Il dicembre itinerante di Ivan Talarico
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Il dicembre itinerante di Ivan Talarico

Vaniloqui, fantasmi e altre catastrofi sentimentali in giro tra Roma, Andria, Melpignano e Bergamo

Ivan Talarico - Vaniloqui - ph. Lucrezia Testa Iannilli - intervista di Alessia de Antoniis
Ivan Talarico - Vaniloqui - ph. Lucrezia Testa Iannilli
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Alessia de Antoniis Modifica articolo

2 Dicembre 2025 - 16.32


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di Alessia de Antoniis

Dicembre, di solito, è il mese dei bilanci, dei pandori e dei messaggi “scusami se ti scrivo solo a Natale”. Quest’anno, in mezzo a tutto questo, c’è anche un signore che parla con i fantasmi, pratica il vaniloquio e racconta catastrofi sentimentali come se fossero verbali di polizia: Ivan Talarico. Il suo dicembre è itinerante: il 4 dicembre arriva all’Auditorium Parco della Musica di Roma con Vaniloqui, monologo con canzoni; il 5 dicembre porta La cantautrice fantasma ad Andria, al Seminario Vescovile; il 6 dicembre si sposta a Melpignano, nel Palazzo Marchesale; il 18 dicembre chiude al Teatro Sociale di Bergamo con un’indagine patafisica sull’autorialità travestita da serata di canzoni rubate (forse).

Nel frattempo ha iniziato a infestare anche internet: brevi video con brani dei libri, monologhi estratti dagli spettacoli e idee estemporanee in cui compaiono draghi, innamoramenti, figli inesistenti, pere e piantagioni di caffè. Una specie di corso accelerato di sopravvivenza sentimentale in formato short, che si può trovare sul suo canale YouTube.

E, sempre nel frattempo, ha trovato il tempo di fare un salto su Globalist.

L’Auditorium Parco della Musica è un tempio della musica seria. Portarci Vaniloqui ti fa sentire un “cantautore legittimato” oppure è il luogo perfetto per mettere in crisi anche l’idea stessa di cantautore serio?

Io in verità mi sento serissimo, illegittimo nelle intenzioni ma legittimo nelle azioni. Faccio spesso uso dell’umorismo, è vero, ma come strumento per mettere in crisi il senso, come anticamera del paradosso. In questo spettacolo metto in crisi l’idea di esistere e quella di realtà, insieme a molto altro. Riguardo all’Auditorium certo, è il tempio della musica seria. Ma in un’epoca come questa, affollata di divinità a buon mercato, chi ha tempio non aspetti tempio.

Sei stato ospite da Fiorello e Bollani, hai vinto Musicultura. Eppure continui a definirti autore di “canzoni che non ti rendono famoso”. È più difficile non diventare famosi quando ci provi, o diventare famosi quando non ci provi?

In verità è una frase di qualche anno fa, adesso sono diventato veramente molto famoso, quindi ho dovuto creare questa identità fittizia di “Ivan Talarico”, altrimenti non posso nemmeno più camminare sulle acque senza essere riconosciuto. La cosa difficile è restare sé stessi pur sapendo di essere un altro.

Una delle tue canzoni più amate, Carote d’amore, dice: “Vorrei tu fossi una pianta per poterti piantare, vorrei tu fossi un’ascia per poterti lasciare”. Il tuo terapeuta ti ha mai guardato negli occhi e detto: “Ivan, forse il problema non sta nelle carote”?

Purtroppo, il mio terapeuta è un coniglio. Quindi si mangia con gusto tutti i miei problemi in forma di carote e ha una vista sorprendente che gli invidio. Riesce perfino a guardarmi dentro.

Ne La cantautrice fantasma, A.F. è una cantautrice sconosciuta che sarebbe la vera autrice di canzoni di grandissimo successo. Ma se tu sei già un personaggio immaginario che racconta di una persona immaginaria che ha scritto canzoni reali… a che livello di realtà siamo? E soprattutto: quella cantautrice sei tu in drag?

No, A.F. non è una persona immaginaria: uso questo aggettivo solo per timori legali, perché il mondo dei diritti d’autore è legato ad aspre e sanguinose contese. Vedendo lo spettacolo si capisce tutto con chiarezza adamantina. Soprattutto che non ho una femminilità così ambiziosa.

