Alla Festa del Cinema di Roma Dracula non morde
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Alla Festa del Cinema di Roma Dracula non morde

Luc Besson trasforma il vampiro in eroe romantico e spreca un potenziale teologico straordinario. Resta un blockbuster elegante che ammicca alla profondità senza mai tuffarcisi davvero

dracula l'amore perduto - ph shanna besson 2025 - recensione di Alessia de Antoniis
Dracula l'amore perduto - ph Shanna Besson 2025 - Festa del Cinema di Roma
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25 Ottobre 2025 - 23.27


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di Alessia de Antoniis

Esce in sala il 30 ottobre Dracula: l’amore perduto, di Luc Besson, presentato alla Festa del Cinema di Roma.

Un blockbuster hollywoodiano in salsa europea che seduce l’occhio, ma spreca un potenziale filosofico straordinario. Dracula: l’amore perduto di Luc Besson è quello che racconta il titolo originale: a love tale, una storia d’amore. Ma è anche un’opera che accumula domande teologiche profonde per poi lasciarle cadere nel vuoto di una narrazione che preferisce la spettacolarizzazione al ragionamento.

Sicuramente è una produzione visionaria, anche grazie al budget stellare da 45mln di $. I costumi di Corinne Bruand sono sontuosi, i decori di Hugues Tissandier evocano una Belle Époque da sogno e l’intera estetica strizza l’occhio al Tim Burton più romantico (la stessa colonna sonora è affidata a Danny Elfman, compositore feticcio del regista americano). C’è una patina gotica elegante, mai sopra le righe, che trasforma il film in una cartolina animata dall’Europa dei secoli passati.

Particolarmente azzeccata la scelta del carillon come dispositivo narrativo: quella scatoletta musicale che risveglia le memorie di vite passate ricorda immediatamente Anastasia (il film d’animazione del 1997), creando un ponte emotivo tra fiaba e tragedia. È uno di quei dettagli che funzionano: semplice, visivo, commovente.

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Ma è un Dracula senza zanne. Caleb Landry Jones, bravo nel ruolo, porta al vampiro una fragilità magnetica, un pallore che è più malinconia che minaccia. Besson sceglie deliberatamente di trasformare il vampiro in eroe romantico, in vittima di una maledizione più che predatore. È una scelta legittima (Coppola lo fece già nel 1992), ma qui manca tensione. Non c’è mai il senso del pericolo, dell’alterità mostruosa. Dracula diventa semplicemente un innamorato disperato con problemi di longevità.

Christoph Waltz, nel ruolo di padre Evarist, lavora di mestiere ma senza particolare trasporto. Zoë Bleu, nel doppio ruolo di Elisabetta/Mina, è ridotta a icona visiva più che personaggio: bella, eterea, funzionale alla storia romantica di Dracula, ma priva di una vera forza narrativa. Anche Matilda De Angelis è brava in un ruolo senza particolare spessore.

Il cortocircuito del comandamento: Padre Evarist (Christoph Waltz) uccide in nome di Dio, violando il “non uccidere”. È un paradosso antico quanto la cristianità stessa, ma Besson lo sfiora appena. La domanda che Dracula pone (“Perché Dio dovrebbe uccidere la sua creazione?”) resta sospesa nel vuoto.

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L’autonomia umana: una delle frasi finali è folgorante: “Che Dio lo faccia o no non importa; solo tu hai il tuo destino nelle tue mani.” È una dichiarazione esistenzialista potente, quasi sartriana: l’uomo che si riprende la propria libertà da un dio assente o indifferente.

La domanda ultima: alla fine, il Dracula di Besson ama l’uomo, nella fattispecie una donna, più di Dio? Vladimir attraversa i secoli per amore, mentre Dio sembra averlo abbandonato. Vladimir, alla fine, sceglie per amore. L’amore umano supera l’amore divino in resistenza, in fedeltà, in dono?

Tutte queste domande galleggiano nel film come iceberg: si intravede la punta, ma la massa resta sommersa. Besson ha tra le mani un melodramma teologico sul rapporto tra uomo e Dio, tra amore umano e amore divino, tra fede e libertà. Ma preferisce concentrarsi sugli effetti speciali, sui voli notturni, sui balli parigini.

È un peccato (per restare in tema teologico) perché il materiale c’è tutto. Con più coraggio narrativo, Dracula avrebbe potuto diventare una riflessione profonda sulla presenza e sull’assenza di Dio, mediata attraverso il corpo immortale di un vampiro. Invece resta un bel film commerciale che ammicca alla profondità senza mai tuffarcisi davvero.

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Dracula di Besson è un’opera spettacolare e superficiale al tempo stesso, narrativamente timida. Un film che funziona come intrattenimento di buon livello, perfetto da vedere sul grande schermo, con una elegante estetica tim-burtoniana e momenti di genuina bellezza visiva. Ma che tradisce il proprio potenziale intellettuale, preferendo il comfort della formula al rischio del pensiero. Un’occasione mancata, per un regista del calibro di Besson, che ha preferito farne un melodramma gotico, commercialmente spendibile, ma non indimenticabile. Più hollywoodiano che francese.

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