Le decapitazioni e il ruolo di Erdogan che cinguetta con l’Isis per destabilizzare le nostre democrazie

La Turchia vuole diventare una potenza egemonica e testa d’ariete di un Islam radicalizzato. L’Europa deve stare al fianco dell’Islam che vuole andare avanti e parla di convivenza

Erdogan
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Arturo Scotto Modifica articolo

29 Ottobre 2020 - 11.33


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Se uccidono per colpa di una vignetta significa che hanno paura.

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Perchè quando la satira mette a nudo qualsiasi forma di potere – quello religioso come quello temporale, quello politico come quello economico –  vuol dire che la democrazia è in salute.

Che ha ancora degli anticorpi sani.

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E i fascisti islamici – tali vanno chiamati – hanno paura della satira.

Perchè irride i pregiudizi, perchè smonta le casematte della superstizione, perchè bonifica i giacimenti d’odio, perchè fa crollare le impalcature ideologiche degli spacciatori di integralismo.

La Francia laica e repubblicana è oggettivamente sotto attacco.

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E con lei alcuni capisaldi della civiltà democratica: la libertà di stampa innanzitutto.

Erdogan prova a soffiare sul fuoco, a investire sullo scontro di civiltà: vuole ergersi a paladino del mondo sunnita, imporsi come leadership militare, economica e morale di un’intera area del globo.

Con una lettura dell’Islam sempre più fondamentalista, arcaica, autoritaria.

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Ha trasformato il volto della Turchia, messo in discussione la laicità dello stato, annichilito le minoranze, aperto una nuova stagione di colonialismo regionale, dal Mediterraneo al Caucaso.

Ha redistribuito i tagliagole dell’Isis – con cui ha cinguettato nel corso degli ultimi anni – tra la Libia e il Nagorno Karabakh, passando per la Rojava.

Lo ha fatto lui, il Presidente di un paese che è il secondo esercito della Nato, non Al Baghdadi.

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Va detto chiaro e tondo che Erdogan sta giocando con i decapitatori e i lupi solitari, sta puntando a raccogliere i frutti politici di quella follia omicida, sta giustificando l’ingiustificabile, sta lavorando sulla destabilizzazione delle nostre democrazie.

Ieri l’orribile decapitazione dell’insegnante Samuel Paty a pochi chilometri da Parigi, oggi i tre morti nella Chiesa di Notre Dame a Nizza.

Il bollettino terribile di una scia di sangue sempre più inquietante e che non sembra fermarsi nemmeno con il lockdown.

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Il caso Erdogan non è più una questione che riguarda una ristretta schiera dei militanti per i diritti umani, che hanno provato ad accendere i riflettori – spesso nel silenzio colpevole e complice dei grandi mass-media occidentali –  sugli arresti dei giornalisti, degli attivisti, dei deputati, dei sindacalisti, dei magistrati dopo il golpe del 2016.

Qui siamo davanti a una grande partita geopolitica, dove a parlare non sono solo le armi.

La Turchia vuole diventare una potenza egemonica, la testa di ariete di un Islam radicalizzato.

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Per combatterlo serve la politica, la capacità di spegnere gli incendi, di ricostruire una visione per il Medio Oriente, di non concedere alibi a chi strumentalizza l’umiliazione di popoli come quello palestinese.

Va fatto ora, con un sussulto dell’Europa innanzitutto, perchè i fatti francesi ci dicono che c’è un conflitto nel mondo islamico fortissimo, tra chi lo vuole portare indietro e chi pensa che la strada siano la libertà la giustizia e la convivenza.

Possiamo lasciare questa partita solo alla solitudine di Charlie Hebdo?

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