Il principe Salman assassino e il senatore Renzi adorante. Una storia italiana.

Un principe ereditario mandante di un feroce assassinio. C’è un giornalista e dissidente che non si piega ai miei voleri? bene, allora fatelo a pezzi, letteralmente- Ora gli 007 Usa hanno raccontato la verità

Renzi e il principe Salman
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

25 Febbraio 2021 - 13.34


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Un principe ereditario mandante di un feroce assassinio. C’è un giornalista e dissidente che non si piega ai miei voleri? bene, allora fatelo a pezzi, letteralmente.  Tanto, avrà pensato il principe in questione, con i petrodollari si compera tutto, anche l’impunità. E poi, se puoi contare sull’amicizia dei potenti della Terra, alcuni dei quali li hai pure a libro paga, il gioco è fatto. 

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Il “Rinascimento saudita”

Tra gli uomini a libro paga del principe presunto assassino c’è anche un senatore della Repubblica italiana, che è stato pure primo ministro. Il suo nome è Matteo Renzi. Il leader di Italia viva è colui che, non molte settimane fa, il 28 gennaio per la precisione, in piena crisi di Governo da lui peraltro provocata, vola in Arabia Saudita per partecipare a un meeting internazionale nel corso del quale intervista il suddetto principe presunto assassino. In gergo giornalistico, si chiama intervista “in ginocchio”. Nessuna domanda imbarazzante, ma solo una sequela di entusiastiche asserzioni, che sfociano nell’incredibile “Rinascimento saudita”. Le cronache raccontano che per quella performance genuflessa, il senatore Renzi abbia ricevuto un cachet di 80mila euro. E visto che il giorno dopo, bontà sua, doveva recarsi al Colle per le consultazioni con il presidente della Repubblica, a riportarlo in patria ci ha pensato un jet privato fornito dal munifico principe in questione. 

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Un senatore nel libro paga di uno Stato straniero è qualcosa che non si è mai visto in Occidente. Certo, ci sono stati casi di primi ministri o capi di Stato pagati a peso d’oro per conferenze o consulenze, ma solo dopo che questi signori erano diventati degli ex: ex premier, ex presidenti, ex ministri. 

E già questa “anomalia” avrebbe dovuto far scattare un campanello d’allarme in un Paese con la schiena diritta. Ma non in un Paese dove si è d’so genuflettersi ai piedi di autocrati sanguinari, presidenti-carcerieri, regnanti assassini.

Nell’intervista in ginocchio, il senatore di Rignano ha pensato bene di non infastidire il suo munifico intervistato, facendo un qualsivoglia riferimento ai diritti umani e al caso Khashoggi..E si capisce: era troppo impegnato a magnificare il “Rinascimento saudita” targato Mohammed bin Salman, per i media internazionale MbS.  

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Quel rapporto che inchioda

Si sapeva, ma adesso ci sono altre prove: il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è coinvolto nell’agghiacciante uccisione del giornalista dissidente del Washington Post Jamal Khashoggi. 

E’ la conclusione dell’esplosivo rapporto degli 007 americani, atteso per oggi, secondo le anticipazioni di Axios. “Il rapporto, un documento non classificato prodotto dalla direzione della National Intelligence, implica che il principe ereditario Mohammed bin Salman sia coinvolto nell’omicidio e nello smembramento di Khashoggi nel consolato saudita a Istanbul nel 2018”, scrive il sito citando una fonte protetta dall’anonimato.
Era stata la stessa Avril Haines, nella sua audizione di conferma al Senato come prima donna alla guida della National Intelligence, ad impegnarsi nella diffusione del rapporto: “Sì, senatore, seguiremo la legge”, aveva risposto ad una domanda. L’intelligence americana aveva già raggiunto in passato una convinzione di “livello medio alto” sull’implicazione del controverso principe saudita (ritenendolo il mandante) ma non aveva diffuso alcun documento ufficiale, mentre Donald Trump aveva fatto di tutto per salvare l’immagine di bin Salman dopo averlo scelto come suo principale alleato nella regione mediorientale, insieme ad Israele.
MbS ha sempre negato ogni coinvolgimento ma ha accettato la responsabilità come leader de facto del Paese, pur sempre senza alcuna grave conseguenza. Ora però rischia un altro danno d’immagine e di non essere più un interlocutore della Casa Bianca. Joe Biden infatti intende tenere i rapporti non con lui ma con il padre, l’85enne re Salman, che dovrebbe chiamare a breve per la prima volta informandolo preventivamente dell’imbarazzante rapporto degli 007 Usa. “E’ lui la sua controparte”, ha sottolineato la Casa Bianca confermando la pubblicazione del rapporto.
Del resto il presidente americano ha già detto di voler ricalibrare le relazioni con Riyadh, dalla riapertura all’accordo sul nucleare iraniano allo stop del sostegno ai sauditi nella guerra in Yemen. Senza cedimenti sui diritti umani. Durante la campagna elettorale, Biden aveva accusato apertamente bin Salman di aver ucciso Khashoggi, promettendo in caso di vittoria che non avrebbe venduto armi ai sauditi e che li avrebbe resi “i paria che sono”. Ora bisognerà vedere quali conseguenze avrà la conclusione degli 007 Usa. 

