di Alessia de Antoniis
Per una famiglia con reddito medio-basso, il costo di una badante è spesso insostenibile. D’estate, con i centri diurni chiusi e le strutture residenziali per anziani dai costi proibitivi, le famiglie restano sole: le badanti diventano l’unica alternativa praticabile.
Il nuovo Decreto Flussi, con 500mila ingressi regolari previsti in tre anni, riporta al centro dell’agenda il tema della cura e del ruolo dei lavoratori stranieri nel nostro welfare familiare.
Ne parliamo con Alfredo Savia, presidente di Nuova Collaborazione, l’associazione nazionale dei datori di lavoro domestico che da cinquant’anni rappresenta le famiglie italiane al tavolo delle trattative contrattuali.
Il numero di badanti regolari è in calo nonostante l’invecchiamento della popolazione. Secondo voi sta crescendo il bacino del lavoro sommerso o si sta spostando il baricentro verso caregiver familiari non retribuiti?
Il lavoro domestico rappresenta una componente imprescindibile per il benessere sociale del nostro Paese. Secondo i più recenti dati INPS, nel 2024 si contano circa 817.000 lavoratori domestici, con una contrazione del 3% rispetto all’anno precedente. La componente femminile resta largamente prevalente (89%), mentre quella maschile si attesta all’11%. È significativo rilevare come, per la prima volta, la quota di badanti (50,5%) abbia superato quella delle colf, segnando un cambiamento strutturale nella composizione del settore. In un contesto di rapido invecchiamento demografico, il calo delle badanti regolarmente assunte rappresenta un chiaro segnale di allarme: il sistema di cura è sotto pressione. Da un lato cresce il fenomeno del lavoro sommerso, dall’altro si assiste a un crescente coinvolgimento diretto delle famiglie, che si fanno carico dell’assistenza senza un adeguato supporto. Sono due manifestazioni diverse di una medesima fragilità strutturale. Come associazione datoriale, riteniamo inaccettabile che la cura diventi un ambito di solitudine, tanto per le famiglie quanto per i lavoratori. Promuovere la regolarizzazione, contrastare il lavoro irregolare e incentivare l’emersione attraverso strumenti concreti rappresentano priorità assolute. Il lavoro domestico deve essere riconosciuto come un pilastro del welfare: solo attraverso politiche pubbliche adeguate e una cultura condivisa del rispetto potremo superare la logica dell’emergenza e costruire un sistema sostenibile, equo e professionale.
Che tipo di formazione è oggi realmente disponibile per affrontare queste sfide? Serve una specializzazione sanitaria per alcuni profili?
La formazione nel lavoro domestico rappresenta oggi una priorità strategica per garantire qualità, sicurezza e dignità al lavoro di cura. In un Paese che invecchia rapidamente, è fondamentale che chi assiste persone anziane, soggetti fragili o bambini, sia preparato, anche per prevenire situazioni di rischio e per svolgere le proprie mansioni con consapevolezza. Va tuttavia chiarito un punto essenziale: i lavoratori domestici, non possono e non devono svolgere mansioni di tipo sanitario o medico, che restano di esclusiva competenza degli operatori socio-sanitari (OSS) e del personale sanitario. La formazione è quindi indispensabile, ma deve sempre rispettare i limiti normativi previsti dal contratto collettivo nazionale e dalla legislazione vigente.
La nostra associazione promuove percorsi formativi mirati e accessibili a livello nazionale, per colf, badanti e babysitter. Nei percorsi vengono coniugate teoria e pratica per formare assistenti familiari in grado di operare con competenza e responsabilità nel rispetto del proprio profilo professionale. Formare oggi significa proteggere domani: lavoratori, famiglie, persone assistite e l’intero sistema di welfare. In quest’ottica, riteniamo che il rilancio del settore debba poggiare su due pilastri fondamentali: una formazione professionale di qualità, accessibile anche ai lavoratori migranti, e un sostegno fiscale concreto alle famiglie che scelgono la via della legalità e della regolarità contrattuale.
La vostra associazione non è un sindacato: rappresentate i datori di lavoro, le famiglie. Quali sono oggi i principali problemi che affronta una famiglia quando prova ad assumere regolarmente una badante?
Prima di entrare nel merito della sua domanda, desidero fare una doverosa precisazione, fondamentale per chiarire il ruolo della nostra associazione e per inquadrare correttamente il contesto. Nuova Collaborazione è, a tutti gli effetti, un sindacato nazionale datoriale e, in quanto tale, siede legittimamente al tavolo delle trattative contrattuali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori. La sua partecipazione rientra nell’ambito della Federazione Fidaldo, di cui è parte costituente, che è il soggetto negoziale che, insieme a Domina, rappresenta la parte datoriale nel confronto istituzionale. Nuova Collaborazione siede al tavolo delle trattative per il rinnovo del CCNL sin dal 1974, data in cui da sola, come parte datoriale, stipulò il primo CCNL nazionale sulla disciplina del lavoro domestico.
