Creator Economy in Italia: come le aziende sfruttano i content creator per crescere

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Creator Economy in Italia: come le aziende sfruttano i content creator per crescere
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4 Dicembre 2025 - 15.07


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L’approfondimento del Social Media Manager Luca Matteo Barberis

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Negli ultimi anni la comunicazione aziendale italiana ha evoluto profondamente il proprio linguaggio. Ciò che una volta era appannaggio esclusivo di campagne pubblicitarie tradizionali e sponsorizzazioni televisive, oggi passa per un ecosistema molto più fluido, dove content creator e influencer giocano un ruolo da protagonisti. La “creator economy” non è un fenomeno passeggero: i numeri dimostrano chiaramente che è una struttura economica consolidata e in rapida espansione. 

Secondo il rapporto 2024 dell’associazione che monitora il settore, il giro d’affari complessivo della creator economy in Italia ammonta a circa 4,06 miliardi di euro, con Instagram a guidare la monetizzazione (3,3 miliardi), seguita da TikTok (circa 446,9 milioni) e YouTube (circa 279,6 milioni). Lo stesso studio afferma che mediamente i content creator più attivi dichiarano compensi annuali intorno agli 84.000 euro, rispetto alla media nazionale molto più bassa — un indicatore chiaro che la creazione di contenuti è ormai una professione riconosciuta e remunerativa.

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Per capire le implicazioni reali di questa trasformazione abbiamo intervistato Luca Matteo Barberis, social media manager con lunga esperienza nel mondo dello sport, delle aziende e dei personaggi pubblici. «Il valore di un creator non si misura più solo in follower», ci spiega, «ma nella capacità di costruire una community fidelizzata, continuativa, e nella capacità di trasformare contenuti in azioni concrete: vendite, traffico qualificato, visibilità internazionale».

Da creatività a conversione: questo è l’arco su cui oggi si gioca la partita del marketing digitale. Mentre le campagne tradizionali continuano a esistere, sempre più brand — dalle grandi aziende ai piccoli imprenditori — integrano nei loro piani budget destinati all’influencer marketing e social commerce. E i risultati sono tangibili. Solo nel 2024, le collaborazioni brand–creator in Italia sono cresciute del 25,6% rispetto all’anno precedente, con circa 300.000 attivazioni su Instagram, TikTok e YouTube che hanno generato oltre 320 milioni di interazioni.

Questa crescita non è casuale, ma frutto di un cambiamento strutturale nelle abitudini di consumo: secondo un’analisi di marketing, in Italia oggi quasi 44 milioni di persone, pari al 75% della popolazione, sono attive sui social; Instagram conta 27,3 milioni di utenti, TikTok 14 milioni. Questo significa che i brand possono raggiungere potenziali clienti con un livello di profilazione e di targetizzazione impossibile da ottenere con media tradizionali.

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Barberis sottolinea che la vera rivoluzione arriva quando le aziende smettono di considerare i creator come strumenti di “contenuto extra” e iniziano a vederli come partner strategici. «Per un’azienda, un social post non è più un’azione isolata: è parte di un funnel che può portare a vendite, acquisizione di clienti, lead di qualità e rafforzamento del brand. Quando misuriamo engagement, conversion rate, tempo di permanenza e ritorno sull’investimento, capisci che il valore reale va ben oltre il numero di like».

Il mercato europeo del social commerce fornisce un contesto utile: secondo un recente studio di settore, nel 2024 il segmento B2C del social commerce in Europa ha registrato ricavi per oltre 103 miliardi di dollari, con un tasso di crescita annuo previsto del 30,8% da qui al 2033. Questo significa che l’Italia non è un’eccezione, ma parte integrante di un trend globale che fonde intrattenimento, comunità e transazioni.

Questa tendenza spinge brand ed aziende a rivedere le proprie strategie di comunicazione, puntando su contenuti autentici, frequenti, capaci di generare relazione. Non più spot, ma storytelling continuo. Non più campagna singola, ma presenza costante. E in questo panorama, i micro e nanoinfluencer dimostrano un valore spesso sottovalutato: hanno community meno numerose ma molto più fedeli e verticali, e garantiscono un tasso di engagement e conversione superiore rispetto a influencer con decine di migliaia o centinaia di migliaia di follower. Barberis lo osserva ogni giorno nei suoi progetti: «Un microinfluencer può attivare un mercato di nicchia con costi contenuti e risultati concreti, permettendo anche a PMI e startup di competere con brand molto più grandi».

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Un ulteriore elemento di cambiamento riguarda la trasparenza e la responsabilità nella collaborazione tra brand e creator. Il pubblico e le istituzioni chiedono chiarezza, etica e correttezza nelle sponsorizzazioni. Come riportato da testate nazionali, molte aziende italiane richiedono ai creator di firmare codici etici e contratti che prevedono trasparenza su contenuti sponsorizzati e rispetto dei valori del brand. 

Tutto ciò fa emergere con chiarezza che la creator economy non è un “accessorio creativo”: è un modello economico strutturato, con numeri, ruoli, regole e responsabilità. E per le aziende che lo capiscono per tempo, rappresenta un’occasione concreta di crescita, differenziazione e resilienza.

Secondo Barberis, il futuro sarà fatto di strategie integrate, dove analisi dati, creatività e tecnologia si fondono per generare valore reale. «Le aziende lungimiranti capiranno presto che non basta produrre contenuti: bisogna costruire community, raccogliere insight, misurare risultati, adattare strategie. Chi non lo farà, rischia di restare fuori dal gioco».

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La creator economy italiana, che oggi vale 4 miliardi e più, è soltanto all’inizio della sua evoluzione. Brand, aziende e creatori sono chiamati a un cambio di mentalità: da promesse di visibilità a impegni di performance, da campagne spot a strategie sostenibili e misurabili. Per chi ha la visione giusta, è un’occasione unica per trasformare creatività in risultati e comunità in valore.

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