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Nei documenti si legge che “secondo le istruzioni di Sua Altezza il Principe ereditario, viene immediatamente approvato il completamento delle procedure necessarie”. Viene quindi spiegato che è stato ordinato di trasferire la proprietà di Sky Prime Aviation nel fondo sovrano saudita da 400 miliardi di dollari alla fine del 2017. Gli aerei della compagnia sono stati successivamente utilizzati nell’uccisione di Khashoggi.

Scrive su Internazionale Pierre Haski, direttore di France Inter: Le conseguenze della pubblicazione sono enormi, perché l’accusa diretta contro il principe ereditario sarà di pubblico dominio. Finora l’ambiguità aveva favorito il principe, ormai reintegrato nella vita internazionale dopo un periodo di freddezza. Riyadh aveva fatto condannare alcuni subalterni per l’omicidio del giornalista e sperava che la vicenda venisse progressivamente dimenticata. Biden non è particolarmente affezionato ai leader sauditi, verso i quali ha avuto parole poco affettuose durante la campagna elettorale lasciando intendere che gli Stati Uniti ridurranno la vendita di armi al regno wahabita. 

Susan Rice, ex collaboratrice di Barack Obama e ora esponente dell’amministrazione Biden, è stata ancora più diretta: nel 2018, dalle pagine del New York Times, aveva chiesto senza mezzi termini di privare Mohamed bin Salman della carica di principe ereditario e dunque di futuro monarca saudita.  Tutto questo lascia intendere che i rapporti tra l’Arabia Saudita e la nuova amministrazione non saranno distesi, e non c’è da stupirsi.  Riyadh, infatti, si oppone ferocemente all’intenzione di Biden di resuscitare l’accordo sul nucleare con l’Iran, grande nemico dei sauditi nel Golfo. Questa ostilità è stata un grande punto di convergenza con Donald Trump, l’uomo che aveva ritirato gli Stati Uniti dall’accordo. Due settimane dopo la vittoria di Biden, un vertice mai confermato dal governo saudita  aveva riunito nel regno il principe Mohamed bin Salman, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il capo della diplomazia di Donald Trump, Mike Pompeo. L’Iran – e Joe Biden – erano in cima all’ordine del giorno.  Il nuovo presidente manterrà l’intenzione di rimettere in chiaro i rapporti degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita, un paese che non manca di argomenti per spingere Washington a fare compromessi? La vicenda sarà uno dei test che attendono la nuova amministrazione, le cui buone intenzioni nel campo dei diritti umani rischiano di scontrarsi molto presto con i freddi vincoli della realpolitik”. 

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Così il direttore di France Inter.

Ma torniamo al senatore di Rignano. Durante il colloquio con il membro della casa reale Renzi aveva pronunciato queste parole: “È un grande piacere e un grande onore essere qui con il grande principe Mohammad bin Salman. Per me è un privilegio poter parlare con te di Rinascimento”. Per poi aggiungere: “Credo che l’Arabia Saudita possa essere il luogo per un nuovo Rinascimento”, dicendosi anche “invidioso” della situazione occupazionale del Paese che lo ospitava, per il costo del lavoro così basso rispetto a quello italiano.

Ad oggi Renzi, che aveva dovuto registrare il colloquio e rientrare in fretta in Italia per il precipitare della situazione politica dopo le dimissioni di Conte, non ha ancora chiarito qual è la natura delle sue relazioni con Ryiadh né spiegato il perché di quelle consulenze retribuite. Eppure aveva promesso di farlo: “Mi impegno a discutere i miei incarichi internazionali, ma dopo la fine della crisi di governo”, aveva detto.

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Il messaggio contenuto in un video pubblicato sui social era stato chiaro: “Prendo l’impegno di discutere con tutti i giornalisti in conferenza stampa dei miei incarichi internazionali, delle mie idee sull’Arabia saudita, di tutto. Ma lo facciamo la settimana dopo la fine della crisi di governo”.

