Siamo all’Accademia di Romania a Roma, dove da oggi, 26 novembre, fino al 7 dicembre 2025 è allestita la mostra personale di Luminița Țăranu, “Indistinti confini – Ovidio e la METAMORFOSI”, promossa dall’Accademia di Romania in Roma, dall’Istituto Culturale Romeno, dall’Ambasciata di Romania in Italia, dalla Società Dante Alighieri in Italia e dal Comitato di Bucarest della Società Dante Alighieri.
L’artista, romena di nascita e italiana d’adozione, torna a confrontarsi con uno dei temi che da sempre guidano la sua ricerca: la metamorfosi, intesa come trasformazione, mutazione e passaggio poetico tra forme e linguaggi.
L’installazione, ispirata all’opera ovidiana e creata appositamente per la Sala Esposizioni dell’Accademia, mette in dialogo il mondo classico e il contemporaneo, l’identità e il cambiamento, il corpo e l’arte.
Incontriamo Luminița Țăranu per approfondire la sua poetica, il legame con Ovidio e il significato profondo di questo nuovo progetto.
Come è nata l’idea di dedicare questa mostra a Ovidio e alle Metamorfosi?
Lavorare sulle Metamorfosi di Ovidio è un desiderio che risale a molti anni fa, e che ha preso forma in vari momenti del mio percorso artistico. La metamorfosi, infatti, è da sempre il filo conduttore della mia ricerca. Già durante gli ultimi anni dell’Accademia di Bucarest, ho iniziato ad esplorare questo concetto, dando vita alle mie prime metamorfosi, attraverso disegni a colori. Poi le litografie e le incisioni su metallo, per le quali mi è stata assegnata la Borsa di Studio dell’Unione degli Artisti Plastici della Romania, nel 1987. La metamorfosi significa, per me, la trasformazione dialettica, un concetto dinamico, il mondo in movimento, per continuare con la mutazione e la metafora come stadio poetico successivo.
Cosa rappresenta il concetto di “indistinti confini” e in che modo questo tema si esprime attraverso la creazione?
È un concetto bellissimo, di apertura verso il mondo. Ho scelto il nome dell’installazione, che è il fulcro della mia mostra, “Indistinti confini – Ovidio e la METAMORFOSI”, ispirandomi al memorabile saggio di Italo Calvino, “Gli indistinti confini” (testo di prefazione per il poema edito dalla casa editrice Einaudi, prima edizione “I Millenni”, Torino 1979).
Italo Calvino estrae la sostanza, l’essenza simbolica, dinamica, filosofica e letteraria del capolavoro di Ovidio, svelando con chiarezza il concetto della struttura compositiva.
Dopo un approfondimento documentario e un viaggio fatto in Sicilia sulle tracce della Magna Grecia e della Roma antica, è stato illuminante leggerlo: mi ha aiutato a trovare la struttura compositiva della mia installazione, la continuità delle metamorfosi che intrecciano miti e storia e la contiguità dei quadri che si alternano come in una doppia spirale.
Inoltre, il concetto di “indistinti confini” suggerisce la dimensione sconfinata degli spazi in cui viviamo nella nostra contemporaneità, come un fluido che rivela l’attuale concezione della vita, in un mondo senza barriere geografiche e spirituali.
L’installazione è stata pensata specificamente per la Sala Esposizioni dell’Accademia di Romania. Come ha dialogato con lo spazio architettonico?
Ho considerato che la Sala di Esposizioni dell’Accademia di Romania a Roma fosse lo spazio ideale per presentare al pubblico il mio lavoro, per le radici storiche e culturali comuni tra la Romania e l’Italia. La figura di Publio Ovidio Nasone – nato a Sulmona nel 43 a.C., che trascorse gli ultimi anni della sua vita, fino al 17 d.C., a Tomi, in Dacia, allora piccolo porto del Pontus Euxinus (oggi il Mar Nero), e il suo esilio imposto dall’imperatore Ottaviano Augusto – ben si adatta a rappresentare un ponte simbolico tra queste due terre. Pertanto, la scelta di questo spazio specifico non è casuale: la Sala Esposizioni, con la sua eleganza e la sua carica storica, dialoga perfettamente con il mio lavoro, creando una interazione diretta tra l’opera e lo spazio architettonico, sottolineando il legame profondo tra le diverse epoche e culture.
