Sciopero generale per Gaza: la forza della società civile e la spinta dal basso oltre i sindacati
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Sciopero generale per Gaza: la forza della società civile e la spinta dal basso oltre i sindacati

La mobilitazione indetta da USB ha mostrato la vitalità della società civile, con piazze partecipate che chiedono ascolto, rappresentanza nuova e politica meno distante.

Sciopero generale per Gaza: la forza della società civile e la spinta dal basso oltre i sindacati
Manifestazione per la Palestina
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

23 Settembre 2025 - 22.56


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Ci sono dei tempi mobilitanti che hanno un enorme  valore in sé, oggi Gaza ovviamente lo è. Ma le mobilitazioni rispondono anche ai soggetti che le determinano e rispecchiano qualcosa di importante per la società. Credo che questo aspetto sia stato poco affrontato in queste ore. Infatti cosa è successo ieri in Italia? Uno sciopero generale molto partecipato ma non indetto dalle sigle confederali.

Si legge nel testo dell’ Unione Sindacale di Base: “ Tutti i lavoratori dei settori pubblici e privati possono scioperare per l’intera giornata: non è necessario essere iscritti ad USB o a qualsiasi altra organizzazione sindacale. Tutti e tutte possiamo scioperare”. Più avanti, riferendosi a Gaza, motivo della mobilitazione, si parla di mondo di sopra e mondo di sotto,  non di destra e sinistra. Ovviamente nella giornata di ieri c’è stata molta passione e questo non poteva che richiamare “umanisti” ma anche “estremisti”: una mescolanza molto  difficile, ma nella quale i primi sono apparsi più dei secondi. E’ sempre difficile controllare le emozioni, gli estremisti sanno farsi notare sempre, ma intanto bisogna capire chi ha intercettato e chi no. E perché. 

Cosí  ritengo importante ricordare cosa accadde il 16 marzo 1978. Uno sciopero generale fu indetto dai sindacati confederali, subito dopo il caso Moro, per rivolgersi a un Paese ferito e diviso, ma che così ritrovò la consapevolezza di sé. I partiti ci sarebbero riusciti da soli? Molti dicono di no. Dunque quei sindacati confederali svolsero un ruolo importante per tutto il Paese. Oggi i confederali non intercettano più, e Usb è un riferimento che si affida saggiamente al servizio d’ordine dei pompieri in sciopero.  Però la gente da loro ci va, dai confederali non sembra proprio.

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Forse sta emergendo qualcosa di nuovo? Se così fosse andrebbe necessariamente capito.  

Lo sciopero generale indetto senza i sindacati tradizionali e senza richiami a temi contrattuali ha archiviato la forza trainante della famosa “triplice”, ancora bloccata a vecchi schemi? La scelta della Cgil di indire, sempre per Gaza, uno sciopero tutto suo il 19 settembre ne indica forse la “difficoltà”? Così forse il ragionamento va posto in termini di ipotesi: destra e sinistra non hanno la cosiddetta “egemonia culturale”? E serve questa “egemonia”?        

Il discorso su Gaza è una cosa, quello sull’adesione all’iniziativa di USB un altro. Perché così ampia? Per fiducia in loro o per sfiducia negli altri? Come il caso Moro fu un tema fortissimo per tutti gli italiani, anche Gaza lo è; allora non avemmo chiamate diverse e scelte diverse. Certo, non capita spesso che quanto vediamo a Gaza accada sulle coste del nostro mare, resta il fatto che  chi ha coinvolto è stata USB, sebbene anche tra i confederali molti abbiano “simpatizzato”: credo che il punto italiano è che ieri si è mossa un’Italia che ad altre chiamate analoghe non ha risposto così, forse perché non si sente rappresentata da vecchi registri. 

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Ridurre l’accaduto a una “nuova sinistra” è sbagliato, ma solo in parte. Credo che si sia percepita, tra molto altro ovviamente, come pensare che non andasse così,  la richiesta di una nuova politica. Infatti un evento del genere  ha finito col parlarci di società civile più che di partiti. Ritengo che nelle piazze italiane ci fossero persone con visioni che penso e spero diverse, alla ricerca di un collante che i soggetti tradizionali stanno disperdendo; e anche estremisti ovviamente, non solo i violenti di cui sappiamo le azioni e i danni causati. La violenza va sempre condannata con fermezza. Il fatto però è che la politica ridotta a talk-show si autocelebra nella polarizzazione. Questa polarizzazione contagia, certamente, ma non tanto da esprimere rappresentatività. Dice molto di più di quanto appaia il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa: «Non perderei troppo tempo con la politica. Ciò che è evidente in questo periodo è la debolezza, se non la paralisi, delle istituzioni politiche locali, internazionali, multipolari… vorrei dire anche delle istituzioni religiose. Questo è il momento della società civile: è lì soprattutto che dobbiamo agire ed è a questa che dobbiamo parlare».   

Se fosse così, il punto italiano sarebbe che ciò che è venuto a galla ieri non potrebbe che essere  maturato nel tempo, lontano dai riflettori, in incontri come in silenzi e ritardi, in colloqui come in prese d’atto della distanza dei centri consolidati. C’è un establishment vecchio che non esprime, non dà fiducia alla richiesta di molti. Come non pensare che ieri nelle piazze italiane molti si fossero astenuti in recenti elezioni?

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Certo sorprende che uno sciopero generale così partecipato e convocato dal basso non scuota soprattutto la sinistra. Costoro coinvolgono?  Ascoltano? Dialogano? 

Unire non vuol dire  uniformare, ma trovare collanti sui quali legittimare le nostre diversità, le nostre passioni di esseri umani, che hanno diverse declinazioni, ma  che spesso originano in quell’idea di fratellanza che unisce credenti e figli dei lumi. Questo non  scomparirà per causa di ciò che è causato dai violenti, che però  va attentamente considerato: siamo nel tempo della polarizzazione e a questa non si deve cedere da qualsiasi parte provenga. Ma il desiderio di essere società, non solo spettatori, compresso dalla politica di plastica,   rimane.  Vedremo se basterà a far ripartire la società civile. Questo potrebbe finalmente portare a confronti anche su temi bollenti, ma non riservati a chi polarizza, ma anche a chi vorrebbe esprimere la sua comprensione della realtà. Sarebbe il modo migliore per ridurre il peso degli integralismi, che sempre si basano sull’odio e non su una parola che salva e non che distrugge. 

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