di Alessia de Antoniis
Fotografare corpi nudi femminili caraibici sottraendoli alla tradizione secolare del desiderio, dell’esotismo, del turismo dello sguardo: Wadadli Feminine di Angela Lo Priore (Prearo Editore, 2025) prova a compiere questo gesto quasi impossibile. Presentato a Paris Photo e ai Black Carpet Awards di Milano, il libro raccoglie oltre trenta ritratti di donne afrodiscendenti di Antigua & Barbuda, fotografate nude nel fitto della foresta pluviale. Non è un progetto sulla bellezza ma sulla possibilità stessa di un corpo che esista senza essere immediatamente tradotto in merce visiva. “Just be natural”, ripete Lo Priore sul set. Quella frase contiene l’intero programma: una fotografia che non celebra e non moralizza, ma sposta il nudo fuori dal circuito del desiderio.
Lo Priore, fotografa italiana formatasi tra anni ’90 e Duemila come ritrattista di celebrità, viene da un lungo lavoro sul corpo femminile e i suoi condizionamenti: dai manichini di Mannequins Mannequins ai disturbi alimentari di Eat Me!, fino alla perdita di equilibrio fisico ed emotivo di Stairs Obsession. Con Wadadli Feminine sposta ancora il fuoco e Antigua & Barbuda, che gli Arawak chiamavano Wadadli, non è semplice scenario. Le donne afrodiscendenti sono fotografate nude nel fitto della foresta, tra alberi monumentali, radici che sembrano sculture e fogliame tropicale, raccontando il corpo come territorio e il territorio come corpo.
Divorzio tra nudità e lussuria
“La chiave dell’amore per sé stessi sta nel liberarsi dai vincoli che ci imponiamo”, scrive una delle partecipanti. Un’altra parla di “spettacolare divorzio tra nudità e lussuria”. È qui che il libro si colloca: nella zona in cui il nudo, tradizionalmente al servizio del desiderio maschile, bianco, occidentale, viene ripensato come stato naturale e non disumanizzante.
Donne che non posano per sedurre qualcuno. L’operazione è quella di sottrarre la nudità alla sua automatica carica erotica senza scivolare nel moralismo o nel pudore illustrato. Una fotografia che lavora per sottrazione, finché il corpo scoperto torna a essere prima di tutto un corpo.
La luce è quasi sempre naturale, filtrata dalle chiome o riflessa sull’acqua; niente flash teatrali, niente pelle lucidata da editoria patinata. I corpi sono centrali ma non esibiti, integrati nel paesaggio. Bianco e nero e colore si alternano con una logica precisa: il primo scolpisce le figure come sculture classiche; il secondo esplode nei verdi, nei rossi dei fiori e dei frutti, fino a erotizzare il paesaggio più dei corpi.
Il corpo come paesaggio, il paesaggio come corpo
Visivamente il libro lavora su un sistema di equivalenze: tronchi e schiene, trecce e liane. I capelli afro, intrecciati o sciolti, sono trattati come materia vegetale: rami, corde, radici. Alcune pose sono volutamente classiche, altre sembrano emergere da un immaginario mitico: ninfe, Eva, figure totemiche. Ma Lo Priore le sporca con elementi imprevisti: radici che interrompono la linea ideale della gamba, rami che tagliano la composizione.
Questo corpo-a-corpo tra donna e paesaggio produce un cortocircuito con la storia della fotografia antropologica e coloniale: là dove l’immagine fissava il corpo come oggetto di studio o di desiderio esotico, Wadadli Feminine insiste sulla continuità organica tra donna e ambiente. Non c’è la spiaggia da catalogo turistico, non ci sono palme cartolina: c’è una foresta che inghiotte e protegge, un humus in cui i corpi si confondono, resistono, respirano.
Female gaze e sorellanza
Il progetto non si esaurisce nella superficie delle immagini. I “Thoughts” delle protagoniste, il saggio di Mitzi Allen, spostano Wadadli Feminine dal semplice photobook al terreno della performance collettiva.
In dialogo con artiste come Deana Lawson o Carrie Mae Weems, Lo Priore redistribuisce l’autorità dello sguardo. Le donne raccontano paura e vergogna, pudore e curiosità, la difficoltà di spogliarsi non tanto davanti all’obiettivo quanto davanti a sé stesse, in un contesto sociale profondamente conservatore. Il set diventa uno spazio di sorellanza: ci si osserva, ci si incoraggia, ci si vede nude insieme, senza giudizio. Una sorellanza inaspettata.
In questo senso, il female gaze non è soltanto questione di chi tiene la macchina fotografica, ma un modo per scardinare il dispositivo patriarcale che per secoli ha fatto del corpo femminile un oggetto di consumo visivo. Lo Priore costruisce un dispositivo non gerarchico in cui le donne ritratte non sono più muse silenziose, ma soggetti che partecipano alla definizione della propria immagine, co-autrici di un archivio che sottrae il nudo al desiderio maschile e lo restituisce alla libertà di chi lo abita.
Resta, inevitabile, la domanda: può una fotografa europea bianca sottrarsi totalmente alle dinamiche di potere implicite nel rappresentare corpi neri in un contesto post-coloniale? Il libro non finge che il problema non esista, ma lo affronta condividendo il racconto: coinvolgendo professioniste locali (make-up, hairstyling, produzione), lasciando che sia una giornalista e produttrice antiguegna come Mitzi Allen a raccontare il progetto e facendo dialogare le donne tra loro.
Wadadli Feminine èuna contro-narrazione rispetto al flusso di immagini caraibiche prodotte altrove e per altri sguardi.
Essere viste, non esposte
In un’epoca di ipersessualizzazione dell’immagine femminile e iperproduzione di immagini e corpi filtrati, Wadadli Feminine non chiede alle sue protagoniste di mostrarsi, ma di lasciarsi vedere. Non trasforma le donne di Antigua in allegorie di empowerment da citare su Instagram. È un gesto politico, è un’esperienza fisica: stare nella propria pelle, nel proprio paesaggio, senza dover recitare nessun ruolo.
Il libro è un lento divorzio dal modo in cui siamo abituati a guardare il nudo, un invito a ripensare il rapporto tra fotografia, desiderio e potere. Non celebra la bellezza: la restituisce alla Terra.