Ci può raccontare il processo tecnico e concettuale del suo lavoro su carta Fabriano di grandi dimensioni?
Ovidio ha scritto il suo poema epico Le Metamorfosi in 15 libri. Gli spazi delle metamorfosi, anche se in continuità orizzontale, si alternano come in una sinusoide vitale, in verticale. Ricordiamo che, se nell’Eneide, il capolavoro di Virgilio, gli dei non scendono sulla terra, nelle Metamorfosi di Ovidio c’è un continuo saliscendi degli dei e dei personaggi mitologici dall’Olimpo alla Terra, le cui vite eterne s’intrecciano con quelle dei mortali.
A volte un eroe viene deificato (come Ercole, accolto nell’Olimpo sulla nuvola; o Romolo ed Ersilia, dissolti nei divini Quirino e Ora).
È proprio lo spazio del mondo ovidiano che mi ha ispirato e mi ha spinto a creare gli elementi verticali della mia installazione, formata da 12 grandi fogli di carta di 1,50 m x 3,33 m ciascuno, composti in sequenza, con i disegni delle metamorfosi che si susseguono uno all’altro.
Sono riuscita a presentare il mio lavoro così come l’ho immaginato nel progetto accolto dall’Accademia di Romania a Roma, nella persona della vicedirettrice, dott.ssa Oana Boșca-Malin, grazie al progetto di allestimento pensato dall’architetto Pietro Bagli Pennacchiotti che, dopo il sopralluogo alla Sala Mostre dell’Accademia, ha adeguato l’opera allo spazio.
Perché ha scelto il disegno a carboncino e grafite come linguaggio principale di questa mostra?
Italo Calvino considera Le Metamorfosi di Ovidio il “poema della rapidità”. “L’architettura del suo poema non è partenonica. Ha dei tempi di un’inquieta temperie culturale, barocco ante litteram o esasperazione dell’ellenismo, dovuti a un’esperienza personale che diventa esigenza nuova.” Questa affermazione mi ha entusiasmato e mi ha fatto pensare alla freschezza tipica dell’esperienza vicina alla ricerca: l’elemento di azione che interagisce con quello ludico, e quello erotico che interagisce con quello drammatico. Mi hanno stimolato nell’interpretazione metamorfica dei capolavori greci e delle sculture romane (copie dell’arte ellenistica), dei meravigliosi disegni incisi sugli antichi vasi greci, della pittura e del disegno del Rinascimento, delle sculture iconiche barocche del Bernini, creando disegni in cui il rapporto postclassico tra il corpo umano anatomico e il corpo umano opera d’arte, pensato attraverso l’ambivalenza uomo-natura, esprime il gusto della vita.
È stato quindi naturale scegliere il disegno per esprimermi: tecnica semplice, diretta e rapida. Il disegno traduce in breve tempo il pensiero umano; inoltre ha un carattere acuto che permette l’approfondimento del dettaglio. La freschezza del carboncino e della grafite si avvicina al carattere vivo e umano dell’azione.
Ovidio scrive: “L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi”. In che modo questa frase rispecchia la sua ricerca artistica?
La mia visione della vita è dialettica: per me il mondo è in continua trasformazione. Mi sono sempre ritrovata nella razionalità della legge di conservazione della massa e dell’energia di Antoine Laurent Lavoisier, scienziato del XVIII secolo e fondatore della chimica moderna: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, da una forma in un’altra, in quantità equivalenti.
Sono rimasta meravigliata ritrovando questo concetto moderno in un poema di oltre duemila anni fa.
Ovidio considera la trasformazione, la metamorfosi, come una legge dell’universo, un meccanismo per eccellenza. La filosofia della metamorfosi – quella dell’unità e della parentela tra tutto ciò che esiste al mondo, sia cose che esseri viventi – è il principio unificante.
Ho scelto come leitmotiv della mostra il primo verso dell’opera di Ovidio: “L’estro mi spinge a narrare di forme mutate in corpi nuovi.” In nova fert animus mutatas dicere formas corpora. (Metamorfosi, Libro I – Le età del mondo).
C’è un mito o un episodio particolare delle Metamorfosi che ha sentito più vicino alla sua sensibilità?
