Mps sfrutta i crediti fiscali pubblici per acquisire Mediobanca, favorendo Delfin e Caltagirone a spese dei contribuenti
Top

Mps sfrutta i crediti fiscali pubblici per acquisire Mediobanca, favorendo Delfin e Caltagirone a spese dei contribuenti

L'operazione finanziaria che vede il Monte dei Paschi di Siena (MPS) acquisire una quota strategica di Mediobanca è una delle mosse più controverse e singolari del recente panorama bancario italiano

Mps sfrutta i crediti fiscali pubblici per acquisire Mediobanca, favorendo Delfin e Caltagirone a spese dei contribuenti
Preroll

globalist Modifica articolo

7 Settembre 2025 - 11.46


ATF

di Antonio Picarazzi

L’operazione finanziaria che vede il Monte dei Paschi di Siena (MPS) acquisire una quota strategica di Mediobanca è una delle mosse più controverse e singolari del recente panorama bancario italiano. A un’analisi superficiale, l’acquisizione di una banca di valore e solidità superiori come Mediobanca da parte di MPS, valutata dal mercato quasi la metà, appare un’anomalia. Tuttavia, la logica di questa mossa si fonda su un pilastro unico e, per molti versi, problematico: i crediti fiscali latenti, noti come DTA (Deferred Tax Assets).

L’intera operazione si basa sull’utilizzo dei crediti fiscali che MPS può vantare grazie ai salvataggi pubblici. Il cuore finanziario dell’affare risiede in un valore di circa 1,2 miliardi di euro in DTA, che MPS intende utilizzare come “moneta di scambio” per finanziare l’acquisizione di una quota del 35% di Mediobanca. Questo scenario solleva un paradosso evidente: un valore economico generato grazie a un intervento pubblico miliardario viene ora usato per facilitare un’operazione privata, destinata a trasferire il controllo a un’alleanza di gruppi privati.

Per comprendere la gravità di questa situazione, è fondamentale analizzare il costo totale dei salvataggi di MPS per lo Stato italiano. A partire dall’iniezione di 5,4 miliardi di euro nel 2017 fino ai precedenti “Monti Bond” del 2012 e ad altri oneri, il costo complessivo sostenuto dai contribuenti ha superato i 12 miliardi di euro. A fronte di questo esborso, lo Stato, attraverso il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), ha progressivamente ridotto la sua quota, incassando solo una frazione dell’investimento iniziale.

Il bilancio attuale si traduce in una perdita secca per il contribuente di oltre 9 miliardi di euro. Questa cifra è il risultato di un calcolo che somma i costi totali e sottrae i ricavi:

• Costi Totali (stimati in circa 12 miliardi di euro):

– 3,9 miliardi di euro per i “Monti Bond” del 2012.

– 5,4 miliardi di euro per la ricapitalizzazione del 2017.

– 1,5 miliardi di euro per il rimborso degli obbligazionisti.

– 2,4 miliardi di euro in crediti fiscali (DTA) concessi.

• Ricavi Totali (stimati in circa 2,9 miliardi di euro):

– 1,835 miliardi di euro dagli incassi da vendite parziali e dividendi.

– 1,06 miliardi di euro come valore attuale della quota residua dell’11,7% dello Stato.

Il saldo negativo dimostra che il disimpegno statale da MPS si sta realizzando con una perdita enorme, di cui i contribuenti si sono fatti carico senza ricevere un adeguato ritorno economico o strategico.

L’operazione è ulteriormente offuscata da un palese conflitto di interessi che coinvolge i due principali attori privati, cioè, i gruppi Delfin (erede di Leonardo Del Vecchio) e Francesco Gaetano Caltagirone. Entrambi sono soci di rilievo sia in MPS (con una quota combinata di quasi il 20%) sia in Mediobanca (detenendo insieme circa il 27%). Questa presenza incrociata crea una situazione in cui i due gruppi hanno un forte incentivo a favorire l’operazione per massimizzare il valore del loro investimento in MPS, a prescindere dal fatto che l’offerta sia nel migliore interesse di tutti gli altri azionisti di Mediobanca. L’operazione, strutturata per l’acquisizione di una quota del 35% anziché del 66% che garantirebbe una fusione completa, suggerisce che l’obiettivo sia l’ottenimento del “controllo di fatto”, sufficiente per il consolidamento contabile che sblocca i DTA. L’esito finale porterebbe Delfin e Caltagirone a diventare i soci privati più influenti del sistema bancario italiano. Pertanto, al di là delle logiche tecniche e finanziarie, l’operazione rivela un disegno strategico di ridisegno del potere nel settore bancario italiano proprio perché la gestione del disimpegno statale ha di fatto agevolato la creazione di un nuovo polo bancario e finanziario che risponde a interessi privati. Questa scelta non sembra essere stata un’improvvisazione, ma l’esito di decisioni prese da diversi governi e ministri nel corso degli anni:

• Governo Monti (2012), con Vittorio Grilli al MEF, gestì l’operazione dei “Monti Bond”.

• Governo Gentiloni (2017), con Pier Carlo Padoan al MEF, fu attuata la ricapitalizzazione che rese lo Stato azionista di maggioranza.

• Governo Meloni (2024-2025), con Giancarlo Giorgetti al MEF, è stata gestita la fase della privatizzazione che ha portato all’attuale operazione.

Il collocamento accelerato delle azioni statali, gestito da una controllata (Banca Akros) di un gruppo (Banco BPM) che ne ha acquisito una quota rilevante, ha ridotto il numero dei potenziali acquirenti, escludendo di fatto il mercato al dettaglio e favorendo la selezione di nuovi soci di riferimento. In questo modo, il 35% del capitale sociale di MPS è ora nelle mani di un raggruppamento privato formato da Banco BPM, Del Vecchio e Caltagirone.

In sintesi, l’intera operazione si configura come un’amara beffa per i contribuenti italiani. Per salvare una banca tecnicamente fallita, sono stati spesi oltre 9 miliardi di euro dei nostri soldi. Questo esborso colossale non ha portato a una ripresa sotto l’egida dello Stato o del mercato, ma ha di fatto finanziato un’operazione di privatizzazione a beneficio di un gruppo ristretto e accuratamente selezionato di attori privati. In tal modo, l’operazione non solo ha trasferito il controllo strategico dal pubblico al privato, ma ha anche permesso a un’alleanza di poter acquisire un’influenza decisiva nel sistema finanziario nazionale, sfruttando un valore – i DTA – generato interamente grazie al sostegno pubblico. Il tutto, a fronte di una perdita netta per la collettività. Questa vicenda, più che una storia di finanza, si rivela un esempio lampante di come il potere economico e politico possano convergere per ridisegnare gli equilibri del Paese, lasciando ai cittadini il conto finale da pagare.

Native

Articoli correlati