Per chi, per quanto all’epoca un bimbetto, ricorda le gemelle Kessler, la notizia della loro morte lascia una scia di mesto dolore. Come le tante scomparse di personaggi dell’arte, della cultura e dello spettacolo che costellano i nostri anni grigi, questa perdita travalica i sentimenti personali, espandendosi nella dimensione collettiva di un’epoca irrimediabilmente svanita nelle caligini dell’oblio.
Tedesche di Nerchau, cittadina della Sassonia, Alice ed Ellen Kessler vennero al mondo il 20 agosto 1936. La danza l’avevano nel sangue e l’appresero sin da bimbe; poi, diciottenni, lasciarono la Repubblica Democratica Tedesca per trasferirsi all’Ovest, si fecero le ossa come ballerine a Düsseldorf, e al Lido di Parigi con il leggendario corpo di ballo delle Bluebell Girls. Da noi sbarcarono all’alba degli anni ’60, parte di un esteso fenomeno migratorio di artisti stranieri che in Italia trovarono lavoro e successo. Il loro debutto in Rai avvenne nel 1961 nella trasmissione “Giardino d’inverno”. Fu in una di quelle puntate che ebbe luogo il celebre episodio censorio: per evitare che le loro lunghe (105 centimetri) gambe turbassero il sonno degli italiani, i dirigenti della RAI capitanati da Ettore Bernabei imposero loro di ricoprirle con pesanti calze nere durante le esibizioni: reputavano eccessiva la sensualità emanata da quegli arti nudi, il che la dice lunga sul clima di rigida morale e ipocrisia imperanti allora in Italia.
Ovviamente, una tale censura contribuì a rendere l’immagine delle Kessler ancor più iconica e discussa. Il pubblico ne apprezzava lo stile fresco, l’eleganza, le performance di danza sincronizzate, una piacevole ventata di novità in una televisione alquanto ingessata. Ma la popolarità fu anche accompagnata da scetticismo e disappunto da parte di tradizionalisti e moralisti, che consideravano la messa in mostra delle “belle gambe” una sensualità esibita, minacciosa per i loro valori morali. La stampa rifletteva questo dualismo, tipicamente italico, dividendosi tra chi ne lodava la professionalità, la modernità e l’eleganza, riconoscendole quale simbolo del nuovo costume culturale, e chi ne lamentava la provocazione implicita, condannando esibizioni considerate audaci per la mentalità italiana che ritenevano prevalente. I parrucconi consideravano la loro immagine un segno tangibile della cultura di massa in trasformazione, mentre altri la reputavano un pericolo per i principi tradizionali: insomma, attorno alle ballerine tedesche si scatenò un dibattito culturale tra apertura e censura, modernità e pruderie. Intanto il successo aumentava: le Kessler furono presenze ineludibili in trasmissioni epocali quali “Studio Uno,” “Canzonissima” e “La prova del Nove,” che le consacrarono protagoniste dello spettacolo italiano di quell’importante decennio.
In effetti le gemelle sono state molto più di grandi donne dello spettacolo, ballerine, attrici, presentatrici e quant’altro: i corpi statuari, le gambe impudicamente – per l’Italia di allora – messe in mostra nelle trasmissioni Rai, i sorrisi solari, il piglio disinibito con cui affermavano la propria femminilità, hanno rappresentato per l’Italietta provinciale, bacchettona e ipocrita dell’epoca una sana terapia d’urto, un grimaldello capace di scardinare l’ipocrisia e il falso moralismo di un Paese ancorato al vecchio, malgrado il prepotente espandersi del boom economico che stava modificando costumi e modi d’essere, consumi e produzioni anche culturali. In una televisione pubblica ingabbiata nelle rigide maglie d’una censura bigotta, la naturalezza di queste amazzoni teutoniche, l’allure di donne di mondo uniti ad un talento artistico evidentissimo anche ai profani fu una miscela esplosiva. L’accento germanico con cui padroneggiavano la nostra lingua, che in alcuni suscitava tragici ricordi per l’occupazione della Wermacht, era finalmente esibito in un contesto diverso, di lieti e spassosi eventi del sabato sera, cosa che anche contribuì a lenire memorie dolorose: la Germania, dunque, non produceva solo cannoni e morte, ma anche belle figliole con il dono dell’arte.
Non si rischia dunque di sovrastimare il fenomeno culturale e mediatico che ebbero nel panorama italiano dell’epoca, un impatto che esonda il mero intrattenimento. Le “gemelle” per antonomasia furono le icone di un Pease in tumultuosa mutazione, contribuirono alla definizione di un’immagine di modernità, in netta antitesi con un passato noioso e patriarcale. La loro presenza nella televisione di Stato – l’unica allora disponibile –, la rappresentazione di una nuova figura femminile, autonoma, atletica ed elegante, sideralmente lontana dall’immagine tradizionale, si ergeva a simbolo di un’epoca nuova, di progresso economico e sociale – o almeno, così era avvertita.
La capacità di adeguarsi ai diversi format televisivi apportandovi i loro talenti le rese figure familiari che entravano nelle case come ospiti attesi, amate da un pubblico trasversale: un ruolo di provocazione, probabilmente neanche ricercato, che sfidava le rigide censure della società italiana di quegli anni, un’immagine non costruita – come avviene oggi – ma naturale, che anche funse da catalizzatore per la liberalizzazione del linguaggio televisivo. Un processo, dunque, che si inserisce nel più ampio quadro di trasformazioni sociali, culturali ed economiche generate dal boom economico, in cui cultura pop e televisione si fecero strumenti di rinnovamento e di rottura con il passato. In fondo, viste dalla prospettiva dell’oggi, l’impatto che le Kessler ebbero sui costumi dell’epoca fanno riflettere su come lo spettacolo e l’intrattenimento riflettesse le tensioni di un’Italia che usciva da un periodo di severità e di restrizioni, entrando in una fase di più ampia libertà e consapevolezza, persino agendo quale motore di cambiamento.
Tutto questo oggi ci pare quasi una favola, poco credibile come tutte le fiabe, eppure allora era realtà. Dopo una lunga carriera qui da noi, le Kessler tornarono definitivamente in Germania nel 1986, stabilendosi a Grünwald, un sobborgo di Monaco di Baviera, sempre accolte con entusiasmo nelle occasionali partecipazioni televisive: avevano lasciato un segno indelebile nel nostro immaginario. Finché, come racconta lo scarno resoconto di un giornale tedesco, hanno deciso di andarsene insieme, con un ultimo passo di danza. Un legame indissolubile che neanche la morte ha sciolto.