Sì, è la parte iniziale delle Metamorfosi, che riguarda l’origine del mondo. Infatti, il centro dell’installazione sono i tre grandi disegni sulla Genesi.
Il primo disegno riguarda il Caos, con la natura informe e inerte dell’Universo, da cui nascono i Giganti; la cosmogonia con la composizione materica del mondo, i quattro elementi primordiali: fuoco, aria, terra e acqua. Poi le Età del mondo: l’Età dell’Oro, dominata da Saturno, con un’atmosfera paradisiaca di pace, quando Prometeo crea l’uomo; l’Età dell’Argento, dominata da Zeus, quando nascono le stagioni; l’Età del Bronzo, in cui l’uomo crea le armi e diventa crudele; l’Età del Ferro, in cui il livello di crudeltà e violenza raggiunto dall’uomo fu tale che gli dei abbandonarono la terra, intrisa di sangue, per vivere in spazi eterei.
Nel secondo disegno della Genesi, che compare anche nel progetto grafico della mostra, Zeus distrugge l’essere umano e, dalla terra insanguinata, crea una nuova specie. Ma la crudeltà aumenta e Zeus distrugge irreversibilmente il genere umano utilizzando l’acqua: il Diluvio Universale, quando l’ultimo luogo non sommerso è il Monte Parnaso. Impressionato dalla bellezza corporea e dall’amore degli ultimi due superstiti, Deucalione e Pirra, Zeus decide di ricreare un nuovo genere umano, diverso da quello originario, più prodigioso, che sarebbe l’uomo di oggi. Seguendo il consiglio dell’oracolo Temi, Deucalione e Pirra scagliano dietro le loro spalle le ossa degli avi, cioè le pietre della Terra, che diventano uomini e donne.
Nel terzo disegno ho rappresentato le metamorfosi della ricomparsa dell’uomo, degli animali fantastici e dei mostri.
Quali metamorfosi contemporanee l’hanno ispirata?
Sono rimasta colpita dall’origine del mondo per la saggezza con cui Ovidio costruisce la narrazione. L’ho trovata straordinariamente attuale. Potremmo contestualizzarla nella nostra contemporaneità riflettendo sui pericoli ai quali l’uomo si sta sottoponendo con incoscienza e irresponsabilità: dalle guerre insensate ai gravi problemi ambientali che viviamo. La storia sembra ripetersi, nel bene e nel male.
Mi hanno colpita, in particolare, le pagine in cui, attraverso Pitagora, Ovidio esprime concetti ancora oggi validi sulla metamorfosi, su come dovremmo nutrirsi e su come dovremmo trattare gli animali che hanno lavorato per noi. Una riflessione profonda che ci interroga sul nostro rapporto con la natura e gli esseri viventi.
Nelle sue opere il tema della trasformazione assume spesso una dimensione umana e spirituale. Come lo interpreta oggi, in un mondo in continua mutazione?
La metamorfosi, come ci insegna Ovidio, è un concetto antico e archetipico, che oggi si intreccia con l’evoluzione e l’involuzione, in un ritmo incessante. Non soltanto nella scienza, ma soprattutto nella vita, ed è proprio questo l’aspetto che mi emoziona, perché lo considero poetico.
Vorrei ricordare la serie di opere Metamorfosi – EVOCAZIONI, nelle mostre curate da Mario de Candia, critico di arte contemporanea, a Palazzo Borghese di Monte Porzio Catone e all’Accademia di Romania a Roma nel 2004. In queste opere, la metamorfosi diventa un processo dialettico e dinamico in cui l’evocazione è mentale, come un ricordo o una proiezione di un personaggio simbolico, carico di positività, come Evo-cazione XLV – L’uomo che porta la pioggia -Rain Man, o Evo-cazione XLIX – Il gladiatore Borghese.
Intendo l’evocazione anche a livello materico, utilizzando carta, giornale, legno, grafite, sabbia. Il progetto che mi rappresenta è L’UOMOMUCCA – COWMAN of the world, la mia risposta artistica all’attuale crisi ambientale, proponendo un’alternativa che richiama la riconquista dell’equilibrio sul Pianeta Terra attraverso il recupero dei valori autentici dell’umanità.
In che modo il progetto “UOMO-MUCCA” rappresenta una proposta per affrontare la crisi ambientale e qual è il messaggio che intende trasmettere alla società contemporanea?
