Wood, capisce che i film sul cinema migliori non sono quelli reverenziali, ma quelli che condividono la stessa passione dei loro soggetti.
Non cerca di fare un film “alla Godard” (sarebbe stato disastroso), ma un film su cosa significa essere giovani, arroganti, convinti di poter cambiare il mondo con una macchina da presa.

La colonna sonora di cool jazz (Quincy Jones in testa) e i classici come “Hully Gully” riempiono il film di un’energia vitale che contrasta con la precisione della ricostruzione. C’è gioia, qui. C’è il ricordo di quando si poteva uscire per strada, puntare una camera nascosta in un carrello della posta (geniale Raoul Coutard, interpretato da Matthieu Penchinat) e reinventare il linguaggio cinematografico.

Dynamic 1 AMP

C’è un momento in cui Godard, tra una sigaretta e un sorriso, dice che possiamo controllare i pensieri, ma non le emozioni. È la chiave del film: Nouvelle Vague non controlla, lascia accadere. E, nel farlo, restituisce al cinema ciò che troppo spesso dimentica: la sua leggerezza.

Un omaggio imperfetto ma necessario

Nouvelle Vague non è rivoluzionario come i film che celebra. Ma è un’opera d’amore genuina, che ricorda perché ci innamoriamo del cinema. Per chi non conosce Godard, è un’introduzione seducente a un’epoca irripetibile. Per chi lo adora, è un piacere pieno di dettagli deliziosi.

Dynamic 1 AMP

Nouvelle Vague non deve essere Fino all’ultimo respiro 2.0. Deve solo farci venire voglia di rivedere l’originale, di riscoprire Truffaut, Rohmer, Varda. Di ricordarci che fare un film può essere, come diceva Godard, fare la rivoluzione.

Linklater, americano innamorato del disordine francese, non copia Godard: ne capisce la fede. Nel cinema come atto vitale, improvvisazione, rischio, libertà. Non fa un film su Godard. Fa un film che Godard avrebbe potuto amare: libero, divertito, contagioso. Un film che ci ricorda che ogni inizio, anche quando è imitazione, è una nuova onda. E se non è rivoluzionario, almeno è cinema fatto con il cuore.

FloorAD AMP
Exit mobile version