Il nostro voto può salvare la vita di tanti lavoratori vittime di appalti selvaggi: pensateci e andate ai seggi
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Il nostro voto può salvare la vita di tanti lavoratori vittime di appalti selvaggi: pensateci e andate ai seggi

Pensiamo un istante. E riflettiamo sul fatto che un voto potrebbe salvare la vita a moltissime persone.

Il nostro voto può salvare la vita di tanti lavoratori vittime di appalti selvaggi: pensateci e andate ai seggi
Morti sul lavoro
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Gianni Cipriani Modifica articolo

8 Giugno 2025 - 15.08


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Pensiamo un istante. E riflettiamo sul fatto che un voto potrebbe salvare la vita a moltissime persone.

Ogni anno, in Italia, il bollettino delle morti sul lavoro si aggiorna con una puntualità tragica. È una litania di numeri che raccontano vite spezzate, famiglie distrutte, sogni interrotti. Nel 2024, secondo i dati Inail, 1.090 lavoratori hanno perso la vita, un incremento del 4,7% rispetto ai 1.041 del 2023. Di questi, il 30% delle morti è avvenuto nel settore manifatturiero e negli appalti, anello debole della filiera produttiva dove il rischio è spesso amplificato da pratiche di risparmio sconsiderato.

Non sono solo cifre: sono storie come quella di Daniel Tafa, 22 anni, ucciso da una scheggia incandescente in un’azienda di Pordenone, o del giovane operaio caduto da un’impalcatura a Milano. Ogni incidente è una ferita aperta, un monito che ci richiama alla responsabilità collettiva.

Eppure, ogni anno, alle tragedie seguono promesse. Governi, istituzioni, imprese annunciano interventi: più controlli, più formazione, pene più severe. Ma i risultati concreti tardano ad arrivare. Nel 2023, gli infortuni sul lavoro sono diminuiti del 16,1% (590.000 casi), ma le morti, pur calando del 9,5% (1.147), restano un numero insopportabile. E i primi mesi del 2025 non lasciano spazio all’ottimismo: tra gennaio e aprile, Inail ha registrato 291 morti, un aumento dell’8,6% rispetto ai 268 dello stesso periodo del 2024. Incidenti che, nella maggior parte dei casi, si sarebbero potuti evitare con una prevenzione più rigorosa, con controlli più stringenti, con una cultura della sicurezza che non sia solo uno slogan.

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In questo contesto, il referendum dell’8 e 9 giugno 2025 sulla sicurezza sul lavoro rappresenta un’occasione storica. Il quesito, identificato dalla scheda rosso rubino, chiede di abrogare la norma che esclude la responsabilità solidale del committente per infortuni legati ai rischi specifici delle attività appaltate. Oggi, molte aziende appaltanti si limitano a scegliere il preventivo più basso, spesso chiudendo un occhio su come l’appaltatore gestisca la sicurezza. I dati parlano chiaro: il 70% delle morti sul lavoro in edilizia avviene in subappalti, dove la frammentazione della filiera produttiva diluisce responsabilità e tutele. La Cgil, promotrice del referendum, ha raccolto oltre 4 milioni di firme per dire basta a questa logica perversa, che antepone il profitto alla vita.

Reintrodurre la responsabilità solidale significherebbe obbligare i committenti a vigilare sulla sicurezza lungo tutta la filiera, scegliendo partner affidabili e investendo in prevenzione. Non è un’utopia: potrebbe salvare decine di vite ogni anno e prevenire migliaia di infortuni. Pensiamo a un operaio che cade da un’impalcatura non a norma o a un lavoratore schiacciato da un macchinario mal gestito: ogni caso è una storia di dolore che una maggiore responsabilità condivisa potrebbe evitare.

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Per questo, il referendum non è solo un voto, ma un atto di civiltà. È un’opportunità per dire che la sicurezza sul lavoro non è un costo, ma un diritto inalienabile. È un invito a costruire un’Italia in cui nessuno debba più temere di non tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Votare SÌ significa riconoscere che la vita di un lavoratore non ha prezzo e che ogni impresa, grande o piccola, ha il dovere di proteggere chi con il proprio sudore contribuisce al suo successo.

Non possiamo più permetterci di piangere i morti e contare i feriti, anno dopo anno, senza agire. Il referendum è un passo concreto verso un cambiamento che non può più aspettare. È una chiamata alla responsabilità collettiva, un’occasione per dimostrare che l’Italia sa prendersi cura di chi lavora. Andiamo a votare, con consapevolezza e determinazione, per un futuro in cui il lavoro sia sinonimo di dignità, non di tragedia.

Pensiamoci, pensateci. Un semplice gesto, una croce su un sì eviterebbe morti, invalidi, sogni e famiglie spezzate, vedove, orfani. Da giornalista non vorrei scrivere più di morti sul lavoro, come di femminicidi o di morti nelle guerre.
Ma adesso abbiamo davvero un’opportunità di fare di qualcosa di concreto.

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