L’icona dell’UOMOMUCCA è frutto della fusione tra la mucca e il corpo umano, simbolo dell’unione tra natura e civiltà.
Prodotto da una metamorfosi e da una mutazione, quale metafora della creatività, l’UOMOMUCCA è un discendente dell’“Uomo-Animale” e raffigura la sua forma evoluta. La mucca rappresenta il nutrimento, la natura, l’istinto, l’atavico, la sacralità, la Madre Terra; l’uomo rappresenta l’intelligenza, la coscienza e la civiltà.
La sua esistenza è necessaria per ristabilire l’equilibrio della vita sulla Terra. Raffigura il nuovo essere, prototipo ideale di una nuova creatura, protagonista del futuro, nata per riportare il prezioso equilibrio nel nostro mondo.
Nasce sporadicamente in ogni continente, si moltiplica fino a diventare una popolazione. L’UOMOMUCCA si evolve e diventa COWMAN OF THE WORLD, cittadino del mondo.
Il suo significato è la positività. Ricordo le mostre curate da Mario de Candia all’ICR Venezia, all’Accademia di Romania in Roma nel 2006; alle Scuderie Aldobrandini, Frascati (RM) nel 2007, 2008, 2009; e al nuovo museo delle Scienze MUSE di Trento, dove il progetto è stato scelto in occasione dell’inaugurazione nel 2013.
I “confini indistinti” possono essere letti anche come confini culturali tra Romania e Italia. È così?
Per me il concetto stesso di “confini indistinti” fa riferimento a spazi sconfinati in un’osmosi fluida: rivela il naturale desiderio di vivere insieme, in un mondo senza barriere di nessun tipo, basato sui valori umani da rispettare.
Si può convivere senza arrivare per forza all’omologazione, ma conservando la propria cultura come una ricchezza da portare.
L’ingresso della Romania nell’Unione Europea ha segnato un momento cruciale, la libertà di viaggiare, di vivere e lavorare ovunque ha riportato la fiducia, la dignità di sentirsi liberi e partecipi. Ha restituito non solo la certezza del diritto di essere cittadini europei, ma ha anche rafforzato il senso di appartenenza a un progetto comune, fatto di opportunità, scambi e di nuove prospettive. Da cui l’attuale concetto di intercultura e multiculturalismo che permea le nostre società e che rappresenta una delle più importanti sfide della nostra epoca.
L’opera di Ovidio fu scritta in esilio sulle coste del Mar Nero. Quanto conta per lei la dimensione dell’esilio, dello spostamento, dell’appartenenza doppia?
Per Ovidio l’esilio fu una costrizione vissuta con tristezza; dopo la morte di Ottaviano, Tiberio non gli permise di ritornare a Roma.
Ricordiamo che il sommo poeta Dante Alighieri, il padre della lingua italiana, scrisse La Divina Commedia in esilio. Penso a loro anche per uno dei grandi pregi che hanno in comune Le Metamorfosi e La Divina Commedia: quello di ricreare il mondo e di renderlo visibile.
Per fare un salto nel tempo, penso allo scultore romeno Constantin Brâncuși, pilastro dell’arte moderna, la cui opera confido di aver capito pienamente venendo a vivere e lavorare in Italia, lontana dal mio paese di nascita e formazione. Considero che il viaggio di Brâncuși a Parigi sia stato decisivo per la sua maturazione artistica. Succede che l’attraversamento geografico diventa un attraversamento temporale e spirituale, in cui la memoria emotiva seleziona e cristallizza, funzionando come filtro che porta in superficie i valori essenziali.
L’incontro tra il sentimento di appartenenza a uno spazio geografico con una cultura propria e il nuovo conduce ad avere un’immagine distaccata del mondo, portando al salto di qualità nel pensare. La percezione attraverso la memoria emotiva della vita vissuta in Romania diventa parte dell’identità.
E per Brâncuși, la cultura romena, antica e tradizionale, diventa humus, nutrimento vivo e attivo, che seleziona e carica di significato, portandola all’essenza, a valenze universali.
Come il tema della metamorfosi è diventato il filo conduttore della sua ricerca artistica e come si è evoluto nel tempo?