Ora che il governo è nel pieno delle sue funzioni, e che ci siamo lasciati alle spalle la crisi di governo, a ricordargli l’impegno preso con gli elettori e con i giornalisti è il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni (ora passato all’opposizione): “È vero che Renzi ci ha abituato in questi anni a dire molte cose senza poi farle, dall’abbandono della politica se avesse perso il referendum fino al capolavoro del Mes, comunque noi rimaniamo in attesa della conferenza stampa sul Rinascimento Saudita…”.

Sul Rinascimento Saudita bisognerebbe che Renzi rispondesse per la natura di quella vicenda, per il peso simbolico di quella sua scelta, per le cose che ha detto in quella conferenza in Arabia Saudita, anche se è difficile chiamarla conferenza poiché sembrava un teatrino. Anche perché aveva detto che avrebbe risposto ai troppi interrogativi dopo la crisi di governo”, ha aggiunto Fratoianni intervistato su Radio Capital.

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La questione è innanzi tutto di opportunità politica, perché per la legge italiana il senatore di Rignano, lo ricordiamo, non ha commesso alcun illecito: non esiste in Italia una legge sul conflitto d’interessi. Il vuoto normativo in questo caso gioca a suo favore. Sarebbe stato differente se Renzi fosse stato un deputato. A Montecitorio infatti nel 2016 è stato varato un Codice di condotta che si ispira a quello del Parlamento Ue, un provvedimento che però non è stato esteso al Senato. Mentre da 25 anni il Consiglio d’Europa chiede all’Italia di emanare norme per disciplinare gli affari extra dei parlamentari.

Pentito? Ma quando mai. Dispiaciuto? E’ una parola che non esiste nel vocabolario di Matteo Renzi.  “Chi conosce l’Arabia Saudita sa che sotto la leadership del principe bin Salman sta attuando il più ambizioso progetto della storia della regione, che prevede notevoli passi in avanti nella cultura, nell’innovazione e nel campo dei diritti”. Sono le parole di Renzi in un’intervista rilasciata a La Repubblica per motivare il suo viaggio e collaborazione con la Future investment initiative, da cui percepisce 80mila euro l’anno e che ha pagato il suo viaggio di ritorno in jet privato a Roma da Riyadh.

L’imbarazzante Ivan

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Della questione di Renzi in Arabia Saudita che definisce il paese “luogo ideale per un nuovo Rinascimento” e che esprime ammirazione per il principe Mohammad bin Salman se ne parla senza sosta da giorno del rientro a Roma del senatore di Rignano. Renzi prende, parte, dice ciò che vuole per questioni di interesse e torna. Il risultato è che abbiamo un Renzi che – quando era politico – sosteneva i diritti civili e un Renzi – quello conferenziere – che elogia la grandezza di un paese in cui essere omosessuali comporta ancora punizioni come il carcere, la tortura e la pena di morte. Come può mai essere definito candidato a un nuovo Rinascimento?

Questa domanda l’ha posta Alberto Infelise, giornalista de La Stampa, a Ivan Scalfarotto, a quel tempo ex sottosegretario di Stato al Ministero degli Esteri dimessosi da poco vista la caduta del Conte Bis, e da ieri riconfermato sottosegretario nel Governo Draghi. Il giornalista ha sottolineato, menzionando il renziano Ivan Scalfarotto – dichiaratamente omosessuale -, che in Arabia Saudita essere gay è ancora oggi punibile con pene che possono comportare anche la morte. La risposta di Scalfarotto “Penso: che fare politica estera solo con paesi che non discriminano non sia fattibile, né aiuti; che fare questa domanda a me fa molto cliché: di gay si occupano i gay, giusto? È un problema nostro; che il suo tweet pare molto più interessato a Renzi che ai gay in Arabia”.

Rileva, a ragione, Ilaria Roncone su giornalettismo.com:La precisa domanda del giornalista è degenerata in una polemica inutile. Non c’era l’intento di dire che i gay si devono occupare di gay né quello di affermare che non debbano esserci rapporti con i paesi che discriminano. Un conto è, però, avere rapporti e un conto è lusingare facendo affermazioni come quelle fatte da Matteo Renzi. Il tweet di Alberto Infelise era una palese provocazione alla quale Scalfarotto non ha potuto evitare di rispondere, almeno lo Scalfarotto politico e renziano. Anche dopo questa disputa social finita in niente, la morale rimane la stessa: un uomo delle istituzioni di un paese civile non può definire l’Arabia Saudita una possibile culla per un nuovo Rinascimento per mille e uno motivi, dalla criminalizzazione dell’omosessualità alla questione Jamal Kashoggi passando per il trattamento riservato alle donne”.

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Ora siamo in trepida attesa di sapere cosa pensi il senatore Renzi del rapporto Cia. Restituirà quegli 80mila euro al principe presunto assassino?

 

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