Mentre la maggioranza della popolazione mondiale chiede azioni concrete per contrastare il riscaldamento globale, la disinformazione climatica continua a diffondersi come un virus nelle reti sociali e nei media online.
Un nuovo rapporto del Climate Action Against Disinformation (CAAD) lancia l’allarme: a pochi mesi dalla COP30 di Belém, in Brasile, si registra un’impennata dei contenuti falsi o manipolati sul clima.
Secondo i dati raccolti insieme all’Observatory for Information Integrity (OII), tra luglio e settembre la disinformazione legata alla conferenza dell’ONU è cresciuta del 267%. Sono stati individuati circa 14 mila casi, molti dei quali prodotti con intelligenza artificiale generativa: tra questi, un video virale mostrava una reporter “immersa” in una città allagata — una Belém completamente inventata — per diffondere sfiducia verso l’evento e le sue finalità.
Eppure, un sondaggio del 2024 mostra un consenso chiaro: l’87% della popolazione mondiale sostiene le politiche climatiche, e tra il 62% e il 76% degli europei dichiara di essere preoccupato per il cambiamento climatico. Ma la macchina della disinformazione lavora per erodere questa consapevolezza, seminando dubbi e sfiducia nella scienza.
La strategia del dubbio: chi alimenta la disinformazione
Il rapporto del CAAD punta il dito contro i responsabili: le grandi aziende dei combustibili fossili e i loro alleati nel mondo dell’agrobusiness e della tecnologia.
Questo blocco, definito Big Carbon, avrebbe investito milioni di dollari per diffondere messaggi ingannevoli, minimizzare la gravità della crisi climatica e screditare la transizione energetica.
In vista della COP28, ad esempio, le compagnie Shell, ExxonMobil, BP e TotalEnergies hanno finanziato su Facebook annunci di disinformazione per un valore stimato di 5 milioni di dollari, pari al 98% degli spot analizzati.
“Questa campagna — scrive il CAAD — è concepita per spingere l’opinione pubblica a sottovalutare il consenso scientifico e la forza del movimento climatico globale”.
Le piattaforme digitali, dal canto loro, continuano a svolgere un ruolo ambiguo. I colossi del web, da Facebook a YouTube, permettono la diffusione di contenuti falsi senza adeguati controlli, diventando di fatto amplificatori della propaganda negazionista.
COP30 e la sfida dell’informazione
Proprio per contrastare questo fenomeno, la COP30 ospiterà per la prima volta la Global Initiative for Information Integrity on Climate Change, un’iniziativa promossa dal governo brasiliano insieme a ONU e UNESCO per rafforzare la lotta contro le campagne di manipolazione.
Durante il Vertice dei leader del 6 novembre, Luiz Inácio Lula da Silva ed Emmanuel Macron hanno denunciato il pericolo di una disinformazione “organizzata” che mina la democrazia e ostacola la transizione ecologica.
“Le forze estremiste fabbricano fake news per ottenere vantaggi elettorali e imprigionano le nuove generazioni in un modello obsoleto e distruttivo”, ha ammonito Lula. Macron ha fatto eco: “La disinformazione climatica oggi minaccia le nostre democrazie, l’Accordo di Parigi e la sicurezza collettiva”.
Il segretario generale dell’ONU, António Guterres, ha aggiunto parole durissime contro i colossi dell’energia:
“Troppe aziende realizzano profitti record dalla devastazione climatica, spendendo miliardi in lobbying e ingannando il pubblico. Troppi leader restano ostaggi di questi interessi consolidati”.
La battaglia per la verità
Dalla manipolazione dei social network ai video generati dall’intelligenza artificiale, la guerra dell’informazione climatica è ormai parte integrante della battaglia per il futuro del pianeta.
Mentre scienziati, attivisti e cittadini chiedono soluzioni concrete, la disinformazione continua a lavorare nell’ombra, alimentata da chi teme di perdere potere e profitti.
La sfida, oggi, non è solo ridurre le emissioni: è difendere la verità.
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