Il momento in cui il tema della metamorfosi è diventato centrale nella mia ricerca è stato un processo graduale. Il mio salto di qualità nel pensare artistico è avvenuto nei disegni, nelle litografie e nelle incisioni su metallo create a Bucarest ed è maturato vivendo in Italia, dove ho continuato il mio lavoro in uno scenario di nuovi confronti con il contemporaneo, assorbendo il più possibile l’incredibile patrimonio culturale italiano. Questa immersione in un contesto così stimolante mi ha permesso di rafforzare la mia ricerca e di esplorare nuovi linguaggi espressivi.
Considero che la trasformazione sia un percorso continuo, evolutivo, a volte involutivo, ma che fa parte di noi e noi siamo parte del mondo. Con il passare degli anni ho imparato a percepire la metamorfosi non solo come una condizione esteriore, ma come una forza interna che anima il processo creativo. E’ una costante, una sfida che ci spinge a rinnovarci, a cercare sempre nuove forme di espressione e a rimanere fedeli a quel mistero che rende unica e imponderabile ogni trasformazione.
Come sceglie il linguaggio più adatto a ogni progetto, e in che misura la tecnica scelta influisce sul modo in cui un tema o il messaggio dell’opera vengono comunicati al pubblico?
Scelgo la tecnica in funzione dell’idea che desidero trasmettere. La tecnica deve essere eseguita bene, perché il messaggio dell’opera arrivi pulito. Per esempio, per realizzare l’installazione monumentale Columna mutãtio – LA SPIRALE, ho scelto la pittura “a strati” attraverso la stampa serigrafica artistica a mano, su alluminio, utilizzando 50 telai incisi che riportavano i disegni preparatori.
Lo spessore del colore materico acrilico vinilico che passa attraverso la tela serigrafica crea l’effetto di traccia, come una memoria incisa e indelebile. Invece le evocazioni e i simboli, ripetuti, diventano icone, ricordando che nel mondo romano la ripetizione e la produzione di figure di dei e oggetti sacri era seriale, come un’anticipazione della pop art. Inoltre, il mondo romano era un mondo “a colori”, e la scelta dei colori serigrafici, nitidi e intensi, ha reso un’immagine continua, curata nel dettaglio.
Per l’installazione “Indistinti confini – Ovidio e la METAMORFOSI”, ho scelto il disegno per interpretare Le Metamorfosi di Ovidio, perché è una tecnica rapida, diretta, acuta e spontanea, con la possibilità di tornare, cancellare, ripartire e creare il senso di ricerca.
Che ruolo hanno per lei il tempo e la memoria nella creazione artistica?
Prima si trattava della memoria soggettiva, dove il mio mondo interiore prevaleva e, attraverso le mie opere, come i megaoggetti SUPERSLIDES e la MEGABOX, cercavo di fermare il tempo, come se la mia opera potesse rinchiuderlo e conservarlo.
Poi, con il passare degli anni, c’è stato un risveglio verso il mondo esteriore e attraverso la memoria oggettiva ho creato le opere che mettono al centro la connessione tra l’antico e il contemporaneo, la mutazione di significato portata dalla materia archeologica: come le installazioni che interpretano la Colonna di Traiano, simbolo dei legami storici tra la Romania e l’Italia, Columna mutãtio – Itinerari picta e Columna mutãtio – LA SPIRALE, esposte nelle mostre ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali, Roma, e alle Terme di Diocleziano; le PICTA all’Istituto Romeno di Cultura di Venezia e al Museo Civico “U. Mastroianni” di Marino, e nella sede dell’Ambasciata di Romania in Italia. Il lavoro che interpreta Ovidio all’Accademia di Romania in Roma riguarda la memoria e l’immaginazione.
Spesso inserisce nel suo lavoro elementi di restauro o di “ricostruzione”: è un modo per restituire vita alla materia o per riflettere sul passare del tempo?
Le opere che realizzano una fusione tra pittura su tela e inserimenti di restauro fanno parte della mia ricerca sulla percezione del tempo, inteso in rapporto con la dimensione dello spazio. Le mie opere hanno soltanto la dimensione dello spazio, in quanto contemporanee. Ho sentito il bisogno di creare una premeditata distruzione parziale, per poi reintegrare le “lacune-mancanza” attraverso il procedimento di restauro pittorico. Dando continuità all’immagine attraverso un’azione controllata, la mia opera acquisisce il valore del tempo.