La cantautrice fantasma è una “indagine patafisica sull’autorialità”. Ti arriva un whatsApp: “Ivan, che cos’è ‘sta cosa che fai a teatro?” Cosa rispondi in tre righe?

È la storia incredibile di una cantautrice che tra gli anni ’50 e ’70 ha scritto alcune delle canzoni italiane più belle, ma non è mai stata accreditata, diventando di fatto un’autrice fantasma. E nello spettacolo canto anche le sue canzoni originali!

C’è un contrasto interessante nel tuo lavoro. Da un lato i Vaniloqui, discorsi dichiaratamente futili e inconcludenti. Dall’altro, hai condotto laboratori di scrittura nel carcere di Frosinone con “Letteratura d’evasione”, conduci Le Ripetizioni su Radio Rai3, un lavoro serio sulla scrittura come strumento di libertà. Quindi: il vaniloquio è la forma più seria di discorso, o il discorso serio è semplicemente la forma più raffinata di vaniloquio?

Non credo molto alla contrapposizione tra “serio” e “faceto”: penso che le cose inconcludenti siano più indiziarie, vive e curiose di quelle concluse, penso che ci sia un mescolamento continuo di alto e basso, penso che la serietà contenga una buona dose di umorismo e che la coerenza sia sopravvalutata, perché dentro di noi si agitano forze contrarie e identità molteplici. Quindi il vaniloquio è un modo come un altro per riflettere sulla vanità del reale.

Il 18 dicembre chiudi al Teatro Sociale di Bergamo, uno di quei teatri storici con palchi, loggioni, secoli di spettacoli stratificati nelle pareti. Quando entri in un teatro così, ti senti più: sacrestano che accende le candele per A.F., truffatore affettuoso venuto a mettere in discussione la storia ufficiale o guida turistica che fa da tramite tra il fantasma e il pubblico?

Un teatro così è un luogo ideale, perché spesso sento i secoli stratificati dentro di me. E allora faccio un po’ il medium che parla con la voce dei morti, un po’ il doppelgänger venuto da un’altra dimensione, un po’ il coriandolo, che accende un’allegria passeggera e un po’ il traghettatore verso mondi inediti ed inesplorati.

Se qualcuno ti fermasse per strada e ti chiedesse: “Ok, ma davvero, chi è il vero autore delle canzoni?”, cosa risponderesti? La verità, una bugia poetica, o qualcosa di peggio di entrambe?

Un silenzio significativo, quasi evocativo.

Due messaggi vocali immaginari. Il primo: un messaggio ad A.F., la cantautrice fantasma. Hai dieci secondi, sapendo che potrebbe non ascoltarlo mai. Cosa le dici?

Le chiedo di fare un tour di apparizioni, manifestandosi di notte nelle case di gente sconosciuta per cantare le sue canzoni.

Il secondo: un messaggio al te stesso di vent’anni fa, quando hai iniziato a mischiare teatro, canzoni e monologhi senza sapere dove ti avrebbe portato. Lo rassicuri, lo minacci, lo ringrazi o gli chiedi scusa?

Gli dico di continuare verso la deriva, che è l’unica strada possibile. Di studiare di più, perché ci sono tante meraviglie in attesa. E poi gli do dei numeri vincenti al Lotto, per placare un po’ gli affanni.

Sul tuo sito si legge: “Ivan Talarico è un personaggio immaginario creato da Ivan Talarico”. Quando sei sul palco, chi dei due Ivan sta parlando? E l’altro dove sta: in platea a prendere appunti o è già scappato?

Sul palco c’è sempre il personaggio immaginario. L’altro è una persona riservata, non so nemmeno io dove sia in questo momento.

C’è qualcuno che sta leggendo questa intervista e sta pensando: “Mah, forse ci vado, forse no”. Che tipo di minaccia gentile, invito assurdo o promessa credibile gli lanceresti per convincerlo a venire almeno a una delle quattro date?

Gli direi di non essere così arrendevole, di non darsi per vinto, che la vita può ancora riservargli sorprese stupende ed esperienze straordinarie. Non è tardi per amare, non è tardi per inseguire i suoi sogni, non è tardi per prendere in mano la sua esistenza. E se invece fosse tardi, almeno ha molto tempo libero e può venire a vedere Vaniloqui senza scuse.

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