La decisione di autorizzare la partecipazione di Israele all’Eurovision 2026 sta provocando un terremoto che l’Unione Europea di Radiodiffusione (Ebu) non ha saputo prevenire. Dopo il via libera ottenuto da Israele nella riunione odierna a Ginevra, Spagna, Irlanda e Olanda hanno annunciato il loro boicottaggio, ritenendo inaccettabile ignorare le ripetute richieste di esclusione di Tel Aviv legate alle operazioni militari a Gaza. Le rispettive emittenti pubbliche – Rtve, Rte e Avotros – hanno comunicato ufficialmente la rinuncia a partecipare all’edizione 2026 del contest. A loro si è aggiunta, poche ore dopo, anche la radiotelevisione pubblica slovena, allargando ulteriormente il fronte del rifiuto.
La protesta non sorprende: da mesi numerosi Paesi avevano chiesto all’Ebu una posizione chiara sulle accuse rivolte al governo israeliano. Nonostante ciò, gli organizzatori hanno scelto di procedere come se nulla fosse, provocando la rottura con chi ritiene incompatibile la presenza di Israele in una manifestazione che si pretende inclusiva e rappresentativa dei valori europei.
Il fronte del boicottaggio, però, potrebbe presto allargarsi. Islanda, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia hanno reso noto che stanno valutando la possibilità di unirsi alla defezione, segnalando che la scelta dell’Ebu rischia di trasformarsi in una vera fuga di massa. Un esito prevedibile, tanto che la stessa Ebu aveva tentato di correre ai ripari con la riunione di oggi, convocata proprio per affrontare le tensioni crescenti. Tentativo fallito.
Nel frattempo, gli organizzatori hanno presentato le nuove regole di voto per l’edizione 2026, in programma a Vienna dal 12 al 16 maggio. Tra le modifiche più rilevanti, una significativa riduzione del numero massimo di voti esprimibili da ciascun utente: da 20 a 10 per metodo di pagamento (online, sms e telefono). Accorgimenti che, tuttavia, appaiono marginali rispetto alla frattura politica e morale che sta investendo il contest.
Sul fronte opposto, la leadership israeliana ha salutato con entusiasmo la decisione dell’Ebu. Il presidente Isaac Herzog ha commentato affermando che il suo Paese “merita di essere rappresentato su ogni palcoscenico del mondo”. Ha poi aggiunto: “Sono lieto che Israele partecipi ancora una volta all’Eurovision Song Contest e spero che la competizione continui a promuovere la cultura, la musica, l’amicizia tra le nazioni e la comprensione culturale transfrontaliera”. E ancora, ringraziando i sostenitori: “Grazie a tutti i nostri amici che si sono battuti per il diritto di Israele a continuare a contribuire e competere all’Eurovision. Questa decisione dimostra solidarietà, fratellanza e cooperazione e rafforza lo spirito di affinità tra le nazioni attraverso la cultura e la musica”.
Parole che, nella lettura di molti critici, appaiono in evidente contrasto con la situazione sul campo a Gaza e con la scelta dell’Ebu di ignorare le richieste di sospensione, sollevando dubbi sulla coerenza e sulla credibilità di un evento che si proclama simbolo di unità e dialogo tra i popoli.