Queste opere sono nate dalla mia passione per il restauro, approfondita dalla lettura della Teoria del restauro di Cesare Brandi, per il quale il tempo è l’autentico: sono principi basilari per dare continuità alla vita dell’opera d’arte; il “tempo vitale” dell’opera viene continuato attraverso il “tempo neutrale”.
Inoltre, si tratta anche di una reazione di rifiuto del lavoro neofigurativo sulla tela. Il tempo stesso della lavorazione di un’opera è lungo, come per partecipare al suo percorso di vita. “Immagine precedente l’immagine.” Ogni dipinto della serie riguarda un certo momento del percorso di reintegrazione delle “lacune-mancanza”, ogni volta diverso, che diventa il leitmotiv della scelta estetica.
Qual è oggi il compito dell’arte nel raccontare la trasformazione del mondo?
Credo che l’arte debba assorbire la realtà contemporanea, collocandola all’intero contesto storico, dalle radici più profonde fino ad oggi, per poi proporre soluzioni. L’arte, oltre a trasmettere bellezza e verità, è uno tra i mezzi di comunicazione più potenti a nostra disposizione. Grazie alla sensibilità e alla capacità emotiva che può evocare, riesce a far arrivare le idee direttamente al cuore e alla mente dello spettatore, spesso in modi che le parole da sole non potrebbero. La nostra società è in continuo mutamento, attraversata spesso da contraddizioni e difficoltà che richiedono di essere comprese e affrontate. L’arte ha il potere di illuminare questi aspetti, di dare voce a ciò che spesso è invisibile o inespresso, offrendo nuove prospettive e stimolando una riflessione più profonda sul futuro che ci attende.
Come dialogano nelle sue opere l’uomo, la natura e la tecnologia?
Il rapporto uomo-natura ha per me un valore sacro. Siamo parte della Terra e dell’universo, una piccola parte integrante.
È un argomento che si trova alla base della mia creazione: i primi disegni e le prime litografie con le metamorfosi aventi come soggetto il corpo animale (cinghiale, cavallo, mucca) e il corpo umano, studiato dall’esterno verso l’interno, analizzato, sezionato, distrutto, trasformato e ricomposto in una forma diversa e allusiva, fino all’informale, creando le “Tavole anatomiche”, come le ha nominate il noto critico d’arte moderna e contemporanea Giorgio Di Genova. Questa esperienza, che è continuata nel tempo, mi ha aiutato nella comprensione del capolavoro di Ovidio, poema che considera essenziale il ruolo della natura e dell’uomo come parte integrante della natura. In ogni fase del mio lavoro, dunque, l’uomo e la natura si confrontano e si rigenerano. La tecnologia, in questo dialogo, non è mai un elemento separato o estraneo, ma un mezzo che, a mio parere, può amplificare e restituire il senso di una trasformazione che ci riguarda tutti. L’opera d’arte diventa così un luogo dove queste forze convivono, si mescolano e danno forma a nuove visioni di realtà.
Che messaggio vorrebbe lasciare al pubblico che visiterà questa mostra?
Che Metamorfosi è una fonte di saggezze e verità, un’antica conferma che arriva ai nostri giorni da millenni e ci dice che il mondo è sconfinato, in movimento e in continua trasformazione. Nonostante la dinamica degli intrecci tra dei e mortali e nonostante la crudeltà che l’essere umano può provocare, la natura, la nostra Madre Terra, continua a vivere, rigenerandosi e riportando il tutto in un ciclo perpetuo.
Il messaggio che desidero lasciare al pubblico è che l’arte può rendere visibile l’invisibile, svelare connessioni nascoste e offrirci un punto di vista più ampio sulla vita e sul mondo. A questo proposito, vorrei citare le parole del prof. Alessandro Masi, critico d’arte moderna e contemporanea, Segretario Generale della Società Dante Alighieri in Italia, che ha scritto nel catalogo della mostra: “Luminița Țăranu, con questa nuova prova, invece, ci dimostra come tutto sia più semplice, evidente, palese, come quel dito che punta verso il ‘re nudo’ e che lei ci svela attraverso le pagine vertiginosamente belle della letteratura di tutti i tempi: le Metamorfosi di Ovidio!”
