Cortigiana: quando il nuovo analfabetismo non distingue più il senso letterale da quello figurato delle parole
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Cortigiana: quando il nuovo analfabetismo non distingue più il senso letterale da quello figurato delle parole

È il moderno analfabetismo semantico: quello che confonde il senso letterale con quello figurato, la parola con la sua ombra, la metafora con la cosa stessa.

Cortigiana: quando il nuovo analfabetismo non distingue più il senso letterale da quello figurato delle parole
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Gianni Cipriani Modifica articolo

22 Ottobre 2025 - 10.42


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C’è un tipo di analfabetismo nuovo, sottile e perfettamente alfabetizzato. Non riguarda chi non sa leggere o scrivere, ma chi non sa più interpretare. È il moderno analfabetismo semantico: quello che confonde il senso letterale con quello figurato, la parola con la sua ombra, la metafora con la cosa stessa.

Un tempo — e non serve risalire a Quintiliano e alla Institutio oratoria che più o meno molti di coloro che si occupano di comunicazione masticano — distinguere i livelli di senso era il fondamento della retorica e dell’intelligenza linguistica. Il “traslato” era un esercizio di stile, non una trappola. Oggi invece basta una parola ambigua perché si scateni la rissa digitale o politica, il linciaggio semantico o perfino una sorta di cancel culture della grammatica.

Prendiamo il caso della “cortigiana”, divenuta improvvisamente oggetto di scandalo nazionale. Un termine che, in senso letterale, rimanda alla donna di corte e in senso figurato — o meglio, per estensione storica — alla prostituta di rango, alla dama di piacere. Ma l’attuale furia interpretativa ha rovesciato il tavolo: ci si è indignati per l’accezione figurata (con la complicità di qualche vocabolario online piuttosto sbrigativo) ignorando quella letterale.


È un paradosso linguistico e sociale: la polemica non nasce più dal doppio senso, ma dall’incapacità di riconoscerlo correttamente. Cosa per la quale è necessario quel terribile e difficile sforzo intellettivo (lo dico in tono ironico, giusto per precisare visto che non si sa mai…): saper contestualizzare.

Le barzellette di una volta — quelle sullo “scemo del villaggio” — giocavano sull’effetto opposto: l’ingenuo che prende alla lettera ciò che era figurato. «Mi hanno detto di andare a quel paese» e lui parte davvero. Oggi, invece, i social (e la politica, purtroppo) pullulano di persone che fanno il contrario: leggono come metafora ciò che è descrizione e come insulto ciò che è citazione.

È la vendetta di un mondo che non legge più testi lunghi e non distingue più il valore semantico dalle emozioni di pancia. La grammatica è diventata una faccenda morale, e la semantica un campo minato.

Eppure, basterebbe ricordare che ogni lingua vive di ‘polisemia’, cioè della capacità delle parole di dire più cose insieme. Dante, nel Convivio, distingueva quattro sensi della scrittura: letterale, allegorico, morale e anagogico. Noi, nel 2025, fatichiamo a riconoscerne uno solo.

Forse non serve un nuovo vocabolario, ma un ritorno alla educazione, quella che ci insegnava a non confondere il dire con il significare.

Umberto Eco, già molti anni orsono, aveva parlato del “lettore ingenuo”, ossia colui che prende il testo alla lettera senza decodificare il sottotesto. Oggi quel ‘lettore ingenuo’ non solo è diventato la norma ma ha raggiunto perfino le più alte cariche dello Stato e del governo, per non parlare del Parlamento.


Finché non torneremo a capire che una “cortigiana” può stare in un palazzo ma non necessariamente in un bordello, resteremo prigionieri del più pericoloso analfabetismo: quello che sa leggere, ma non capire.


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