Tanto premesso, riteniamo che assumere regolarmente un lavoratore domestico è un atto di responsabilità e legalità, ma spesso le famiglie si scontrano con ostacoli significativi, a partire da quello economico. Il costo del lavoro domestico incide in modo rilevante sull’equilibrio familiare e lavorativo.
Secondo uno studio che abbiamo realizzato con il Centro Einaudi, in assenza di assistenza domestica il 58% delle famiglie dovrebbe ridurre l’orario lavorativo, mentre il 7% sarebbe costretto a rinunciare del tutto al lavoro. È altrettanto rilevante il dato secondo cui il 36% delle persone attualmente inattive per motivi familiari potrebbe tornare nel mercato del lavoro se disponesse di un supporto adeguato.
Per questo, in qualità di associazione datoriale firmataria del contratto collettivo nazionale del settore, chiediamo interventi concreti, a partire da un’efficace defiscalizzazione del lavoro domestico. Una misura necessaria per alleggerire il peso economico sulle famiglie, favorire la regolarizzazione e valorizzare la professionalità degli assistenti familiari.
Il Lazio è la seconda regione per numero di lavoratori domestici, con oltre 115mila addetti. Ma c’è anche una presenza maschile più alta della media nazionale. Cosa ci racconta questa anomalia territoriale?
Il lavoro domestico in Italia mantiene una forte connotazione femminile: quasi il 90% dei lavoratori è donna. Tuttavia, nel Lazio emerge una specificità significativa: la componente maschile si attesta al 14,9%, rispetto all’11,1% nazionale. Questa differenza non è casuale. Riflette un’evoluzione della domanda di assistenza, sempre più orientata verso servizi continuativi e articolati, che spesso richiedono disponibilità fisica e flessibilità. Si delinea così un profilo professionale più diversificato, che si affianca ma non sostituisce quello tradizionale. Resta centrale, in ogni caso, il riconoscimento del ruolo insostituibile delle lavoratrici e del valore sociale del loro contributo.
Che fotografia esce del nostro Paese dai dati raccolti e qual è il ruolo del lavoro domestico nelle diverse Regioni?
Il lavoro domestico è una delle colonne portanti del nostro sistema di welfare e i dati INPS del 2024 offrono una fotografia chiara ma preoccupante: terzo anno consecutivo di calo dei lavoratori regolari, invecchiamento della forza lavoro e progressiva riduzione della componente migrante.
Le Regioni del Nord e del Centro – Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia-Romagna – concentrano oltre la metà dei lavoratori domestici, con una componente straniera superiore all’80%. Ciò conferma l’importanza della migrazione regolare per la tenuta del nostro sistema di cura.
Per la prima volta le badanti superano le colf: un dato che evidenzia il crescente bisogno di assistenza a lungo termine. Questo quadro richiede risposte urgenti: in termini di tutele, percorsi di formazione qualificata e misure che restituiscano dignità e legalità a un settore spesso invisibile ma essenziale.
Quale sarebbe la vostra priorità assoluta in termini di collaborazione istituzionale, qualora foste chiamati a un tavolo di Governo?
Riteniamo che la priorità assoluta sia l’introduzione di un sistema strutturato e stabile di defiscalizzazione del lavoro domestico, quale misura strategica per sostenere le famiglie, incentivare l’assunzione regolare e valorizzare il lavoro di cura. Non si tratta solo di un intervento di equità fiscale, ma di un investimento concreto per la tenuta del nostro welfare familiare.
In questa prospettiva, guardiamo con attenzione al recente Decreto Flussi, che prevede 500mila ingressi regolari nell’arco di tre anni. Si tratta di un segnale importante ma che, a nostro avviso, deve trasformarsi in una programmazione sistematica e continuativa. L’ingresso regolare di lavoratori dall’estero non può essere gestito con approcci emergenziali, ma deve rientrare in un disegno organico, in grado di rispondere con efficacia alla domanda crescente di assistenza e cura. Al tempo stesso, è necessario affrontare con determinazione il tema della regolarizzazione delle persone che già vivono e lavorano in Italia, spesso da anni, in condizioni di informalità. Si tratta di una realtà che non può essere ignorata e che merita risposte concrete, nell’interesse dei lavoratori, delle famiglie e dell’intera collettività.
Siamo convinti che la piena valorizzazione del lavoro domestico richieda un cambio di paradigma culturale e istituzionale: da ambito marginale a pilastro strutturale delle politiche sociali. Come associazione continueremo a offrire il nostro contributo affinché questa visione si traduca in politiche pubbliche stabili, inclusive e sostenibili.