Mi piace anche sottolineare che il catalogo che accompagna la mostra non è solo un supporto alla visita, ma una vera e propria estensione dell’opera stessa. Con il suo testo critico, il catalogo diventa un ulteriore strumento di riflessione, che offre al pubblico l’opportunità di approfondire i temi della mostra e di esplorare il percorso artistico in modo più completo.
C’è un momento della sua carriera che considera una “metamorfosi” personale?
Anche se in fondo rimaniamo noi stessi, il passare del tempo e alcuni eventi significativi nella vita portano inevitabilmente trasformazioni.
La metamorfosi, intesa come cambiamento profondo, spesso non è un cambiamento improvviso, ma avviene in modo sottile, impercettibile e costante. I miei valori, sia umani che estetici, sono rimasti saldi e profondamente radicati in ciò che ho ricevuto durante la mia formazione in Romania. Tuttavia, vivere in Italia mi ha dato la possibilità di vedere e di conoscere. Il patrimonio artistico e culturale italiano, che è senza dubbio uno dei più ricchi al mondo, mi ha offerto una nuova dimensione, alimentando la mia crescita e stimolando la mia ricerca.
E poi c’è la metamorfosi personalissima che considero fondamentale e che riguarda l’avere una famiglia, l’avere un figlio, una esperienza che ha aggiunto una dimensione nuova e insostituibile, di impareggiabile arricchimento.
Se potesse incontrare Ovidio, cosa gli direbbe?
Lavorare a questa installazione è stato per me come preparare un incontro con Ovidio, un poeta straordinario che, con la sua genialità, ha saputo raccontare il mondo in maniera inconfondibile. Ciò che mi ha colpito di più è il suo stile, diretto e rapido, che scorre con il ritmo di una pellicola cinematografica, capace di “far vedere” il mondo in un istante.
La scelta del disegno mi ha permesso di seguire il suo stesso passo, di giocare nell’avvicinarmi e allontanarmi all’interno dei fatti narrati, con entusiasmante estro.
Se potessi incontrarlo, gli direi che è bello credere nelle storie delle sue metamorfosi perché, alla fine, ciò che per noi rappresenta il vero nutrimento, come lui stesso ci ha insegnato, è il sentimento della bellezza e l’amore per il mondo.
E’ questa la forza che, anche oggi, continua a farci sentire vivi, in un mondo che cambia, ma che non smette mai di affascinarci con la sua meraviglia.
Dopo “Indistinti confini”, su quali progetti sta lavorando o immagina di lavorare?
Mi piacerebbe continuare a esplorare il mondo ovidiano e a creare disegni ispirati alle sue Metamorfosi. L’installazione “Indistinti confini – Ovidio e la METAMORFOSI” mi ha dato un’opportunità unica di familiarizzare con il grande poeta e con la sua narrazione, ma sento che ci sono ancora molti sviluppi possibili, soprattutto in relazione a sequenze e spazi diversi. La forza di queste storie è universale e la possibilità di riscriverle attraverso il mio linguaggio mi affascina sempre di più.
Inoltre, ho in programma da tempo un progetto che riguarda la pittura. Sono attratta dall’idea di lavorare su grandi tele per dare forma a una visione più ampia e personale del mio percorso. Ogni progetto che realizzo è un atto di ricerca ed è parte di un percorso in cui il linguaggio si evolve, senza mai fermarsi. Non c’è un punto finale, solo un continuo divenire che prende forma nelle opere.
Come definirebbe oggi, con una espressione, la sua arte?
Forse un’arte in cui l’idea è l’aspetto fondamentale.
La scelta della tecnica di espressione artistica non è mai fine a se stessa, ma è sempre una conseguenza della visione che voglio trasmettere. Per questo deve seguire l’idea.
Per me, la sperimentazione e la ricerca sono essenziali, anche se il risultato si presenta come un’opera conclusa. Ogni mio lavoro nasce da una esplorazione continua. E forse, proprio in questa costante ricerca risiede la vera forza dell’arte: nella sua capacità di non fermarsi, di non dare mai risposte definitive, ma di offrirci una interpretazione sempre aperta, sempre viva. Perché l’unica certezza che possiamo avere, in un mondo che cambia incessantemente, è che l’arte continuerà a trasformarsi, a parlarci e anche a sfidarci, come la vita stessa fa con noi.